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Il giudice nazionale può rideterminare il contenuto della clausola abusiva essenziale applicando una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva

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Diritto Civile Contemporaneo

Rivista trimestrale

online

ad accesso gratuito ISSN 2384-8537

www.dirittocivilecontemporaneo.com

Anno I, numero I, aprile/giugno 2014

 

IL GIUDICE NAZIONALE PUÓ RIDETERMINARE IL CONTENUTO DELLA CLAUSOLA ABUSIVA ESSENZIALE APPLICANDO UNA DISPOSIZIONE DI DIRITTO NAZIONALE DI NATURA SUPPLETIVA

Alessandro D’adda 

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IL GIUDICE NAZIONALE PUÓ RIDETERMINARE IL

CONTENUTO DELLA CLAUSOLA ABUSIVA ESSENZIALE

APPLICANDO UNA DISPOSIZIONE DI DIRITTO NAZIONALE

DI NATURA SUPPLETIVA

di Alessandro D’Adda, Ordinario nell’Università Cattolica di Milano

Con la pronuncia del 30 aprile 2014 nella causa C–26/13 Kásler/OTP

Jelzálogbank Zrt la Corte di giustizia dell’Unione europea interviene nuovamente,

tra l’altro, sull’interpretazione dell’art. 6, paragrafo 1 della direttiva 93/13 in tema di

clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori – per cui la

clausola non vincola i contraenti mentre il contratto “resta vincolante per le parti

secondo i medesimi termini” – prendendo posizione sulla sorte del contratto

depurato della clausola abusiva. Se è vero che la direttiva, e le legislazioni nazionali

di recepimento (da noi oggi l’art. 36 cod. cons.), hanno previsto un congegno di

nullità parziale necessaria che – in deroga alla disciplina comune della nullità

parziale: da noi l’art. 1419 c.c. – impone in via “automatica” la conservazione per il

resto del contratto, i problemi degli effetti della caducazione della clausola abusiva

sono, ad un’indagine non di superficie, assai delicati.

Ci si deve infatti chiedere che cosa significhi, operativamente,

conservazione per il resto del contratto.

Più in particolare, obliterata la clausola abusiva, resta da capire come deve

essere regolata la materia che il patto nullo intendeva disciplinare; quando poi la

clausola abusiva rappresenti un elemento essenziale del contratto – si tratta proprio

della vicenda oggetto della sentenza Kásler in commento – il tema si fa ancor più

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    Diritto Civile Contemporaneo       Anno I, numero I, aprile/giugno 2014  

 

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ragioni di struttura, a meno di ricorrere a strumenti che consentano di colmare la

lacuna.

Del resto, a quest’ultimo riguardo, la stessa direttiva 93/13 non ignora

affatto il problema, precisando con certo realismo, nella parte finale dell’art. 6, che

il contratto, obliterata la clausola abusiva, “resta vincolante per le parti secondo i

medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive”.

Ma vediamo più nel dettaglio come si possono configurare gli effetti della

nullità parziale necessaria, tenendo conto che le soluzioni prospettabili variano in

dipendenza della natura (o meglio della struttura) della clausola dichiarata abusiva.

In primo luogo si può ipotizzare il caso in cui la clausola abusiva deroghi

ad una disciplina dispositiva “di portata generale” che regola una certa materia. Qui

la clausola inibisce la produzione degli effetti legali “naturali” e la sua caducazione

comporta che la regola legale, “compressa” dalla pattuizione negoziale,

automaticamente “si riespanda”. Così l’accertamento della invalidità della clausola

abusiva che regola una penale eccessiva comporta l’applicazione dell’ordinario

regime della responsabilità per inadempimento; e lo stesso accade quando ad essere

reputata vessatoria sia una clausola di esonero o di limitazione della responsabilità

(che, come noto, nel settore dei contratti con i consumatori è di regola invalida,

perché vessatoria, oltre i limiti ordinari posti, nel nostro sistema, dall’art 1229 c.c.).

Anche la Corte di Giustizia (sentenza Asbeek Brusse del 30 maggio 2013,

causa C- 488/11) ha avuto modo, proprio con riferimento ad un contratto di

locazione contemplante una clausola penale reputata eccessiva, di accedere all’esito

descritto: se l’art. 6 della direttiva impone la pura disapplicazione della clausola

(perché nulla, inefficace, reputata non scritta a seconda dello strumento tecnico

utilizzato nei diversi ordinamenti) in casi come quelli esaminati l’effetto che ne

segue è l’operare delle regole ordinarie della responsabilità contrattuale.

La decisione ha peraltro corollari certamente consumer oriented: nel caso

deciso dalla pronuncia l’applicazione delle regole ordinarie di responsabilità è

alternativa – e preferita – alla riduzione della clausola penale; tecnica quest’ultima

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Nelle fattispecie evocate non si pongono allora dubbi circa l’operare della

disciplina dispositiva quale effetto normale ed automatico della caducazione della

clausola abusiva. Ma talora le caratteristiche “strutturali” della clausola abusiva

caducata complicano le cose.

Si pensi alla nullità della clausola con cui le parti pattuiscono interessi nulli

perché reputati abusivi in ragione del loro ammontare eccessivo. Qui diversi sono

gli effetti della nullità parziale prospettabili: si può ipotizzare (i) che la caducazione

della clausola comporti l’applicazione della disciplina dispositiva, e quindi

l’applicazione degli interessi legali; (ii) che, caduto il patto, nulla sia più dovuto a

titolo di interessi; (iii) che – ed è quel che talune discipline nazionali prevedono – il

giudice sia autorizzato a rideterminare, nei limiti di una congruità “non abusiva” gli

interessi (soluzione, questa, omogenea a quella scartata dalla menzionata pronuncia

Asbeek Brusse con riferimento alla riduzione della penale).

Ora, anche su tali alternative la Corte di Giustizia (sentenza 14 giugno

2012, Banco español de crédito/Calderón Camino, C – 618/10) ha avuto modo di

dire la sua.

La pronuncia era chiamata a valutare – la fattispecie sottoposta al giudice

del rinvio aveva ad oggetto proprio gli effetti della caducazione del patto

contemplante interessi in misura ritenuta abusiva – la compatibilità con l’art. 6 della

direttiva della disciplina del “codice del consumo” spagnolo (art. 83 Real decreto

legislativo 1/2007, Ley General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios )

che – precisato che “la parte del contratto colpita da nullità è integrata

conformemente all’articolo 1258 del codice civile e al principio di buona fede

oggettiva” – attribuisce al giudice “poteri di moderazione rispetto ai diritti e

obblighi delle parti, nel caso di sopravvivenza del contratto” così legittimandolo di

fatto alla sostituzione della clausola invalida con la regola dispositiva ovvero con

propria determinazione di riduzione “nei limiti della non abusività”.

La posizione della Corte è anche in questo caso perplessa quanto alla

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disincentiverebbe il professionista – che al massimo vedrebbe ricondotto il

contratto entro limiti non abusivi – dall’imporre pattuizioni vessatorie.

Ma la soluzione della Banco español de credito va oltre: non solo, come

per l’Asbeek Brusse, il diritto comunitario precluderebbe la riduzione giudiziale del

patto abusivo; di più non sarebbe coerente con la direttiva 93/13 neppure

l’applicazione della disciplina dispositiva, se esistono soluzioni ancora più

favorevoli per il consumatore.

Insomma, la direttiva, nel prevedere tout court la caducazione del patto,

imporrebbe non l’applicazione della disciplina dispositiva derogata (gli interessi

legali), ma, piuttosto, che nessun interesse sia dovuto.

Una siffatta soluzione non persuade (per più ampie considerazioni critiche

rinvio a D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e massimo effetto utile per il

consumatore: nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del

contratto, in I contratti, 2013, 16 e ss.; sulla questione di recente v. anche R. Alessi,

Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti fermi

dopo le sentenze Jőrös e Asbeek Brusse, in www.juscivile.it, 2013; Pagliantini La

tutela del consumatore nell’interpretazione delle Corti, Torino, 2012, p. 192 e ss.

D’Amico, L’integrazione cogente del contratto mediante diritto dispositivo, in

D’Amico, Pagliantini (a cura di), Nullità per abuso ed integrazione del contratto,

Torino, 2013, p. 230 e ss.).

La trasformazione del mutuo da oneroso a gratuito, non è, infatti,

l’ordinario effetto della “pura” nullità parziale bensì, al contrario, una soluzione

sanzionatoria per il professionista che va ben oltre la tecnica, di obliterazione

dell’abuso, cui pare ispirata la disciplina della direttiva 93/13. E che, a mio parere, è

legittima solo se fondata su scelte del legislatore specifiche ed ulteriori rispetto a

quelle che “si limitano” ad imporre la caducazione parziale con conservazione del

contratto “secondo i medesimi termini” (una siffatta scelta sanzionatoria specifica,

come noto, si rinviene in Italia all’art. 1815 c.c. – per come modificato nel 1996 – a

tenore del quale il patto usurario è nullo “e non sono dovuti interessi”, nemmeno

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Non solo quando la riespansione della disciplina dispositiva opera in via

automatica (come nella fattispecie di clausola penale eccessiva presa in

considerazione dalla sentenza Asbeek Brusse), ma anche quando, come nella

vicenda degli interessi abusivi, sia dato prospettare una pluralità di effetti della

caducazione della clausola abusiva.

Su queste premesse, si può allora affrontare in modo consapevole l’esame

della recentissima sentenza Kásler/OTP Jelzálogbank Zrt del 30 aprile 2014 la

quale, come si è accennato, si interroga su di un’ulteriore applicazione

dell’integrazione del contratto depurato dalla clausola abusiva. Pronunciandosi sulla

idoneità della disciplina dispositiva a colmare le lacune generate dalla caducazione

di una clausola del contratto essenziale, perché regolante le prestazioni dovute dalle

parti (nel caso di specie la clausola determinava l’ammontare della rata mensile

dovuta dal mutuatario al finanziatore, ed è reputata abusiva perché faceva

dipendere l’ammontare di una rata in fiorini ungheresi, per la restituzione di un

finanziamento corrisposto in fiorini ungheresi, dal tasso di cambio, calcolato alla

scadenza di ogni singola rata, tra fiorino e franco svizzero, pur in assenza di

qualsivoglia prestazione di servizi di cambio; e ciò evidentemente al fine di

assicurare alla banca – in un contesto di svalutazione del fiorino - un lucro

ulteriore).

Ora, in tali ipotesi, a differenza di quelle sin qui esaminate, l’obliterazione

del patto non comporta “riespansioni” più o meno automatiche della disciplina

dispositiva derogata. In via logica, al contrario, la caducazione della clausola – che

regola il corrispettivo dovuto dal mutuatario – potrebbe determinare la nullità

totale del contratto, travolto dalla perdita di un proprio elemento essenziale

Un conto infatti, sotto il profilo insieme concettuale ed operativo, è la

obliterazione di una clausola che non compromette la tenuta strutturale del

negozio: il contratto, salvo per il resto, semplicemente si rimodulerà secondo la

disciplina dispositiva abusivamente derogata.

Ma quando a “venir meno” è una pattuizione essenziale, allora il profilo

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nullità dell’intero contratto ed integrazione – che questa volta non è l’effetto

dell’automatica riespansione della disciplina derogata – mediante misure che

consentano di colmare la lacuna lasciata dalla caducazione (sulla distinzione tra

queste fattispecie sia permesso rinviare a D’Adda, Nullità parziale del contratto e

tecniche di adattamento, Padova, 2008, p. 272 e s.). Si tratta però di capire se un

simile atteggiarsi della tecnica integrativa sia prospettabile in assenza di discipline

legali che legittimino espressamente una simile integrazione cogente. Ovvero se, in

tali casi, sia più coerente con la salvaguardia dell’autonomia privata la nullità totale

del contratto.

In prima battuta, l’inciso finale dell’art. 6 della direttiva 93/13, che come

visto subordina la salvezza del contratto alla circostanza che il contratto “possa

sussistere senza le clausole abusive”, potrebbe indurre a concludere nel senso della

caducazione dell’intero contratto. Soluzione questa che potrebbe apparire coerente

anche con le altre evocate pronunce della Corte di giustizia in tema di effetti della

nullità parziale, che come si è visto ripudiano la correzione giudiziale (e nel caso

della sentenza Banco español de credito fors’anche la correzione dispositiva).

La sentenza Kásler perviene invece ad un esito diverso, ritenendo che alla

caducazione del patto regolante il corrispettivo dovuto dal mutuatario debba

seguire l’applicazione della disciplina suppletiva che consente di rideterminare

detto corrispettivo in termini non abusivi (che nel caso di specie consentirebbe di

non porre a carico del mutuatario le oscillazioni del cambio fiorino franco svizzero

in assenza di qualsivoglia servizio di cambio).

La presa di posizione della Corte è davvero importante.

In primo luogo perché fornisce una risposta autorevole ad un interrogativo

che da sempre la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori

solleva: quella della sorte del contratto nel caso di nullità di una clausola essenziale.

In secondo luogo perché – confermando quel che già implicitamente si

poteva inferire dalla sentenza Asbeek Brusse – supera le segnalate ambiguità della

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per il resto, circa la facoltà del giudice di applicare la disciplina legale dispositiva al

fine di colmare la lacuna lasciata dalla caducazione del patto.

Rilevando come una tale soluzione parrebbe preferibile alla perdita

dell’intero contratto, attesa la ratio delle previsioni di nullità ed i caratteri della

regola dispositiva che, lungi dallo stravolgere il contratto, delinea il normale ed

ordinario assetto di interessi che, in assenza di deroghe, vincola le parti di una

determinata operazione. Sì che la correzione dispositiva non incorrerebbe nei rischi

dell’imprevedibilità (per le parti) e dello snaturamento delle scelte dell’autonomia

privata che minano altre modalità correttive, come quelle integralmente demandate

alla discrezionalità giudiziale (sul punto ancora D’Adda, Nullità parziale e tecniche

di adattamento del contratto, cit., p. 261 e ss.; Id. Regole dispositive in funzione

«conformativa» ovvero una nuova stagione per l’equità giudiziale? in Bellavista,

Plaia (a cura di), Le invalidità del diritto privato, Milano, Giuffré, 2011, p. 385 e s.).

Ora, con la sentenza Kásler la Corte di giustizia, per la prima volta in

modo netto, afferma che il giudice nazionale può rideterminare il contenuto della

clausola abusiva essenziale applicando “una disposizione di diritto nazionale di

natura suppletiva”. E ciò proprio considerando come la ratio a fondamento della

nullità (o, a seconda degli ordinamenti, dell’inefficacia) della clausola vessatoria

impone di attivare soluzioni che, per un verso, assicurano soluzioni prevedibili ed

equilibrate e, per l’altro, consentono di evitare un esito, quello della nullità totale,

che esporrebbe il consumatore “a conseguenze particolarmente dannose, talché il

carattere dissuasivo risultante dell’annullamento del contratto rischierebbe di essere

compromesso”.

E’ proprio tale ultima considerazione della Corte di giustizia ad indurre ad

una riflessione conclusiva, che consente di dare una (seppur minima) coerenza ai

reiterati interventi dei giudici comunitari in tema di effetti della nullità parziale e di

integrazione dispositiva del negozio, succedutesi tra il giugno 2012 e l’aprile 2014 e

che hanno sollecitano queste riflessioni.

In prima battuta le soluzioni prospettate nelle tre pronunce esaminate, pur

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coerenti: in particolare, come visto, la Banco español de crédito sembra sbarrare il

passo all’applicazione delle regole dispositive, per prediligere l’idea della pura

caducazione; al contrario, la recentissima sentenza Kasler legittima la sostituzione

(ad opera delle discipline legali) finanche di clausole essenziali.

La corte sorvola su siffatte contraddizioni, e sulle ragioni concettuali –

oltre che di equilibrio degli esiti operativi – che a mio parere dovrebbero indurre a

prediligere in ogni caso – e quindi in ognuna delle fattispecie evocate – la

“riespansione” della disciplina dispositiva abusivamente derogata. Ma i giudici

comunitari rivendicano espressamente la coerenza delle proprie soluzioni, che

troverebbero unità nell’assicurare il massimo effetto utile per il consumatore e, più

in particolare, soluzioni “onerose” per il professionista che lo disincentivino ad

imporre nel regolamento negoziale clausole abusive.

Così la clausola penale non andrà ridotta ma obliterata (con applicazione di

regola dispositiva); il patto sugli interessi abusivo non andrà ridotto né andranno

applicati gli interessi legali, ma il mutuo da oneroso diverrà gratuito; infine, se

caducata è una clausola essenziale, la nullità totale dovrà essere evitata, questa volta

mediante applicazione della disciplina suppletiva (se sussistente).

Con il che la finalità di tutela risulta assorbente di ogni ragione di coerenza

tecnica, che tuttavia, anche nella prospettiva del diritto comunitario, non sembra

poter essere del tutto obliterata.

Sicché se la pronuncia Kásler merita adesione, il quadro complessivo

delineato dalla Corte di giustizia in tema di effetti della caducazione parziale è solo

in parte convincente: meglio sarebbe stato assicurare in ogni caso soluzioni (come

nelle pronunce Asbeek Brusse e Kásler) che, per un verso, salvaguardano la ratio di

tutela sottesa alla direttiva 93/13 disincentivando pattuizioni abusive; ma, nel

contempo, assicurano soluzioni equilibrate sul piano empirico e fondate (nonché

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