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Sandokan in aeroplano. L’ucronia del Cavalier Emilio Salgari

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Academic year: 2023

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Sandokan in aeroplano. L’ucronia del Cavalier Emilio Salgari

Diana Thermes

Università della Calabria (Italia)

Riassunto

Del tutto inaspettatamente il Cavalier Emilio Salgari, già celebrato “padre degli eroi”, scrive nel 1903 Le meraviglie del 2000, un romanzo ambientato cento anni dopo la sua scrittura, che si rivela piuttosto una distopia malgrado il titolo. I due protagonisti, lo scienziato Toby Holker e l‟amico James Brandok, un giovane ricco affetto da spleen, alter ego di Salgari, viaggiano nel tempo attraverso la loro ibernazione, per risvegliarsi un secolo dopo grazie al fiore della resurrezione, un‟antichissima pianta egiziana dalle proprietà prodigiose. Il mondo del 2003 è meraviglioso: i progressi della scienza e della tecnica hanno regalato agli uomini macchine volanti, treni velocissimi ad aria compressa, anfibi rompighiacci, città sottomarine, televisori e telescopi potentissimi; e hanno anche risolto i problemi energetici e alimentari, quelli della sovrappopolazione, della criminalità e dell‟ordine sociale. Anima del mondo futuro, che in realtà ha perso l‟anima perché è dominato da fretta, ansia, frenesia, avidità di denaro, aridità spirituale e sentimentale, alienazione sociale, è l‟elettricità, così potente, però, da far impazzire i due protagonisti che non hanno avuto il tempo di abituarvisi. E chissà se aumentando la tensione elettrica, l‟umanità intera, in un tempo più o meno lontano, non finirà per impazzire ...

Parole chiave

Ucronia, Distopia, Scienza

Diana Thermes insegna Storia delle dottrine politiche nell‟Università della Calabria e nell‟Università Roma Tre. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Ripensare Bodin. Pubblico e privato nel cittadino premoderno (Philos, 2002); Tocqueville e la Sicilia (Giuffrè, 2008);

Innovazione metodologica e revisionismo storiografico nella Storia delle dottrine politiche (Rubbettino, 2011); Tocqueville e l‟Occidente (Rubbettino, 2012).

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Sandokan no aeroplano. A ucronia do Cavaleiro Emilio Salgari

Diana Thermes

Università della Calabria (Italia)

Resumo

De todo inesperadamente, o Cavaleiro Emilio Salgari, há celebrado “pai dos heróis”, escreve em 1903 Le meraviglie del 2000, um romance ambientado cento anos depois de sua escrita, que se revela mais como uma distopia, apesar do título. Os dois protagonistas, o cientista Toby Holker e o amigo James Brandok, um jovem rico acometido pelo spleen, alter ego de Salgari, viajam no tempo através de sua hibernação, para despertarem um século depois graças à flor da ressurreição, uma antiquíssima planta egípcia de propriedades prodigiosas. O mundo em 2003 é maravilhoso: os progressos da ciência e da técnica deram aos homens máquinas voadoras, trens velocíssimos movidos por ar comprimido, anfíbios quebra-gelo, cidades submarinas, televisores e telescópios potentíssimos; e também resolveram os problemas energéticos e alimentares, os da superpopulação, da criminalidade e da ordem social. Alma do mundo futuro, que na realidade perdeu a alma porque dominado pela pressa, ânsia, frenesi, avidez de dinheiro, aridez espiritual e sentimental, alienação social, é a eletricidade, tão poderosa, porém, a ponto de enlouquecer os dois protagonistas que não tiveram tempo de se abituarem. E, talvez, caso se aumente a tensão elétrica, a humanidade inteira, num tempo relativamente distante, terminará por enlouquecer...

Palavras-chave

Ucronia, distopia, ciência

Diana Thermes ensina História das Doutrinas Políticas junto à Università della Calabria e Università Roma Tre. Entre suas publicações se destacam: Ripensare Bodin. Pubblico e privato nel cittadino premoderno (Philos, 2002); Tocqueville e la Sicilia (Giuffrè, 2008); Innovazione metodologica e revisionismo storiografico nella Storia delle dottrine politiche (Rubbettino, 2011);

Tocqueville e l‟Occidente (Rubbettino, 2012).

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. Salgari e l‟aeroplano. Sandokan avrebbe potuto andare all‟attacco dei suoi odiati nemici, i colonizzatori europei, in aeroplano, se solo Salgari l‟avesse voluto.

Perché il Cavalier Emilio, sempre al passo con tutte le invenzioni tecno- scientifiche del suo tempo a cavallo tra Otto e Novecento, avrebbe potuto modernizzare la Tigre della Malesia dotandola di un vettore via etere, invece di limitarsi ad attrezzarla di un praho1, “un legno” comunque superiore agli incrociatori inglesi per agilità e velocità. Il Re del Mare, che dà il titolo a un romanzo del 1906 appartenente al Secondo Ciclo indo- malese, è una bella e potente nave da guerra, tutta d‟acciaio come quelle corazzate che ormai da cinquant‟anni battono gli oceani, insidiate dai coevi sottomarini2 celebrati dal cugino d‟Oltralpe Jules Verne3, nella fattispecie del Nautilus guidato dal Capitano Nemo.

Salgari avrebbe avuto tutto il tempo di imbarcare Sandokan su un aeromobile, prima di chiudere il Ciclo indo-malese con La rivincita di Yanez (1913), dieci anni dopo che i fratelli Wright avevano spiccato il primo volo. Tanto più che subito a ridosso dell‟impresa, nel 1904, aveva pubblicato I figli dell‟aria affidando la sorte dei due protagonisti allo Sparviero, una macchina volante ad aria liquida pilotata da un misterioso Comandante, presente anche nel seguito Il Re

1 Il praho è l‟imbarcazione a vela tipica del sud-est asiatico, che le Tigri della Malesia avevano dotata di un ponte, potenziata e adattata alle esigenze di una nave da corsa: “Sandokan e Yanez, che in fatto di cose di mare non avevano di uguali in tutta la Malesia, avevano modificati tutti i loro velieri onde affrontare vantaggiosamente le navi che inseguivano. Avevano conservato le immense vele, la cui lunghezza toccava i quaranta metri e così pure gli alberi grossi ma dotati di una certa elasticità […], avevano dato agli scafi maggiori dimensioni, alla carena forme più svelte e alla prua una solidità a tutta prova. Avevano inoltre fatto costruire su tutti i legni un ponte, aprire sui fianchi dei fori pei remi e avevano eliminato uno dei due timoni che portavano i prahos e soppresso il bilanciere, attrezzi che potevano rendere meno facili gli abbordaggi” (Salgari, 2003, p. 12).

2 La corazzata appare nel 1859, il sommergibile nel 1850. Nel romanzo Al Polo Nord (1898) è protagonista un sottomarino, che anticipa di dieci anni la conquista del Polo Nord via terra da parte di Cook e di sessanta quella via mare da parte del sommergibile statunitense Nautilus. Ma nel precedente romanzo Al Polo Australe in velocipede (1895), la conquista del Polo Sud, anticipata rispetto a quella che sarà fatta da Amudsen nel 1911, protagoniste erano state tre biciclette.

3 In realtà, nonostante Salgari venisse chiamato “il Verne italiano” per attingere notizie e trarre ispirazione da più opere dello scrittore francese (Vingt mille lieues sous la mer per Duemila leghe sotto l‟America, Un drame en l‟air per Un dramma in aria, Cinq semaines en ballon per il Tesoro del Presidente del Paraguay e Attraverso l‟Atlantico in pallone, La journée d‟un journaliste américain en 2889 per Le meraviglie del duemila, Robur le Conquereur per le sue macchine volanti, ecc.), non gli è paragonabile per diversità di stile, di impianto narrativo e di sentire. Pur muovendosi nello stesso terreno dell‟avventuroso fantastico, Verne è la fredda scienza e Salgari l‟appassionata avventura. Il primo si proietta nel campione, il secondo nell‟eroe. Il primo è “istruttivo” e il secondo è “antieducativo”, e oltretutto pericoloso perché “scalda la testa”. Riflessivo, distaccato e razionale è il primo, e ricercato è il suo stile. Impulsivo, sanguigno e romantico è il secondo, e “sciatto” è il suo scrivere (secondo il dictat di Croce). Semmai Salgari è paragonabile a Robert E. Howard per “lo stesso spirito, lo stesso pathos, la stessa vibrante immaginazione evasiva, e lo stesso grande desiderio di avventura e di grandi eroi selvaggi, la stessa fantasia lussureggiante e la stessa aggettivazione rutilante e barocca”, ben distanti dalla tranquilla mentalità “borghese” di Verne, sì che il Conan di Howard sta all‟Italia umbertina come il Sandokan di Salgari sta a Peaster, il paesino sperduto del Texas di Howard. Il quale pure si suicidò (cf. Arpino- Antonetto, 2010, p. 115 e de Turris, 2002-3, p. 158).

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dell‟Aria (1907), alla guida questa volta di un vascello volante, dallo stesso nome che dà il titolo all‟opera.

Ma Salgari preferisce lasciare Sandokan dov‟è, nel suo mondo ancora puro, non contaminato dal progresso scientifico e tecnologico, dove i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi, dove l‟eroe è manifesto, il valore si misura sul coraggio, la vigoria fisica e l‟onore, dove le passioni vibrano di pathos. Come osserva Claudio Magris: “Salgari è il fondatore di un‟epica, rudimentale e iperbolica fin che si vuole, ma un‟epica, con il bene e il male ancora suddivisi da un colpo netto di scimitarra, prima dell‟età delle corrosioni dell‟intelligenza e del dubbio”4.

E allora ci sale lui su un aereo per visitare il mondo del futuro, assumendo le spoglie dell‟altro suo alter-ego James Brandok, un giovane e ricco americano, irrimediabilmente malato di spleen, che cerca di distrarsi da tentazioni suicide con un viaggio più avventuroso di tutti quelli già compiuti per il mondo, dall‟Europa all‟Asia, dall‟Africa all‟Australia, e per mezza America.

“Viaggiai, viaggiai […]. Ho visto il mondo. Sempre in velieri, osservando e fumando montagne di tabacco”5, racconterà il Capitano Salgari – che Capitano mai lo fu ma sempre come tale si spacciò tanto da crederci lui stesso e farlo credere agli altri 6 – in un‟intervista rilasciata poco prima di morire, senza che avesse mai navigato né sopra né sotto il mare, né volato in aeroplano o in mongolfiera, né traversato la terra su rotaia o su macchine sotterranee, e chissà, senza che avesse mai percorso più di qualche kilometro in velocipede. Ma con la penna viaggiò e viaggiò: “Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli” era solito dire, quando i territori da lui esplorati non travalicavano i confini della Biblioteca Civica Centrale di Torino. Però i viaggi non riusciranno a salvarlo dallo spleen, nonostante cercasse di soffocarlo con la frenesia di una scrittura febbrile e con i fumi dell‟alcool e del tabacco7. Né sapranno distrarlo da tentazioni suicide perché il 25 aprile

4 Cit. in Antonetto (2010, p. 14).

5 Intervista ad Antonio Casulli, “In casa di Emilio Salgari”. Il Don Marzio, 9 gennaio 1910. Salgari era talmente sicuro di sé e fu talmente convincente, che Casulli vide in lui “il marinaio, l‟antico capitano di velieri, uso a giocare con le tempeste” (cit. in Arpino-Antonetto, 2010, p. 35).

6Allo scrittore e linguista Angelo De Gubernatis, che gli aveva richiesto una scheda biografica per il suo Dizionario biografico degli scrittori contemporanei che stava curando, ritenendolo un autorevole esperto di navigazione, Salgari rispose: “Ill. Sig. A. De Gubernatis / La prego di scusarmi se rispondo molto, anzi troppo in ritardo al suo gentile invito, ma non sono tornato che ieri da un viaggio all‟estero. Qui Le unisco tutte le notizie che mi chiede [….]. Con dist. / Cap.

Cav. Emilio Salgari” (2 febbraio 1905, cit. in Fichera, 2011). Capitano Marittimo di Gran Cabotaggio Salgari non riuscì a diventarlo perché non poté conseguirne il diploma presso il Regio Istituto tecnico e nautico Paolo Sarpi di Venezia.

L‟unico viaggio per mare che fece fu la traversata Venezia-Brindisi via Dalmazia a bordo di “un trabaccolo”, “una di quelle barche pescherecce che si chiamano topi”. Il trabaccolo-topaia non era certo “la nave fiera” domatrice degli oceani dei suoi versi poetici, bensì un cargo sgangherato battezzato Italia Una, e la traversata, pure funestata da un naufragio, durò tre soli mesi del 1880. Ma di quell‟esperienza dirà: “Le avventure di questo primo viaggio non le dimenticherò mai, e le emozioni che ho provato a bordo di quella topaia non le dimenticherò mai in tutta la mia vita di marinaio” (cit. in Arpino-Antonetto, 2010, p. 34).

7 Salgari fumava cento sigarette e beveva una bottiglia di marsala al giorno, “per nutrirsi” sosteneva. In ventotto anni di attività di scrittore e giornalista scrisse 200 opere, di cui 82 romanzi e 118 tra racconti e articoli. All‟amico Giuseppe

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1911 si toglierà la vita con un harakiri degno dei personaggi dei suoi migliori romanzi indo-malesi, con gli occhi rivolti al sol levante (Castronuovo, 2013).

Se il mondo tutt‟intorno non piace al Cavaliere, ancor meno può piacergli il mondo del futuro, e quando non c‟è speranza nel domani l‟oggi gli diventa insopportabile, fino a morirne8. Le meraviglie del futuro che danno il titolo al romanzo – ambientato nel 2003, cento anni dopo la sua scrittura – sono ammirevoli invenzioni tecnologiche e piacevoli comodità, ma sono anche follia e morte.

Le meraviglie del Duemila, un romanzo fantascientifico che racchiude un‟ucronia distopica, più affine di quanto non si pensi a quella huxleyiana che precorre di circa un trentennio, è un‟opera così dissonante dall‟intera produzione salgariana da suscitare una domanda. Perché un‟ucronia?

II. Perché un‟ucronia? Perché Salgari, “il padre degli eroi”, si cimenta con un genere letterario che fino al 1903 gli è stato del tutto estraneo? L‟avventura nel futuro non è certo aliena al suo tempo, segnato da prodigi scientifico-tecnologici che nutrono più filoni letterari e ne ispirano uno nuovo, la fantascienza, uno spin-off del romanzo fantastico-scientifico, che ha in Jules Verne e Herbert George Wells i suoi padri indiscussi9. La più chiara metamorfosi del genere fantastico- scientifico nella fantascienza si compie proprio in Paris au XXe siècle (1863) di Verne, preceduto da Garuti, in arte Gamba, l‟illustratore di molti suoi romanzi, confidò nel 1909: “La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali, io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno e alcune di notte. Quando riposo sono in biblioteca per ricerche e per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere” (cit. in Arpino-Antonetto, 2010, p. 67).

8 Nonostante l‟enorme successo di pubblico, i buoni guadagni sia pure erosi dall‟avidità degli editori e il prestigioso cavalierato insignitogli dalla Regina Margherita di Savoia, Salgari fu costantemente assillato dall‟insufficienza di denaro, perseguitato dai creditori, estenuato dall‟incessante lavoro e mortificato dalla disistima degli ambienti colti, per i quali non era che “la Tigre della Magnesia”. “Salgarello” portava in sé il marchio della depressione: suicida era stato il padre, suicida sarà lui stesso sei giorni dopo che l‟amata moglie Ida-Aida sarà stata rinchiusa in un manicomio pubblico, suicidi saranno infine i figli Romero, nel 1931, e Oscar, nel 1963. Aveva già tentato il suicidio due anni addietro, nel 1909, e il secondo tentativo fu premeditato, come testimoniano le tre lettere scritte tre giorni prima di togliersi la vita. Ai figli scrisse: “Miei cari figli / Sono ormai un vinto. La pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni dei miei ammiratori che per tanti anni ho divertiti ed istruiti provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di 600 lire che incasserete dalla signora Nusshaumer.

[…] Fatemi seppellire per carità essendo completamente rovinato”. Ai suoi editori scrisse: “Ai miei editori / A voi che vi siete arricchiti colla mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in uno stato di semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna”. Ai direttori dei quotidiani torinesi scrisse: “Ai direttori dei quotidiani torinesi, / Vinto dai dispiaceri d‟ogni sorta, ridotto alla miseria malgrado l‟enorme mole di lavoro, colla moglie pazza all‟ospedale, alla quale non posso pagare la pensione, mi sopprimo. Conto milioni d‟ammiratori in ogni parte dell‟Europa e anche nell‟America. Li prego, signori direttori, di aprire una sottoscrizione per togliere dalla miseria i miei quattro figli e poter passare la pensione a mia moglie finché rimarrà all‟ospedale” (cit. in Arpino-Antonetto, 2010, p. 75-76). “La Stampa” aprì subito la sottoscrizione richiesta ma la stampa, la critica e l‟accademia letteraria rimasero sostanzialmente asettici di fronte al suicidio di Salgari, mentre Torino era distratta dall‟euforia per l‟Esposizione Internazionale dell‟Industria e del Lavoro che si sarebbe inaugurata il 29 aprile, giusto tre giorni dopo l‟annuncio della sua morte.

9 Tra la ricca letteratura al riguardo si rinvia a Fortunati (1982), Suvin (1985 e 1988), Jameson (2005) e Jedlowski (2015).

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Le monde tel qu‟il sera (1846) di Émile Souvastre e seguito da La journée d‟un journaliste américain en 2889 (1889)10 scritta probabilmente ancora da Verne, che a sua volta ispirerà quelle Meraviglie del Duemila grazie alle quali Salgari si conquisterà il titolo di padre della fantascienza italiana (Valla, 2000).

L‟esplorazione nel futuro, tra il fantastico e il fantascientifico, ha già in Italia molti cultori.

Non solo i tanti appassionati lettori di Robida e Boussenard11 che vanno a ingrossare la schiera degli adepti di Verne e Wells, ma anche quel nutrito gruppo di scrittori che include un Ghislanzoni (1864), un Della Sala Spada (1875), uno Schiaparelli (1895), un Grifoni (1897), per non parlare del più noto Paolo Mantegazza (1897) che si spinge fino al 3000, e dell‟ancora più noto Yambo che, folgorato da Salgari12, si dà all‟avventura letteraria tra imitazione e originalità.

L‟ucronia tout court – un futuribile non ancora fantascienza – non è comunque un genere nuovo, anzi ha ormai maturato più di centotrenta anni dalla sua nascita nella Parigi di Mercier13 e circolando per il mondo lungo le vie del sonno è approdata nell‟Amiens di Verne14, poi nella Boston di Bellamy15 e infine nella Londra di Morris16. Lo è invece per Salgari, il quale non trova altro da proporre all‟editore Bemporad di Firenze che gli richiede “qualcosa di nuovo” se non ambientare nel futuro una qualche avventura, dopo averne sparse per tutto il globo terrestre e per tutti i cieli. Nascono così Le meraviglie del duemila, ma essendo Salgari ancora sotto contratto con

10 Il racconto La journée d‟un journaliste américain en 2889, scritto da Jules Verne o dal figlio Michel o dai due in collaborazione, è stato pubblicato per la prima volta in inglese nel 1889 nella rivista “Forum” con il titolo In the Year 2889. Nel 1890 è stato letto da Jules all‟Académie d‟Amiens e pubblicato nei suoi Mémoirs con il titolo Au XXIXe siècle.Lajournée d‟un journaliste américain en 2889 e qualche variante rispetto all‟edizione americana. Nel 1891 è stato nuovamente pubblicato con lo stesso titolo e qualche ulteriore variante nel Supplément illustré de “Le Petit Journal”.

11 Il “verniano” Albert Robida è noto soprattutto per la sua trilogia fantascientifica: Le vingtième siècle (1884), La guerre au vingtième siècle (1887) e Le vingtième Siècle. La vie électrique (1890). Il “verniano” Louis-Henri Boussenard, poi chiamato “le Rider Haggart français”, è autore di più romanzi fantascientifici, tra cui Les Secrets de Monsieur Synthèse (1888) et Dix mille ans dans un bloc de glace (1890). Pubblicava anche a puntate sul “Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure di Terra e di Mare”, che è una delle principali fonti di Salgari.

12 Racconta Enrico Novelli, in arte Yambo: “Apparvero nelle vetrine dei librai, fra i plumbei volumi di letteratura romantica slombata e di poesia cachettica, le aggressive copertine multicolori dei racconti di Emilio Salgari. In quelle copertine erano compendiate […] tutte le aspirazioni e i desideri inconfessati delle anime giovanili […] un succedersi di cose tremende e magnifiche, una serie di inni all‟impetuosità, alla giovinezza, alla forza, all‟istinto, al desiderio di conquista, altrettante chiavi d‟argento per aprire le porte degli inesplorati giardini della fantasia” (cit. in A. Fichera, 2011) .

13 Louis-Sébastien Mercier ne L‟an deux mille quatre cent quarante (1770) sogna di svegliarsi nella Parigi del 2440, una città che ha realizzato il riformismo settecentesco di Voltaire e degli Enciclopedisti, degli urbanisti e dei fisiocratici, di Beccaria e di Montesquieu.

14 Jules Verne in Une ville idéale (1879) sogna di svegliarsi nell‟Amiens del 2000, una città che ha ulteriormente sviluppato il progressismo umano e tecnologico della Parigi di Mercier.

15 Edward Bellamy in Looking Backward. 2000-1887 (1888) sogna di svegliarsi nella Boston del 2000, una città che ha saputo realizzare le promesse del socialismo in pacifica armonia.

16 William Morris in News from Nowhere (1891) sogna di svegliarsi nella Londra del 2000, una città “preraffaellita”, armonica e gentile, dove la tecnica è rispettosa della natura, il lavoro dell‟uomo e l‟uomo dell‟uomo.

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l‟editore Donath di Genova le firma con uno dei suoi tanti pseudonimi17, Guido Altieri, lo stesso con il quale ha già firmato una novantina di racconti per lo più per l‟editore di Palermo Salvatore Biondo. Per la pubblicazione dovrà però attendere il 1907, quando sarà scaduto il contratto con Donath e Bemporad potrà usare il suo vero nome, nella speranza di ottenere un maggiore successo di pubblico. Che non ci sarà, troppo dissonante dall‟abituale produzione salgariana essendo il romanzo e troppo controcorrente rispetto alla cultura progressista del momento. Quindi deludente.

Eppure proprio Salgari diceva che “il segreto della popolarità per uno scrittore è narrare ciò che il lettore vorrebbe essere”18. Ma quale lettore avrebbe mai voluto essere Toby Holker o James Brandok, entrambi morti dopo essere impazziti senza aver compiuto nulla di eroico che desse un senso alla loro morte?

Improvvisamente e inaspettatamente, nonostante una precedente incursione nel pessimismo fantascientifico con due racconti, Alla conquista della luna e La Stella Filante, entrambi segnati dal fallimento del progresso tecnologico19, Salgari cede alla tentazione della distopia. Le meraviglie del Duemila sono una vera e propria ucronia distopica. Che suscitano una seconda domanda. Perché questa sconcertante virata?

III. Perché un‟ucronia distopica? Al di sotto di una spiegazione circostanziale è verosimile che vi sia una ragione più profonda, legata a una visione critica della realtà in cui Salgari vive. “Il padre degli eroi”, che divora famelicamente ogni sorta di carta stampata ed è aggiornatissimo su ogni questione, su ogni esplorazione, su ogni scoperta scientifica e su ogni invenzione tecnologica, su ogni impresa militare e su ogni conquista coloniale, su ogni rivolta indigena e su ogni migrazione20, per poi tutto trasfondere in imprese mirabolanti e viaggi fantastici a uso dei lettori per via di quel “bisogno universale dell‟anima” che è l‟avventura, e che è pure il suo, è anche l‟Ammiragliador e l‟Emilius, il giornalista di politica estera de “La Nuova Arena” e de “L‟Arena”

di Verona degli anni 1883-85 che deve aver conservato annidato in fondo all‟anima un partecipato interesse per le vicende politiche, per la società e per l‟umanità, a giudicare dalle sue critiche e dalle sue riserve sul mondo contemporaneo. Allora lo sprone a scrivere Le meraviglie del Duemila

17 Dei tanti pseudonimi salgariani più noti sono: Ammiragliador, Emilius, “Il piccolo viaggiatore”, A. Peruzzi, E.

Bertolini ed Enrico Bertolini, A. Permini, Romero S., G. Landucci e Guido Landucci, Guido Altieri e Cap. Guido Altieri. La varietà degli pseudonimi è dovuta alla necessità di aggirare le clausole contrattuali di esclusiva imposte dall‟editore del momento. Riguardo agli pseudonimi salgariani cf. Pozzo (1997).

18 Cit. in Arpino-Antonetto (2012, p. 110).

19 I due racconti, a firma del Cap. Guido Altieri, erano stati pubblicati tra il 1901 e il 1903 nella “Bibliotechina Aurea Illustrata” dell‟editore palermitano Salvatore Biondo. Alla conquista della luna terminava senza che la luna venisse conquistata e La Stella Filante, un‟imponente aeronave, precipitava per un‟avaria.

20 Sulle fonti di Salgari cf. Pozzo (2006).

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sarebbe stato un‟autentica tensione morale e non semplicemente, come è stato detto, “il desiderio – mai presentatosi in passato e che non si ripresenterà più – di esporre le proprie idee sull‟evolversi della politica e del modo di vivere dell‟uomo” (De Turris, 2002-3).

Come già Verne, la nuova temperie utopica, che si sta evolvendo in direzione ucronica e in senso distopico, contagia Salgari. Nel 1863, infatti, Verne aveva presentato all‟editore Hetzel un romanzo ambientato nella Parigi del ventesimo secolo, che tanto è progredita sul piano materiale quanto è regredita su quello morale e spirituale: “Gli uomini del 1960 non si stupivano più alla vista di quelle meraviglie; ne usufruivano tranquillamente, senza gioia [...] poiché si intuiva che il demone della prosperità li spingeva avanti senza posa e senza quartiere”. Le meraviglie sono treni e metropolitane ad alta velocità ad aria compressa, autovetture a idrogeno, grattacieli di vetro, calcolatori elettronici, fotocopiatrici, televisori, sistemi di climatizzazione, reti di telegrafia mondiali, ecc., ma gli uomini sono “macchinizzzati”, costretti a lavorare in uffici “kafkiani”, sorvegliati da robot-guardiani-giudici, spinti unicamente dal Profitto: “Tutti si arricchiscono, eccetto lo spirito umano”. E il protagonista Michel, un giovane e valente poeta in latino che risulta del tutto inutile a una società dominata dalla Scienza e dal Denaro, che ha sepolto le lingue classiche soppiantando la cultura umanistica con quella scientifica ed economica ed è insensibile a ogni forma d‟arte, non potrà che soccombere, abbandonandosi allo svenimento ormai sfinito, affamato e semi-assiderato nel Cimitero del Père-Lachaise, mentre tutt‟intorno Parigi pulsa di vita frenetica grazie ai prodigi dell‟Elettricità, mito-simbolo della Modernità, trasportata da fili elettrici che come “un‟immane ragnatela” inviluppano il cielo della città. Helzel aveva rifiutato lo scritto, ritenendolo sia troppo pessimistico, e quindi pericoloso per la carriera appena nascente dell‟autore, sia inverosimile – “oggi non crederanno alla sua profezia”, aveva appuntato sul manoscritto. E aveva consigliato a Verne di ripresentarlo dopo vent‟anni: “Consideri un disastro per il suo nome la pubblicazione di quest‟opera. […] Lei non è maturo per questo libro, lo rifaccia tra vent‟anni”21 . Così il manoscritto era stato riposto nella cassaforte del figlio Michel e lì dimenticato, e non sarebbe stato ritrovato che per puro caso nel 1989 dal pronipote Jean (figlio di Jean-Jules, figlio di Michel), per essere infine pubblicato in edizione critica a cura di Piero Gondolo della Riva nel 1994.

Salgari non può perciò essere a conoscenza dell‟opera verniana, ma l‟elettricità di cui era carica “è nell‟aria”. È infatti protagonista de La journée d‟un journaliste américain en 2889, dove la rete elettrica ricopre le città e le campagne come “un‟immensa tela di ragno”, assicurando l‟energia necessaria ai fototelefoti e ai fonotelefoti (apparecchi per le video-conferenze), ai telefoni,

21 Cit. in de Turris (2007, p. 155).

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ai totalizzatori (calcolatrici), alle aereo-automobili, agli aero-treni, agli aero-omnibus, ai tubi pneumatici sottomarini, anche alle esecuzioni capitali e, ovviamente, alla produzione agricola e a quella industriale che si è centuplicata dal giorno in cui James Jackson ha inventato gli accumulatori e i trasformatori di energia. Peccato che tra tante “raffinatezze” della civilizzazione del XXIX secolo l‟ibernazione non sia stata ancora messa a punto sufficientemente per consentire il ritorno in vita. L‟elettricità è protagonista anche della contemporanea La vie éléctrique di Robida, strumento di progresso scientifico e di invenzioni tecnologiche (tra cui il telefonoscopio, un apparecchio che combina insieme televisione, registratore e webcam), tanto potente quanto esposto alle incontrollabili forze dalla natura.

Perché di fatto l‟elettricità è la Musa del Dio Progresso, i cui sacerdoti sono la Scienza e la Tecnica. Questo vuole raccontare il Ballo Excelsior22 attraverso la lotta tra la Luce, portatrice di Civiltà, contro le Tenebre, nemiche del Progresso, destinata a concludersi con la vittoria della prima grazie alla realizzazione delle grandiose opere e delle importanti invenzioni del XIX secolo23. Tra cui: il canale di Suez e il traforo del Moncenisio (Fréjus), la pila, la lampadina, il telegrafo, il battello a vapore, il piroscafo. Viene rappresentato per la prima volta al Teatro della Scala di Milano l‟11 gennaio 1881 ed è un successo. Scriverà il “Corriere della Sera” del giorno successivo: “È il paradiso, il trionfo dell‟umanità incivilita, una festa del pensiero”. Ma il successo non si arresta lì, perché il Ballo gira per tutto il mondo e il 1900 approda all‟Expo di Parigi, la stessa città che ha dedicato l‟Expo del 1881 proprio all‟elettricità.

Piace il progresso all‟Italia colta, positivista e inventrice. “Epocali” sono le invenzioni italiane, numerose le case cinematografiche che spuntano tra Roma e Torino, vivace e brillante è la vita che si svolge tra i tanti caffè, salotti e Circoli d‟ogni genere. Il 1° luglio 1899 nasce la Fiat.

Pullulano le Riviste e i Giornali illustrati24. Esploratori, colonizzatori e missionari testimoniano

22Il Ballo Excelsior è un balletto mimico di Luigi Manzotti su musica di Romualdo Marenco, denominato “azione coreografica, storica allegorica in 6 parti e 11 quadri”.

23 Le maggiori invenzioni del XIX secolo: la pila (Volta, 1800), la dinamo (1869), la lampadina (Edison, 1880), l‟elettricità (1881), l‟illuminazione (1887); la locomotiva (1804), il piroscafo (1807), il sommergibile (1850), il dirigibile (1850), la corazzata (1859), l‟automobile a vapore (1876), l‟automobile a benzina (1884-94), la metropolitana (1900), l‟aeroplano (1903); il telegrafo (Morse, 1844), il telegrafo senza fili (Marconi, 1896), il telefono (Meucci, 1871 e Bell,1876), la radio (Marconi, 1896); la fotografia (Nièpce, 1816 e Daguerre, 1839); il cinema (fratelli Lumière, 1895).

24 Tra i tanti periodici di viaggio si ricordano i più “salgariani”: “Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure di Terra e di Mare”, pubblicato da Sonzogno a partire dal 1879, inizialmente la traduzione del francese “Journal des Voyages”, capostipite di tutte le pubblicazioni di viaggio; “La Valigia – Giornale Illustrato di Viaggi”, edito da Sonzogno dal 1879, che nel 1883 ospitò il primo racconto di Salgari, I selvaggi della Paupasia; “Per Terra e per Mare – Giornale di Avventure e di Viaggi diretto dal Capitano Cavaliere Emilio Salgari”, fondato e diretto da Salgari stesso, pubblicato da Donath ma di breve vita (1904-1906).

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l‟eroismo italico celebrato da D‟Annunzio. Corre l‟Italia sulle ali del Futurismo25. Mentre industrializzazione fa rima con colonizzazione, industrialismo con imperialismo, scientismo con razzismo, tutto sotto l‟egida del Progresso.

Piace il progresso all‟“Italietta” giolittiana perché riscatta dal grigiore del quotidiano, esalta l‟italianità e fa sognare. Perché distrae dai gravi problemi del Paese: la questione meridionale e la questione sociale, l‟arretratezza economica e industriale, lo smacco coloniale, l‟instabilità politica.

1896: l‟Italia subisce un‟umiliante sconfitta ad Adua. 1898: il generale Bava-Beccaris cannoneggia i milanesi che manifestano a favore degli operai. 1900: l‟anarchico Bresci uccide re Umberto I.

Scioperi, agitazioni contadine e repressioni poliziesche battono il tempo. 1861-1910: tredici milioni di Italiani emigrano in cerca di una migliore sorte.

Nella Belle Époque della “Belle Europe”, che si avvia ballando incosciente verso il baratro della guerra al passo del trasgressivo can can ai piedi della Tour Eiffel, riverito totem della Modernità, e ai ritmi dell‟immaginifico Ballo Excelsior e del licenzioso walzer di un‟Austria tanto felix quanto ignara del suo potenziale esplosivo disgregante, l‟Italia si esalta con D‟Annunzio, piange con De Amicis, si tacita la coscienza con Collodi, sogna con Salgari.

L‟Italia ama Salgari perché ama i suoi personaggi, li vive in una sorta di transfert freudiano.

Ma non si accorge che “il costruttore di sogni”26 qui e là lancia un grido. Sotto il clamore delle scimitarre, il fragore delle cannonate, le grida delle battaglie e il rombo dei motori non avverte la sua voce più sincera che si unisce al coro dei vinti. Che sono i popoli colonizzati, gli indigeni oppressi, gli schiavi, i pellerossa, gli operai sfruttati, i migranti affamati. Perché Salgari non sta solo con Melville e Conrad, con London e Stevenson, con Aimard e Mayne Reid, lui sta anche con i mohicani di Cooper, con i miserabili di Hugo e i diseredati di Zola, sta con i Malavoglia di Verga e con i suicidi di Nievo. Il quale potrebbe insidiare a Verne il titolo di precorritore dell‟ucronia distopica salgariana, con il suo catastrofismo tecnologico e antropologico dell‟anno 222227.

25 Il Futurismo nasce ufficialmente nel 1909 con la pubblicazione del Manifesto Futurista di Filippo Tommaso Marinetti su vari giornali italiani, tra cui “L‟Arena“ di Verona, e su “Le Figaro“. Le parole-chiave sono: Progresso, Industria, Tecnica, Automobile, Aeroplano, Dinamismo, Velocità, Temerarietà, Guerra. Proclama Marinetti: “Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione, anche quando ha torto, perché è il movimento, la vita, la lotta, la speranza” (Teoria e invenzione futurista, 1966).

26 Cf. Gallo (2011) e Frigerio (2013).

27 Nel 1860 Ippolito Nievo pubblicò la Storia filosofica dei secoli futuri, un racconto del futuro dell‟Italia ambientato in un arco di tempo che si estende dal 1860 al 2222. Articolato in cinque epoche, il racconto si conclude con la fine del mondo a causa dell‟estinzione dell‟uomo. Nell‟ultima epoca, ovvero “il periodo dell‟apatia”, gli uomini prendono a suicidarsi, dando inizio alla fine della specie umana. La causa è la noia, susseguita all‟estinzione del lavoro con l‟invenzione di robot, “omuncoli detti anche uomini di seconda mano, o ausiliari”, che sopperiscono a ogni necessità.

Cf. Campa (2012).

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IV. Il Duemila delle meraviglie. Non sono in fondo tanto meravigliose le meraviglie del Duemila salgariano. Nulla che non sia già stato inventato, o che stia sul punto di esserlo. Nulla che non sia stato già ipotizzato da altri scrittori. Nulla che non sia moderato. Si susseguono ritmicamente radiosveglie, giornali radio, televisori, eofoni (una sorta di radar acustici) e telegrafi;

aerei potentissimi, capaci di comunicare con i martiani; treni sotterranei ad aria compressa ad alta velocità (che raggiungono i 300 km orari); battelli-tramvai-rompighiacci a elica e ruote (che viaggiano a 160 metri al secondo), piroscafi d‟acciaio a elica e a ruote, affusolati come sigari (che camminano come squali e raggiungono le 60 miglia orarie) e giganteschi pescherecci (che in pochi giorni fanno il lavoro di tutta la stagione); Condor, velivoli con ali battenti per il trasporto urbano (che volano alla “velocità fulminea” di 150 km orari e a un‟altezza di 150 metri), e Centauri, vascelli volanti a due piani con un albero centrale, quattro eliche mostruose, dieci ali e due timoni, di lunga distanza (che volano quasi alla stessa velocità degli albatros, ossia a 150 km orari e a 200 metri d‟altezza); gallerie sotterranee che collegano il Polo Nord; colonie polari di confino e città sottomarine di detenzione; palazzi altissimi (di 25 piani); telescopi giganteschi (che avvicinano la luna a un metro di distanza, un‟invenzione inedita); selfservice automatici e fast-food, mobili di alluminio e abiti vegetali; riserve naturali per animali in via d‟estinzione. Si avvicendano la posta pneumatica e la raccolta automatica dei rifiuti; la robotizzazione e la meccanizzazione del lavoro industriale; l‟illuminazione e il riscaldamento con lampade a radium, “il fuoco eterno”, entrambi gratuiti; l‟estrazione dell‟acqua potabile dal mare, l‟alimentazione in pillole per i poveri e la dieta ittico-vegetariana per gli abbienti; il turismo d‟élite per i ricchi (allo Spitzbergen, non troppo lontano dalle “riserve” anarchiche); l‟ibernazione; la silurite, “un esplosivo potentissimo, inventato di recente, che vi polverizza una casa di venti piani, come se fosse un semplice castello di carta”28, più formidabile ancora della dinamite; la produzione di elettricità da cascate e fiumi grazie a centrali elettriche e dal Gulf-Stream grazie a mulini-isole d‟acciaio galleggianti, resistenti a ogni tempesta (un‟anticipazione delle piattaforme marine usate per l‟estrazione del petrolio).

Insomma, nulla di veramente avveniristico. Anche se il Canale di Panama è stato completato da 85 anni, l‟istmo di Corinto29 è stato tagliato e il grande deserto del Sahara sta per diventare un mare navigabile. Anche se “spaventevole e nel medesimo tempo sublime” è lo spettacolo della grande officina elettrica degli Stati Uniti che si trova ai piedi delle cascate del Niagara, dove la potenza della natura si sposa con la sapienza della tecnica:

28 Salgari (2011, p. 208). La dinamite era stata inventata in un ormai lontano 1867 da Alfred Nobel. Salgari non prevede il nucleare.

29 I lavori del Canale di Panama sarebbero iniziati nel 1907 per concludersi nel 1914. Ma il progetto risaliva al 1879.

L‟istmo di Corinto era stato tagliato già nel 1893.

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“L‟immensa massa d‟acqua si rovesciava nel fiume sottostante, con un fragore assordante, mettendo in moto un numero infinito di ruote gigantesche, costruite tutte in acciaio, destinate a trasmettere la forza a tutte le macchine elettriche della Federazione Americana. […] Un numero infinito di grossi fili d‟acciaio, destinati a portare a grandi distanze e suddividere la forza della cascata, si diramavano in tutte le direzioni” (idem, p. 84).

La trama è essenziale. L‟impianto del racconto non è intricato. L‟avventura scorre piana, senza grandi colpi scena. L‟espediente narrativo del viaggio vale a illustrare le meraviglie di un mondo futuro quale sarà forgiato dalla scienza e dalla tecnica secondo Salgari. Ma non solo. Il viaggio vale anche ad esporre la visione sociale e politica di Salgari e a denunciare gli effetti negativi della scienza e della tecnica sulla società, sull‟uomo e sulla natura.

La storia prende l‟avvio dallo scampato suicidio di James Brandok, bello, giovane e ricco, irrimediabilmente malato di spleen e terribilmente annoiato, che si lascia convincere dall‟amico scienziato Toby Holker ad accompagnarlo in un‟avventura fantastica: un viaggio nell‟America del 2003 da compiersi grazie al risveglio da una lunga ibernazione di cento anni – una misteriosa pianta antichissima scoperta in una tomba egiziana, nel seno di una sacerdotessa, la pianta della resurrezione, li avrebbe ridestati. Risvegliati infatti dopo cento anni dal Signor Holker, un nipote di Toby dal nome proprio indefinito, come da istruzioni lasciate a un notaio e depositate presso il Comune di Nantucket, i due protagonisti, seguiti dal Signor Holker, iniziano il loro viaggio a bordo del Condor, “una specie di macchina volante, fornita di quattro ali gigantesche e di eliche grandissime, collocate al di sopra di una piattaforma di metallo, lunga e stretta, difesa all‟intorno da una balaustra” (idem, p. 38). Il Condor, che “funziona perfettamente [ed è] dotato d‟una velocità straordinaria, tale da poter gareggiare colle rondini e i colombi viaggiatori” (idem, p. 60), ha soppiantato i palloni dirigibili a idrogeno, troppo pericolosi. Ve ne sono di tutte le dimensioni e per tutti gli usi. Tantissimi, e il cielo ne è troppo affollato. Ogni tanto si scontrano, ma gli incidenti non commuovono nessuno.

Durante il viaggio, inizialmente programmato da Nantucket a Londra via Polo Nord ma che per sopravvenuti incidenti prenderà altre direzioni, James e Toby hanno modo di venire a conoscenza delle trasformazioni prodotte dai progressi della scienza durante i cento anni trascorsi.

Le città di tutto il mondo sono diventate delle megalopoli e la popolazione è enormemente cresciuta, raggiungendo i due miliardi e quattrocento milioni di persone, di cui la metà gialle, tanto da costituire uno dei problemi più gravi, la cui soluzione sembra essere la colonizzazione di Marte, scarsamente abitata e ricca di terre incolte, da attuarsi con il lancio di “qualche bomba mostruosa

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piena di abitanti terrestri”. E per quanto l‟impresa sembri al momento difficile, prima o poi sarà realizzabile, perché “ormai non vi è più nulla d‟impossibile” (idem, p. 74-75) per la scienza, che nel frattempo ha permesso di comunicare con i martiani (i quali sono degli anfibi che assomigliano alle foche, ma avendo una testa quattro volte più grande di quella degli uomini non sono loro inferiori in fatto di civiltà e di scienza).

I cavalli sono scomparsi perché sono diventati inutili da quando le terre da pascolo sono state convertite in terre da produzione agricola per sfamare la popolazione del globo, da quando l‟agricoltura è stata affidata alle macchine e da quando la guerra è stata abolita per sempre. “La guerra ha ucciso la guerra” con i terribili e spaventevoli massacri che ha provocato. Ed è diventata impossibile per il suo potenziale distruttivo: “una guerra, al giorno d‟oggi, segnerebbe la fine dell‟umanità” (idem, p. 52-53).

Con i cavalli sono scomparsi gli eserciti. Restano i pompieri, impegnati nella repressione dei tumulti causati dagli anarchici. Si servono di un‟arma letale: getti d‟acqua elettrizzata a corrente altissima, che fulmina all‟istante. Il mezzo è brutale e disumano, ma è risolutivo e necessario a conservare il mondo ordinato e tranquillo: “Il mondo ha diritto di vivere e di lavorare tranquillamente senza essere disturbato. Chi secca gli altri, si manda nel regno delle tenebre”30. È una sorta di “giustizia turca”, ma nessuno ci piange sopra. Gli scampati ai getti d‟acqua vengono confinati in una colonia polare, dove la temperatura a 45°C sotto zero raffredda il loro gusto delle bombe, degli incendi e delle stragi, dove la caccia e la pesca a cui sono incessantemente costretti toglie loro il tempo di occuparsi di pericolose teorie, e dove i getti d‟acqua elettrizzati sempre pronti li dissuadono da ogni azione riottosa. I figli vengono poi inviati in Europa e in America perché siano convertiti in “cittadini operosi”.

Sono scomparsi anche gli operai, anch‟essi risultati inutili da quando le macchine hanno preso il loro posto. Non restano che dei meccanici per dirigere le macchine: “L‟elettricità ha ucciso il lavoratore” (idem, p. 65). Gli operai si sono trasformati in agricoltori e pescatori. Ed è scomparso anche il socialismo, del quale si prediceva invece “un grande avvenire”: “[È] scomparso dopo una serie di esperimenti che hanno scontentato tutti e contentato nessuno. Era una bella utopia che in pratica non poteva dare alcun risultato, risolvendosi infine in una specie di schiavitù” (idem, p. 66).

Non resta che qualche colonia tedesca e russa di vecchi socialisti che coltivano in comune alcune plaghe della Patagonia e della Terra del Fuoco, e sono in via di sparizione nel disinteresse generale.

Il capitalismo ha dunque vinto e il mondo è tornato al suo stato naturale, perfettamente disuguale:

“Così siamo tornati all‟antico, e oggidì vi sono poveri e ricchi, padroni e dipendenti come era

30 Idem, p. 97. Sul punto cf. Frigerio (2011).

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migliaia d‟anni prima, e come è sempre stato dacché il mondo cominciò a popolarsi” (ibidem). Un mondo ordinato e diviso: tra Stati ricchissimi, come l‟America e, in minor misura, l‟Europa e Stati poverissimi, come l‟India, dove “muoiono di fame a milioni”.

Il capitalismo borghese ha vinto, ma il colonialismo ha perso: l‟Inghilterra non ha più colonie! – come se il colonialismo concernesse solo il paese-simbolo per eccellenza del fenomeno, perché nulla viene detto in proposito riguardo alla Francia, né all‟Olanda, né al Portogallo, né alla Spagna, né tantomeno all‟Italia.

Gli Imperi si sono sgretolati: dell‟Austro-Ungarico non resta che l‟Austria, dopo che l‟Ungheria si è resa indipendente e gli arciducati tedeschi sono passati alla Germania;

dell‟Ottomano non rimane in Europa che Costantinopoli, dopo che tutti i Turchi sono stati definitivamente respinti in Arabia e nell‟Asia Minore; del Britannico, dopo la perdita delle colonie, che si sono staccate una a una e si sono rese indipendenti, non sopravvive che “una piccola Inghilterra, ma sempre ricca e industriosissima”; del Cinese non restano che i Cinesi emigrati in tutto il mondo, dopo lo smembramento del territorio da parte delle potenze europee per evitare che invadesse l‟Occidente. La Siberia si è incivilita da quando non accoglie più deportati, dopo che è diventata indipendente. La Russia si è dotata di una Camera e un Senato come gli altri Stati. E con le province polacche dell‟Austria, della Russia e della Germania è stato formato un nuovo Stato, la Polonia, per evitare una guerra tra i tre Stati. L‟Italia non è più l‟“Italietta” di un tempo, ma “la più potente delle nazioni latine”, avendo riavuto i suoi antichi territori, ossia l‟Istria, il Trentino, le colonie veneziane della Dalmazia, la Corsica, Nizza e Malta. Un grande Congresso tenutosi all‟Aja, sede dell‟arbitrato mondiale, ha ratificato il nuovo assetto geopolitico, e “ora una pace assoluta regna da dieci lustri nel vecchio continente europeo”31, garantita appunto dalla Corte arbitrale dell‟Aja, riconosciuta ormai da tutti gli Stati del mondo.

Tanti gli Stati ma poche le razze, sia umane che animali. Le razze umane sono ridotte a tre, la bianca, la gialla e la negra, con una fortissima e pericolosissima predominanza della gialla, dopo la scomparsa di tutte le altre – e poiché la razza bianca ha sempre dominato il mondo si profila una lotta di razza, dopo che quella di classe è tramontata. I pellerossa, una volta decimati, si sono completamente “fusi” con gli Americani e sono quindi scomparsi, essendone stati “assorbiti”. I Malesi si sono estinti. Anche gli Esquimesi si sono pressoché estinti, ma per fame, a seguito della quasi totale sparizione delle balene e delle foche di cui si nutrivano. La causa? Le feroci distruzioni compiute da avidi cacciatori americani, norvegesi e russi. I pochi superstiti finiranno comunque per

31 Idem, p. 157. In realtà già esisteva una Corte arbitrale dell‟Aja, creata nel 1899 a seguito della Conferenza sul disarmo convocata dallo zar Nicola II.

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scomparire del tutto poiché appartengono a una razza incapace di “civilizzarsi”, ossia di fondersi con la razza bianca. Anche le razze animali sono assai depauperate. Buoi e montoni sono stati tutti divorati dagli uomini, e presto lo saranno sia le renne che i caribù. Pure gli orsi sono spariti e le poche specie sopravvissute sono state rinchiuse in riserve naturali nelle Canarie, dove la vita umana era diventata impossibile a seguito dell‟eruzione del vulcano Tenerifa.

Il Panoptikon del terzo millennio è una città sottomarina. Ogni Stato ne possiede una al largo delle coste. L‟impiego di denaro è stato enorme ma il sacrificio economico iniziale è stato ripagato dai benefici della sicurezza, del risparmio delle spese detentive e dalla diminuzione dei reati per timore della reclusione subacquea. La società è stata definitivamente sbarazzata da tutti gli

“esseri pericolosi che ne turbano la pace […], la feccia della società, i ladri impenitenti, gli anarchici più pericolosi, gli omicidi più sanguinari” (idem, p. 158). I galeotti si autogovernano e provvedono al proprio sostentamento. E si autocontrollano per paura di venire annegati con la sommersione immediata della città a seguito di aggressioni, disordini, rivolte. Anche questa “una misura un po‟ inumana”, ma che “tiene a freno”.

La città sottomarina di Escario, che i tre viaggiatori chiedono di visitare, approfittando di una deviazione dalla rotta prevista verso il Portogallo, imposta dalla necessità di riparare al più presto i gravi danni che un ciclone ha apportato al Centauro, è anch‟essa inaffondabile, a prova di ogni cataclisma immaginabile. Poggia su un‟isola a 15 metri di profondità, cui è assicurata da grossi cavi d‟acciaio. E nel caso che questi dovessero cedere sotto la pressione di forze inaudite, la città, pur tutta d‟acciaio, è progettata in modo da poter galleggiare.

Insomma, nel 2003 la calma regna sovrana, grazie ad assimilazione, omologazione, indottrinamento, eliminazione, repressione e segregazione praticati con metodi disumani e brutali da “giustizia turca”. Organizzazione scientifica, strumentazione tecnologica, violenza e paura garantiscono ordine e tranquillità.

La scienza ha provveduto a tutto, provvede a tutto e provvederà a tutto. Riuscirà anche ad evitare che l‟eccessivo accumulo di giaccio al Polo Sud provochi un secondo diluvio universale pari al primo di venticinquemila anni addietro. La catastrofe è annunciata, “eppure i nostri scienziati – assicura Holker – riusciranno a mantenere in equilibrio il pianeta e a salvare l‟umanità” (idem, p.

127). “Più nulla sarà impossibile agli scienziati del Duemila” (idem, p. 165), gli fa eco Toby, convinto che un giorno la scienza riuscirà a imbavagliare definitivamente la natura, che sembra al momento non aver ancora perso nulla della sua violenza brutale.

In questa insolita storia salgariana non ci sono eroi. Ovvero ce n‟è uno: la Natura, che si ribella al dominio della Scienza e della Tecnica e riconquista con le sue “tigri” il trono da cui è stata

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spodestata. La Natura-Sandokan si vendica con la liberazione della forza irresistibile del vento e del mare, con la ritorsione dell‟elettricità sotto forma di lampi di straordinario bagliore e durata, con lo sfrenamento delle passioni umane, con lo scatenamento di belve feroci.

Dopo un “ruggito” premonitore (un ciclone a sud della Scozia che trascina il Centauro in direzione delle Canarie, allontanandolo dall‟Inghilterra, e ne frantuma le ali e le eliche), un uragano da levante, dalla furia imprevedibile, sgancia Escario dall‟ancoraggio, nell‟impazzare della furia orgiastica e suicida dei galeotti in preda all‟alcool (in un rinvio reciproco di furie, l‟umana e la naturale), e la incastra del Mar dei Sargassi. Un secondo uragano, questa volta da ponente, la libera dalle alghe e la catapulta, fracassandola, sull‟isola di Tenerifa, “l‟impero delle belve feroci”. Salvati in extremis dall‟assalto di un branco di leoni, tigri e giaguari da un vascello-aereo, James, Toby e Holker sbarcano finalmente a Lisbona.

Al momento sono salvi ma chi ha vinto è la Natura: ha dimostrato che nessuna Scienza può resistere alla sua forza quando vuole farne uso. Ha distrutto ogni artificio umano e ha conservato l‟uomo nella sua condizione primigenia, preservandolo dalla “civilizzazione”. Come prova il comportamento dei galeotti, che in preda all‟alcool sono arrivati al punto di uccidersi selvaggiamente tra di loro: “Il galeotto di cent‟anni fa mi pare che sia rimasto uguale – commenta Brandock –. La scienza tutto ha perfezionato fuorché la razza, e l‟uomo malvagio è rimasto malvagio. Passeranno secoli e secoli, ma, levato lo strato di vernice datogli dalla civiltà, sotto si troverà sempre l‟uomo primitivo dagli istinti sanguinari” (idem, p. 199).

E quando l‟uomo sforza troppo la sua “natura umana”, sottoponendola a un eccessivo stress artificiale, questa reagisce ritorcendogli contro lo strumento dello stress. Come accade a James e Toby, che non sopportando la tensione dell‟elettricità cui sono esposti, impazziscono. Lapidaria è la diagnosi del medico che li visita a Parigi: “Né io, né altri potranno salvarli. Sia l‟elettricità intensa a cui non erano abituati o l‟emozione prodotta dalle nostre meravigliose opere, il loro cervello ha subito una scossa tale da non guarire mai più” (idem, p. 219). Moriranno in un sanatorio sperduto tra le montagne dell‟Alvernia, senza che l‟aria vivificante delle vette francesi abbia prodotto il miracolo sperato della loro guarigione. James e Toby soccombono, ma non il Signor Holker, che triste e solo fa ritorno in America: l‟uomo del XX secolo è ancora “naturale” e non sopporta il carico di quell‟elettricità che pervade ogni cosa, non avendo potuto abituarvisi poco a poco; l‟uomo del XXI secolo è oramai “elettrificato”, la sua metamorfosi ha avuto il tempo di compiersi.

La malattia di James e Toby è infatti immediata, progressiva e inarrestabile. Non appena risvegliati: [Toby] “Mi sembra che i muscoli ballino sotto la mia pelle” (idem, p. 57). A New York:

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[Toby] “Mi riprende il fremito dei muscoli. […] Ciò mi preoccupa, amico James, non te lo nascondo. […] Non so se potremo farci l‟abitudine” (idem, p. 74). Alle cascate del Niagara: “Una viva eccitazione si era impadronita di Toby e Brandock. I loro muscoli sussultavano, le loro membra tremavano e, lisciandosi i capelli, facevano sprigionare delle scintille elettriche”. [Toby]

“Quanta elettricità regna qui. […] L‟aria ne è satura. […] Non saprei resistere a lungo a questa tensione che mi fa scattare” (idem, p. 83). Alla stazione ferroviaria per il Polo Nord: [Toby] “Mi trovavo meglio cent‟anni fa col mio spleen. Provo sempre un‟agitazione strana” (idem, p. 90). Nella città sottomarina: [Brandock] “Non so da che cosa possa derivare, ma da qualche tempo mi trovo spesso spossato e provo anche degli strani perturbamenti al cervello. Quando la mattina mi sveglio, i miei nervi vibrano tutti come se ricevessero delle scariche elettriche” (idem, p. 165). Sull‟isola di Tenerifa: [Brandock] “Io non so che cosa mi prenda: le mie membra tremano tutte ed i miei muscoli sussultano come se ricevessero delle continue scosse elettriche. È la seconda volta che mi succede questo”. [Toby] “Ed io provo i medesimi effetti. […] Questa intensa elettricità che ha ormai saturato l‟aria del globo e alla quale noi non siamo abituati, temo che ci sia fatale. Noi siamo uomini d‟altri tempi”(idem, p. 209-210). Sul vascello volante: [Brandock] “Provo un tremito strano ed un turbamento inesplicabile. […] Si direbbe che il mio cervello riceva delle continue scosse”

(idem, p. 218). A Lisbona: “Sembrava che una continua preoccupazione turbasse i loro cervelli, ed alla più piccola emozione il tremito ed i sussulti dei muscoli li riprendevano” (idem, p. 219). A Parigi: “L‟aria della grande capitale, satura di elettricità a causa del numero infinito delle sue macchine elettriche non fece che aggravare le condizioni di Toby e Brandock. Furono condotti in un albergo in preda al delirio” (ibidem). Quindi il responso del medico: “Pazzi, e per di più pazzi inguaribili” (idem).

Com‟è l‟uomo “elettrificato” del Duemila? Non può che essere affetto da tutte le caratteristiche dell‟elettricità, prime fra tutte la velocità e l‟agitazione. Infatti è nervoso, affrettato, frettoloso, agitato, ansioso. Non ha tempo: non ha tempo per il piacere della tavola (mangia in piedi al fastfood, per lo più pillole), non ha tempo per godere delle bellezze della natura (dove sono i paesaggi, i fiori, i cieli stellati, le albe, i tramonti, ecc.? la luna si studia ma non si ammira), non ha tempo per intrattenere rapporti sociali (dove sono gli amici, i colleghi di lavoro, gli stessi familiari?), non ha tempo per i piaceri intellettuali e spirituali (dove sono i libri, le biblioteche, l‟arte, la cultura, gli spettacoli?), non ha tempo per gli affetti (si procrea, e troppo, ma dov‟è il sentimento?). L‟uomo del Duemila corre, tutti corrono, anche le donne corrono: “Sembra che quegli uomini abbiano il fuoco addosso. Vanno e vengono quasi correndo. E anche la gente che si

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affolla nelle vie vicine pare che cammini sui tizzoni […], perfino le signore marciano a passo di corsa, come se avessero paura di perdere il treno”32.

Sopravviverà l‟uomo “elettrificato”? “Io mi domando – si dice Holker, concludendo la storia – se aumentando la tensione elettrica, l‟umanità intera, in un tempo più o meno lontano, non finirà per impazzire. Ecco un grande problema che dovrebbe preoccupare le menti dei nostri scienziati”

(idem, p. 219-220).

Epilogo futuro. Un giorno imprecisato, nella Infinita Regione dello Spazio-Tempo il pilota della nave spaziale Discovery One, David Bowman, atterrò sull‟Asteroide 27094 Salgari33. Il Governatore dell‟Asteroide, il Capitano Guido Altieri, gli chiese notizie della Terra: “Cosa è accaduto laggiù dopo che HAL 900034 ha preso il potere? L‟umanità sta meglio? O sta peggio?”. E Bowman iniziò a raccontare: “C‟era una volta …”35.

V. Un eroe tra gli eroi. Qui più che altrove risalta l‟“incorrect” di Salgari rispetto alla cultura ufficiale del tempo. Nell‟era della celebrazione del Progresso-Scienza-Tecnica, lui denuncia la dis-umanizzazione dell‟uomo moderno, la nevrosi di massa e l‟accelerazione dei ritmi di vita. E fa di Sandokan l‟incarnazione della forza primordiale, delle passioni e dei sentimenti: Sandokan è il coraggio, l‟audacia, il furore, il tormento, la ferocia, l‟odio, l‟onore, la lealtà, l‟amore, l‟amicizia, la solidarietà, il spirito di gruppo, l‟affettività familiare.

Nell‟era dell‟esaltazione dell‟Imperialismo-Colonialismo-Razzismo-Nazionalismo, lui fa l‟antinazionalista (Casalegno, 1981), l‟anticolonialista, l‟antirazzista e il terzomondista36. E si schiera indistintamente dalla parte dei “vinti”, contro ogni genere di vincitore. Contro gli Americani, in difesa dei pellerossa:

“Non fu un combattimento: fu un massacro. Gli indiani, sorpresi, caddero quasi senza combattere. Le donne furono sventrate, i fanciulli uccisi senza misericordia, schiacciando loro il capo contro le pietre. Sand-Creek è rimasto tristemente celebre, e si chiama anche oggidì Chivington-massacre, perché laggiù, fra le sabbie del ruscello, il sanguinario [il colonnello Chivington] ha perduto il suo onore”

(Salgari, 1908, p. 236-237).

32 Idem, p. 64-65. Cf. al riguardo A. Fattori (2011).

33 L‟asteroide 1998 UC23, scoperto il 25 ottobre 1998 da Ulisse Munari e Flavio Castellani, il 10 settembre 2003 è stato dedicato a Salgari con il nome 27094 Salgari.

34 HAL 9000 è il monolite nero che simboleggia l‟intelligenza artificiale in 2001: Odissea nello spazio (1968) di Arthur Clarke.

35 L‟Epilogo futuro è dello scrivente.

36 Non tutti sono concordi sul terzomondismo di Salgari. Tra i fautori, cf. Palermo (1980, p. 35) e Arpino-Antonetto (2010, p. 106).

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Contro gli Inglesi, in difesa degli Indiani: “Sì, erano gli inglesi che, tramutati in ladri e assassini, facevano irruzione nella città, saccheggiando e massacrando la popolazione che fuggiva, e davano un bel triste saggio della civiltà europea […] – Povera Dehli! Quanto sangue! Qui l‟esercito inglese lascerà il suo onore” (Salgari, 1904, p. 349 e 351). Contro i Francesi, allora alla conquista dell‟Indocina, come recita il sottotitolo di Tay See: Storia d‟amore ardente e di guerra feroce, laggiù in quei fantastici e ricchi paesi dove ora i francesi cercano di portare la civiltà a colpi di cannone (Salgari, 1883). Quanto agli Italiani, impegnati a conquistarsi il loro “posto al sole” in Africa, Salgari tace. Come dice Casalegno, la sua reticenza non è affatto casuale, ma imputabile a un grave caso di coscienza: egli avrebbe dovuto scegliere tra la patria e le sue convinzioni, e “non se la sentiva né di schierarsi con Menelik, né di approvare la conquista coloniale” (Casalegno, 1975, p. 2011).

Nell‟era dell‟accreditamento dell‟antisemitismo, tra pogrom e dreyfusianismi, ne I predoni del Sahara (Salgari, 1903) il marchese di Sartena rischia la vita per salvare il ricco ebreo Ben Nartico e la sua bella figlia Esther, che poi sposerà e condurrà in Europa.

Nell‟era del trionfo del “Capitalismo onnivoro” e del “Mercantilismo predatorio” (cf.

Ferrero, 2011, p. XIV), che divorano natura, animali, uomini e paesi, lui smaschera gli ipocriti speculatori, quali sono gli Americani impegnati nella guerra d‟indipendenza cubana contro la Spagna:

“– Andiamo, donna Dolores: credete voi che gli yankee abbiano intrapreso la guerra per spirito umanitario, per concedere la libertà agli insorti, come hanno strombazzato per tanto tempo?... L‟autonomia dei cubani!... Cosa importa a quegli egoisti mercanti? – Qual è dunque il motivo che li ha decisi a proclamare la guerra? – L‟attività insaziabile di quegli speculatori. – Si tratta dunque di un semplice affare? – Sì, donna Dolores. […] Aspettate, se vi riuscirà, che Cuba sia libera e vedrete quegli egoisti proclamare l‟indipendenza dell‟isola a loro beneficio, aggiungendo un‟altra stella alla loro bandiera” (Salgari, 1899, p. 28).

Nell‟era del culto del Denaro e dell‟Opulenza, lui ricorda i diseredati, come i migranti italiani: “Avrete sentito parlare di quei poveri contadini che, non trovando da guadagnarsi il pane nei loro paesetti, vanno a cercar fortuna nella lontana America” (Salgari, 1895).

Salgari-Sandokan37 “si vendica” allora dell‟uomo bianco:

37 L‟immedesimazione di Salgari in Sandokan è comprovata da due frasi scritte da Salgari sul retro di un foglio di appunti per la stesura de Le Tigri di Mompracem: “Avevo 23 anni quando caddi prigioniero del pirata Sandokan”; e “Io sono schiavo e compagno di Sandokan” (cit. in Arpino-Antonetto, 2010, p. 35).

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“[Sandokan] Di chi la colpa? Forse che gli uomini di razza bianca non sono stati inesorabili con me? Forse che non mi hanno detronizzato col pretesto che io diventavo troppo potente? Forse che non hanno assassinato mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle per distruggere la mia discendenza? Quale male avevo io fatto a costoro? La razza bianca non aveva mai avuto da dolersi di me, eppure mi volle schiacciare. Ora io l‟odio, siano spagnuoli, od olandesi, o inglesi o portoghesi, io li esecro e mi vendicherò terribilmente di loro” (Salgari, 2003, p. 7).

Ma non è solo desiderio di vendetta, peraltro funzionale alla dinamica del racconto. È anche amore della libertà e della giustizia. Non è quindi un caso che Casalegno abbia riconosciuto Salgari come suo “Maestro di libertà”, avendogli fatto provare per la prima volta “il disgusto della tirannide” (cf. Casalegno, 1975, p. 2011). Che il Comandante Che Guevara abbia letto in giovane età sessantadue sue opere e che Paco Ignacio Taibo II abbia voluto dare seguito al Ciclo indo- malese con il romanzo El retorno de los tigres de la Malasia38.

E forse non esagera chi interpreta il harakiri di Salgari come un suicidio “contro” (Ferrero, 2011, p. vii), contro quella Torino “elettrica” dell‟Expo che lo ignora e l‟umilia, che assurge a simbolo universale dell‟indifferenza ai deboli e dell‟arroganza dei forti, che inneggia al nuovo mondo delle macchine e ripone il vecchio mondo degli uomini. Contrariamente alla vulgata della sua indifferenza sociale e politica o del suo conservatorismo39, “il padre degli eroi” è lui stesso un eroe tra gli eroi, un eroico Don Chisciotte contro i mulini a vento d‟acciaio.

Riferimenti bibliografici

ANTONETTO Roberto. Vita, tempeste, sciagure di Emilio Salgari il padre degli eroi. Nota introduttiva a G. Arpino e R. Antonetto. Torino: Andrea Viglongo & C. Editori, 2010.

ARPINO Giovanni e ANTONETTO Roberto. Vita, tempeste, sciagure di Emilio Salgari il padre degli eroi. Torino: Andrea Viglongo & C. Editori, 2010 (1a ed. Milano: Rizzoli, 1982).

CAMPA Riccardo. “La Storia filosofica dei secoli futuri di Ippolito Nievo come caso esemplare di letteratura dell‟immaginario sociale”, AdVersuS, IX, dic. 2012, n. 23, p. 13-30.

CASALEGNO Carlo. “Contemporaneo di Kipling, rifiuta il nazionalismo”. Almanacco Piemontese, 1981.

CASALEGNO Carlo. “Salgari come maestro”. Il Racconto, dic. 1975, ora in La Stampa Cultura, 8 magg. 2011, col titolo “Con gli eroi di Salgari ho imparato la giustizia”.

38 Il romanzo è del 2010, la trad. it.: Ritornano le tigri della Malesia. Tropea: Fuorionda, 2011.

39 Cf. tra i tanti Traversetti (1989, p. 9-10, 49-52) e Fichera (2011).

Referências

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