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Número/Number IANUA REVISTA PHILOLOGICA ROMANICA. a minha língua é a minha pátria Fernando Pessoa. Romania Minor

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Número/Number 4

2003

IANUA

REVISTA PHILOLOGICA ROMANICA

a minha língua é a minha pátria

Fernando Pessoa

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IANUA

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EVISTA

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HILOLOGICA

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OMANICA

Número/Number 4 2003

Edita – Published by: Romania Minor <http://www.romaniaminor.net>

Director académico – Director acadèmic – Academic director: Xavier Frías Conde (C.E.S. Don Bosco – Universidad Complutense de Madrid).

Director técnico – Director tècnic – Technical director: Francesc González i Planas (Universitat de Girona).

Secretario – Secretari – Secretary: Xosé Antonio López Silva (Universidade de Santiago).

Consejo científico – Consell científic – Scientific Board: Carmen Mejía Ruiz (Universidad

Complutense de Madrid), Guido Mensching (Freie Universität Berlin), Roberto Ceolin (Institut für Romanistik-Universität Salzburg), Manuel Quintana Bouzas (C.E.S. Don Bosco – Universidad Complutense de Madrid), Roberto Bolognesi (University of Amsterdam), Alicia Casado (C.E.S. Don Bosco – Universidad Complutense de Madrid), Tim Gupton (University of Illinois), Maria Antònia Babí (Universitat de Swansea), Maurizio Virdis (Università di Cagliari), Giorgio Cadorini (Univerzita Karlova), Antonio Domínguez Rey (UNED).

ISSN: 1616-413X

Los astículos són responsabilidad de sus autores

Els articles són responsabilitat dels autors

The authors are responsible for the content of their articles

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ÍNDICE – ÍNDEX – INDEX

Tipologia e collocazione del sardo tra le lingue romanze

MAURIZIO VIRDIS ________________________________________________ 1-10

Premise pentru o cercetare stilistico-pragmatică a articolului hotărât în limba română

MARIA ALDEA__________________________________________________ 11-16

Diffirenzi principali ntra i parrati siciliani: Parti I. Varii diffirenzi

fonuloggichi (Sicilian version)

J.K. “KIRK” BONNER_____________________________________________ 17-28

Principal differences among Sicilian dialects: Part I. Phonological

differences (English version)

J.K. “KIRK” BONNER_____________________________________________ 29-38

Falsos amigos estruturais entre o português e o castelhano

ROBERTO CEOLIN _______________________________________________ 39-48

Le frioulan, sept ans après son officialisation

GIORGIO CADORINI_____________________________________________ 49-56

La tutela delle lingue minoritarie tra pregiudizi teorici, contrasti ideologici e buoni motivi

MARCO STOLFO________________________________________________ 57-72

El català a Andorra: Tota una lluita

GUILLEM MOLLA_______________________________________________ 73-90

La comparaison du langage politique en Roumanie et celui dans la République de Moldavie

PETER KOPECKY________________________________________________ 91-96

Notas d’antroducion a la lhiteratura mirandesa

AMADEU FERREIRA ____________________________________________ 97-114

El influjo del latín de los cristianos en la evolución general de la lengua latina

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TIPOLOGIA E COLLOCAZIONE DEL SARDO TRA LE LINGUE

ROMANZE

MAURIZIO VIRDIS

Una possibilità di descrivere e definire una lingua può essere quella di impostare una tale descrizione in chiave evolutivo-diacronica mediante la comparazione di essa all’interno del gruppo di lingue che condividono la medesima matrice genetica. Procedendo in tale maniera, si potrà stabilire una collocazione della lingua in oggetto all’interno di uno spazio linguistico geneticamente specificato, tramite l’individuazione di alcuni parametri di mutamento diacronico e la risposta che la data lingua in oggetto darà ad essi: cosicché la definizione che ne risulterà sarà ad un tempo tipologica e storico-grammaticale.

Intendo, nella prima parte di questo intervento, individuare alcuni di questi, potenzialmente innumerevoli, parametri, taluni dei quali tradizionalmente assunti dalla linguistica storica romanza, altri più o meno recentemente presi in considerazione; una volta individuati tali parametri sottoporrò il sardo a test, chiedendo in quale maniera esso si presenti e si comporti rispetto a ciascuno di tali parametri specificati e con quali altre lingue, o aree linguistiche tradizionalmente individuate, della stessa matrice storico-genetica (ossia neolatine) il sardo sia congruente o corrispondente e da quali altre invece diverga. In tale maniera si verrà a delineare uno spazio storico-geografico-linguistico romanzo più o meno frastagliato o più o meno omogeneo entro le cui sinuosità specifiche il sardo potrà trovare collocazione e definizione.

Prenderò innanzi tutto in considerazione nove parametri di carattere morfologico o morfosintattico.

1. Parametro della marcatura del Soggetto vs. marcatura dell’Oggetto; rispetto all’area settentrionale che comprende anche la Toscana (e dunque l’italiano), che mostrano o hanno mostrato storicamente la marcatura del soggetto (declinazione bicasuale francese e provenzale con marcatura del soggetto, e ampia residualità di nomina agentis che derivano dal caso nominativo: it. uomo, moglie, ladro; lomb. nievo; fr. lerre, pâtre, chantre) si pone l’area meridionale che non ha una tale marcatura o l’ha in forma assai ridotta, mentre di contro presenta la marcatura dell’oggetto mediante la preposizione a (tipo: vedo a Maria, vai a

prendere a Giovanni). Il sardo si schiera chiaramentecon la zona meridionale.

2. Mancanza vs. presenza di declinazione del pronome personale tonico di terza persona: il sardo presenta la forma unica issu (-a,-os,-as) mostrandosi congruente con l’Iberia e l’Italia meridionale, di contro alla Gallia e all’Italia settentrionale (toscano ivi compreso, e dunque italiano letterario e standard), aree nelle quali di tale pronome, vengono opposte forme al nominativo a forme all’obliquo: egli ~ lui/lei, il ~ lui (/a. fr. li).

3. Parametro dell’uso del partitivo: anche qui il sardo si colloca nella zona meridionale (Iberia e Italia del sud) in quanto non fa uso di partitivo, contro la zona settentrionale che ne fa uso pieno e l’italiano che ne fa uso più limitato.

4. Pratica assenza degli avverbi in -mente e uso avverbiale dell’aggettivo neutro, il sardo mostra congruenza col rumeno e in parte con l’italiano meridionale.

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5. Parametro del soggetto: il sardo è una lingua cosiddetta pro-drop, così come l’italiano e le lingue iberiche, mentre il francese insieme con i dialetti del nord-Italia è una lingua con obbligo di soggetto almeno pronominale.

6. Tipo di futuro e condizionale perifrastico del tipo habeo (ad) cantare (congruenza del sardo col rumeno)

7. Opposizione d’uso degli ausiliari essere vs. avere. L’Italiano tutto e la Gallia in senso ampio fanno uso dell’ausiliare essere con verbi intransitivi (è andato, è venuto, è arrivato, è caduto, è nato) contro l’Iberia che usa esclusivamente il verbo avere (ha ido, ha caído, ha llegado). Il sardo si colloca questa volta con le lingue di tipo settentrionale.

8. Parametro dell’accordo del participio passato col soggetto degli intransitivi o con l’oggetto dei transitivi. La risposta delle lingue rispetto a questo parametro non è univoca, ma possono opporsi anche in questa prospettiva lingue che hanno una più o meno ampia capacità di accordo del participio passato (francese, italiano) e lingue che non tolleralo un tale accordo come le lingue iberiche (es.: sp. María ha caído). In questo caso il sardo si schiera con le lingue di tipo settentrionale (Marìa est arrùtta, is mànus no si dhas fìat sciakwàdas). 9. Vitalità vs. debolezza/caducità del perfetto. Ancora una volta si oppongono lingue

settentrionali che mostrano una scarsa vitalità di questo tempo verbale a lingue meridionali che ne mostrano invece una maggior resistenza. È noto che l’italiano meridionale, lo spagnolo e il portoghese fanno largo uso del passato remoto derivato dal perfetto latino contro il francese che lo ha quasi eliminato dal parlato; mentre l’italiano standard mostra una posizione intermedia rispetto alla resistenza di tale tempo verbale, con un’accelerazione della sua scomparsa nel parlato moderno. Il sardo si mostra invece coerente, da questo punto di vista, con le lingue settentrionali non avendo più da tempo (salvo casi residuali in alcune aree dialettali o nel registro aulico poetico tradizionale) forme verbali che continuino il perfetto latino che viene sostituito, come nelle lingue settentrionali tramite tempi composti di ausiliare + participio passato.

Va osservato che gli ultimi tre parametri sono visti dalla ricerca linguistica attuale in campo romanzo (cf. La Fauci, Zamboni) come interconnessi sia dal punto di vista diacronico, sia dal punto di vista tipologico; infatti l’opposizione d’uso degli ausiliari essere~avere mantiene l’originaria opposizione diatesica latina attivo~medio, che veniva messa in crisi proprio dall’accordo del participio passato sia col soggetto dei verbi medi sia con l’oggetto dei verbi attivi. A questa crisi le lingue iberiche reagiscono diversamente: e cioè eliminando l’accordo del participio passato con l’oggetto, mantenendo il perfetto latino non perifrastico, così quindi marginalizzando il nuovo perfetto perifrastico, e infine non accettando una distinzione oppositiva degli ausiliari essere~avere. I dialetti italiani meridionali solo parzialmente si radicalizzano in questa scelta processuale evolutiva, accettando la marginalizzazione dei nuovi perfetti perifrastici, ma non accettando la soluzione radicale iberica del non accordo del participio e l’uso dell’ausiliare avere esteso anche agli intransitivi e medi; i dialetti dell’Italia del sud stanno, relativamente a questi tre parametri in questione, in posizione mediana rispetto alle due opposte posizioni coerenti: da un lato quella delle lingue centrali (Gallia, Italia settentrionale con italiano standard contemporaneo e sardo) Iberoromania dall’altro.

Sono poi ovviamente interconnessi i parametri 1) mantenimento di una declinazione bicasuale con marcatura del soggetto vs. marcatura preposizionale dell’oggetto; e 2) unica forma non marcata per il pronome tonico di terza persona vs. distinzione nominativo~obliquo: tipo egli ~ lui/lei, il ~ lui (/a. fr. li); il diverso comportamento rispetto a tali parametri manifesta, morfologicamente, una relativamente precoce scomparsa della flessione nominale, oppure un suo parziale mantenimento fino ad epoca relativamente tarda;

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rispetto a tali parametri il sardo è congruente con l’iberoromanzo e con i dialetti dell’Italia del sud. Le lingue che mostrano la scomparsa della declinazione e l’oggetto con preposizione certo manifestano fenomenicamente una minore aderenza al latino, il che, come è stato proposto, potrebbe derivare da una precoce romanizzazione che in una primitiva fase creolizzante avrebbe eliminato fin da subito la declinazione: in tali lingue la funzionalità dell’oggetto (almeno quello di livello alto nella scala dell’animatezza) sarebbe poi stata marcata tramite l’impiego della preposizione. Tuttavia da un punto di vista strutturale i due tipi che si generano sotto questi due parametri, mantengono l’originaria opposizione fondamentale nominativo~accusativo, sia pure con diversa e opposta marcatura (per il nominativo nelle lingue centrali (italiano settentrionale e toscano), e per l’accusativo nelle lingue meridionali e laterali (Iberia, Italia del sud, Sardegna e Romania).

Considerando comunque l’insieme di tutti i nove parametri possiamo vedere delineanarsi due principali aree geolinguistiche: una settentrionale che comprende la Gallia in senso lato (con l’Italia settentrionale e l’area ladina) e una meridionale che comprende l’Iberia e la Sardegna, mentre la Toscana e quindi l’italiano resta fluttuante fra le due, rendendosi congruente ora con l’una per certi parametri, ora con l’altra per certi altri; quanto al sardo, esso se in linea di massima si mostra congruente con l’area meridionale (ossia con l’Iberia e l’Italia del sud), tuttavia per i tre interconnessi parametri 7), 8) e 9) il sardo è congruente con l’area settentrionale compresa la Toscana, e dunque con l’italiano.

Se prendiamo in considerazione la congruenza del sardo con ciascun altra lingua o area linguistica, vediamo che la congruenza maggiore il sardo la ottiene con l’Italia del sud: sette parametri contro due: 1) maracatura dell’oggetto; 2) forma unica per il pronome di terza persona; 3) non uso del partitivo; 4) pratica assenza degli avverbi in -mente; 5) parametro del soggetto nullo; 7) opposizione ausiliari essere ~ avere; 8) accordo del participio passato con l’oggetto. Segue la congruenza con l’Iberia e la Toscana (l’italiano) aree con le quali il sardo condivide il medesimo comportamento per quattro parametri su nove, anche se i parametri con i quali esso corrisponde a ciascuna delle due aree non sono i medesimi rispettivamente: infatti con l’Iberia il sardo mostra il medesimo comportamento rispetto ai seguenti parametri (del resto condivisi con l’Italia meridionale): 1) maracatura dell’oggetto; 2) forma unica non declinata per il pronome di terza persona; 3) non uso del partitivo; 5) parametro del soggetto nullo. Mentre i quattro tratti parametrali condivisi con la Toscana e con l’italiano sono: 5) parametro del soggetto nullo; 7) opposizione degli ausiliari essere ~ avere; 8) accordo del part. pass. con l’oggetto; e tendenzialmente 9) tendenziale scomparsa del perfetto nell’italiano standard. L’unico parametro condiviso da sardo, iberoromanzo e toscano-italiano è quindi il parametro 5) ossia quello del soggetto nullo. Inoltre e infine, come già detto, il sardo condivide con i dialetti dell’Italia del nord e con l’italiano standard la risposta ai parametri 7), 8), e 9), dove il parametro 9) (l’obliterazione del perfetto) è per l’italiano, lo ricordo ancora, tendenziale e non compiuta. Con i dialetti meridionali e con l’italiano standard il sardo condivide i parametri 5), 7), 8); mentre un’area panitaliana che comprenda anche il sardo è individuata solo dai parametri 7) ed 8): opposizione degli ausiliari essere ~ avere, accordo del part. pass. con l’oggetto.

* * *

Esaminiamo ora alcuni dati di tipo fonetico; il sardo può caratterizzarsi per i seguenti fenomeni parametrici:

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1. Il mantenimento della -S finale con le ben note ricadute morfologiche per ciò che

concerne la marcatura dei plurali e le desinenze della coniugazione. In tale ambito ilsardo è congruente con le lingue occidentali (Sardo, Ibe., Gallia).

2. Un sistema vocalico a cinque elementi fonematici con varianti metafonetiche per la vocali medie e ed o; come noto, il sardo trova corrispondenza, a questo proposito, con il corso e con alcuni dialetti meridionali e forse, anticamente, con l’Africa romana.

3. La presenza (mantenimento conservativo) della metafonesi; (da questo punto di vista il sardo mostra congruenza trasparente con i dialetti italiani meridionali, congruenza opaca con il portoghese e il provenzale, congruenza indiretta ma storicamente ricostruibile con il castigliano); tale fenomeno comporta riflessi a livello fonematico nel campidanese, in quanto la neutralizzazione e riduzione dei fonemi vocalici -e ed -o finali di parola in -i e -u rispettivamente fonematizza le varianti medio alte e medio basse di e e di o toniche. 4. Isocronia vocalica vs. isocronia sillabica (congruenza del sardo, con l’area iberoromanza

che manifestano isocronia vocalica e insensibilità al tipo sillabico chiuso o aperto contro tutta l’area italoromanza e galloromanza).

5. Indebolimento delle occlusive intervocaliche: il sardo mostra, da un punto di vista della classificazione tipologica e della comparazione interlinguistica romanza, una situazione mediana e non omologabile con quella di altre aree. Infatti da un lato la più gran parte delle parlate sarde mostrano il digradamento delle occlusive sorde in posizione intervocalica a fricative sonore, così come avviene nell’Iberia e nella Gallia, con l’Italia del nord, e a differenza dell’Italia centromeridionale dove tale fenomeno di digradamento, se pure presente, è per lo più un fatto di variazione fonematica (nel senso che i suoni indeboliti e sonorizzati covariano con quelli sordi), mentre nelle parlate sarde i suoni indeboliti e sonorizzati acquistano valore e statuto di fonema (es. pìku ~ pìgu, sòka ~ sòga, kòka ~ kòga, fàta ~ fàda, kùpa ~ kùba, skročài ~ skrožài; anche con valore morfonematico: (ìssu) pàpa kàzu

(ind. 3a s.) ~ pàpa gàzu (dùi) (imp. 2a s) essendo la sorda il risultato di C+Coccl. sor.+V e la

fricativa sonora il risultato di V+Coccl. sor.+V); il fonema fricativo sonoro si oppone poi

anche, sia pure con basso rendimento, alle sonore occlusive corrispondenti (sàba ~ s’àbba, abùdhu ~ abbùdhu; sagdu ~ s’aggràdu; e si veda almeno un caso di opposizione a tre elementi: akàtu ~ agàtu ~ aggàtu, ed anche i termini della succitata coppia abùdhu ~ abbùdhu potrebbero aver un terzo elemento oppositivo con l’occlusiva sorda: a pudhu). D’altro canto però le fricative sonore sarde mostrano al contempo uno statuto variabilità: nel sensoche esse —a livello però morfonemico e non fonologico— sono varianti fonematiche in fonetica sintattica e in morfotassi: infatti una occlusiva sorda in posizione di inizio di parola rimane intatta dopo pausa o dopo parola uscente in consonante, ma digrada nella corrispettiva sonora fricativa qualora essa stessasi venga a trovare in contesto intervocalico (es. pèna :: sa bèna, tèrra :: sa dèrra, kùssu :: de gùssu, in čélu :: de žélu). Da questo punto di vista dunque, il sardo è congruente con l’italiano centromeridionale, e si separa dall’occidente romanzo con cui era invece legato per il precedente aspetto. Il fenomeno in questione è in rapporto con quello dell’esito della correlazione di geminazione, ed inoltre, in maniera diacronicamente e diatopicamente connessa, esso, come si diceva ed è noto, non si verifica di tutte le parlate sarde: infatti le parlate delle zone centrali (Nuoro e la Barbagia quivi circostante, la zona bittese e la Baronia) non conoscono (o conoscono parzialmente) il digradamento delle occlusive sorde intervocaliche che tendono a rimanere intatte: e tuttavia la correlazione di geminazione in quest’area rimane anche se la sua effettiva realizzazione fisico-fonica resta difficile e diseconomica dal punto di vista acustico. L’articolazione di -K-, -P-, -T- originarie latine è infatti, nelle zone centrali diversa

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scempie sono pronunciate con un energia maggiore e uno stop glottidale che ne abbrevia la durata al contrario delle doppie originarie che non sono realizzate con tale articolazione (sìKu ~ siku, fàTa ~ fàta, kùPa ~ kùpa o magari si vedala coppia quasi minima kùPa ~ kùpu,

mùTu ~ mùtu, corrùTu ~ korrùtu, lùTu ~ lùtu, de Tótu Kùssu); né va dimenticato che i

documenti medievali mostrano oscillazione fra occlusiva mantenuta e occlusiva indebolita e sonorizzata. Il digradamento sardo ha potuto trovare diacronicamente dunque una via di realizzazione forse proprio a partire da questa diseconomia originaria. Pertanto il sardo sotto questo aspetto si pone in una via mediana fra occidente e oriente neolatino in quanto da un lato presenta la fonematizzazione del suono fricativo sonoro derivato da un originario occlusivo sordo, ma d’altro lato le fricative mantengono più che la traccia dello statuto di variante fonematica del corrispettivo sordo, come s’è visto; e se è vero che le varianti diatopiche sono la proiezione di ciò che una volta erano varianti diastratiche o diafasiche in sincronia, possiamo pensare che la situazione odierna dei dialetti centrali sia almeno simile a ciò che dovette essere all’origine la situazione nelle altre regioni dell’Isola: ossia una situazione conservativa ma con una realizzazione fonetica particolare delle occlusive sorde scempie in posizione intervocalica, realizzazione che ‘naturalmente’, per ragioni puramente fonico-articolatorie, e indirettamente, per ragioni ‘economiche’, spingeva verso la sonorizzazione.

La questione dell’indebolimento delle occlusive sorde intervocaliche, qui sopra appena trattato, ci ha posto a metà strada fra questioni relative alla classificazione del sardo all’interno dell’universo romanzo e a fatti di diatopia interna allo spazio del sardo medesimo, oltre che di fronte a questioni di ristrutturazione interna. Un qualcosa di simile ci si presenta riguardo al problema dell’evoluzione delle velari originarie latine k e ĝ di fronte alle vocali anteriori e ed i. Ènoto che questo viene considerato un tratto arcaico di quasi esclusività sarda (dico quasi, perché il fenomeno è parzialmente conosciuto anche dal dalmatico, lingua ormai estinta); ed è pure nota la distribuzione areale di tale stesso fenomeno: che è presente nei dialetti centrali e nel logudorese, mentre il campidanese (comprese le aree ogliastrina e barbaricina meridionale) presenta la palatalizzazione dei fonemi velari come tutta la Romània. Tradizionalmente, in parte fino ad oggi, si ammette la conservazione di tali fonemi velari come una continuazione ininterrotta dei suoni originari latini, mentre la palatalizzazione campidanese sarebbe il risultato di una influenza toscana sull’area meridionale dell’Isola in epoca basso medievale. La situazione è però più complessa di quanto non si sia detto. Espongo prima sinteticamente la mia tesi, porterò poi a sostegno alcune argomentazioni sia testimoniali sia di metodo. Sono dell’avviso che la palatalizzazione in sardo campidanese sia indipendente, nella sua genesi almeno, dall’influsso toscano e che il germe sia stato tutto indigeno e compartito in tutto il dominio sardo, comprese quindi le aree centrosettentionali. L’intacco (l’intacco almeno) delle velari, diffuso ovunque, avrebbe avuto però, e mantenuto a lungo, lo status di variante fonematica e non quello di fonema: solo successivamente si sarebbe operata una scelta o a favore della variante conservativa nel settentrione, o nel meridione invece, a favore della variante innovativa palatalizzata. Possono avvalorare questa ipotesi intanto alcune testimonianze medievali: forme come batuier per batugher nel CSPS o ieneru per ĝeneru nel CSPS e nel CSNT; ma anche forme del CSMB come anzilla/angilla, bingi/bingindellu, kergidore danno da pensare e non si possono ritenere come voci isolate e casuali; esse sono comunque la spia di un qualcosa. Come risulta dagli esempi citati, queste strane forme con g anzi che con k velare sordo (binki, ankilla, kerkidore) —una g che presumo palatale (ğ), e le varianti anzilla/angilla per il più consueto ankilla conferma ciò— presentano tutte una g postconsonantica, e occorrono dopo n e dopo r. Ora è noto che in sardo i nessi nj e rj evolvono in nğ e rğ attraverso una fase in cui la g palatale non ha ancora raggiunto la fase

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alveopalatale (un suono intermedio ģ, quale potrebbe essere documentato per altro nello stesso CSMB, dalle scritture Murghia (172) e venghio (174) anziché Murgiae bengiu). Queste scritture di cui diciamo (bingi, angilla, kergidore) possono insomma rappresentare proprio questi suoni intermedi nģ e rģ: nella fasemedievale tali suoni intermedi potevano confondersi con le realizzazioni palatali —non ancora alveopalatali— ć, di nk e rk originarie che evolvevano appunto verso nć e rć, dove. Insomma, nel caso delle nostre grafie bingi, angilla, kergidore, tale suono intermedio ć poteva essere realizzato come sonora ģ per il doppio influsso della sonorità delle liquide n e r e per la assimilazione di nć e rć con i tipi da nj e rj realizzati appunto nģ e rģ. Oltre che queste grafie medievali, possono suffragare l’ipotesi in questione determinate varianti dialettali, presenti in Barbagia e in Arborea, come ĝenna per ğenna <

JENUA o ĝiniperu per ğiniperu < JENIPERU per JUNIPERU; si tratta, come si vede, di evoluzioni

inconsuete in quanto J latina non dà di regola una velare sonora ĝ, ma semmai una palatale ğ:

orbene solo a partire da forme con intacco palatale ma non ancora pienamente svolte (solo cioè da forme come appunto ģenna o ģiniperu) si poteva per così dire, retrocedere a forme con la velare ĝenna o ĝiniperu; e, inoltre, solo nel caso che il suono con intacco palatale a partire da suono velare fosse una variante alternante col suono velare medesimo; né va poi dimenticato che le parlate meridionali rendono con č (palatale) il nesso kj degli imprestiti medievali dal toscano, p. es. aparičài, béču, sìča rispettivamente da apparecchiare, vecchio, secchia: ciò si può spiegare col fatto che tale suono kj toscano andava a confondersi e a sovrapporsi all’originario suono velare con intacco palatale ć, per cui essendo quest’ultimo passato poi a č (palatale) forse proprio per influsso toscano, tanto il suono originario latino con intacco quanto quello degli imprestiti toscani con kj finirono per confluire nell’esito č palatale.

Del resto i dialetti arborensi mostrano, tanto oggi quanto nella fase medievale, la rottura di una simmetria secondo la quale laddove i nessi originari latini C,T+J evolvono in q > t

(pùqu/pùtu, àqa/àta) si ha la conservazione delle velari (come nei dialetti logudoresi e nuoresi), mentre laddove i nessi originari latini C,T+J evolvono in ts (pùtsu, àtsa) le velari sono

palatalizzate; in Arborea abbiamo invece da un lato la conservazione delle velari di tipo settentrionale, dall’altro il passaggio di C,T+J in ts di tipo meridionale. Segno questo di un

conflitto diacronico, i cui particolari non v’è lo spazio perché siano qui descritti, ma che mostrano comunque come le velari logudoresi sarde non siano il supino proseguimento conservativo delle velari latine, così come le palatali campidanesi non siano il mero risultato di un influsso esogeno. Si può invece pensare a una più o meno lunga fase predocumentaria e altomedievale, in cui siano coesistite due varianti, quella velare e quella palatale, ciascuna magari con annessa valutazione sociolinguistica (forse alta per le velari e bassa per le palatali), e che ciascuna delle due macroaree del dominio sardo abbiano a un certo momento categorizzato una delle due varianti in gioco: così i dialetti settentrionali hanno optato per le velari, forse considerate di maggior prestigio o tradizione, mentre i dialetti meridionali avrebbero optato per la variante palatale, questa volta sì, si può ammettere, per propulsione del toscano, il quale dunque non avrebbe generato il fenomeno della palatalizzazione campidanese, ma lo avrebbe solo reso categorico a partire da una situazione di variabilità in cui alternavano velari e palatali; si può così spiegare, senza tema di contraddizione, il fatto che i più antichi testi campidanesi mostrino anch’essi chiara testimonianza della conservazione delle velari. Tutto ciò restituirebbe alla lingua sarda la figura di una storia più mossa e dinamica di quanto in genere non si ammetta, per cui l’idea tradizionale di un conservatorismo trasparente e lineare del sardo sarebbe quantomeno da rivedere alla luce di un andamento evolutivo complesso e non così rettilineo come si è voluto.

E ancora non così trasparente e pacifica è l’opinione che vuole i dialetti logudoresi e ancor più i nuoresi sempre e comunque conservativi contro i dialetti campidanesi invece sempre innovativi e proni all’influsso straniero. Molte volte è vero invece il contrario. E non sto a

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dire di opinioni che ritengo veri e propri feticci folcloristici —ma che hanno però influsso sulla prassi e sul pensare comuni— opinioni relative a pretese purezze e fedeltà linguistiche contro compromissioni e incaute aperture a corruttele di influsso straniero. Per esempio lo sviluppo di –L- intervocalica latina in campidanese, sviluppo che si realizza come [b.], [ŗ], [w],

[gw] è a mio parere il riflesso di una più antica latina realizzazione della [l] che era velare e non dentale; mentre l’esito -ll- campidanese a partire dal nesso latino -LJ- —anziché [ğ] o [dz] del

logudorese (p. es. fìllu contro fìğu o fìdzu)— è in connessione, attraverso un processo lungo e complesso, che non posso riassumere qui,proprio con gli esiti di -L-. E ciò per stare solo ad

alcuni fatti fonetici; ma potremmo aggiungere quanto meno il mantenimento campidanese della LL geminata originaria latina nei pronomi atoni dhu e dhi (< (I)LLUM, (I)LLI) contro l’esito

innovativo logudorese lu e li (< (IL)LLUM, (IL)LI) che mostrano lo scempiamento della LL

geminata originaria; così come a livello lessicale skarèširi campiadanese è genuinamente latino

da EXACADESCERE mentre i logudoresi olvidàre o irmentigàre sono degli imprestiti stranieri. Né

kèrrere è più antico del campidanese bòliri, ma sono entrambi parimenti antichi. * * *

Dal punto di vista sintattico ricorderemo innanzi tutto che il sardo, tanto medioevale quanto odierno, è, come già detto sopra, una lingua pro-drop, ossia a soggetto nullo, al pari del meridione romanzo (ossia dell’area italiana centro meridionale, toscana compresa e dell’area iberoromanza); osserveremo ancora che il sardo medievale, come tutte le lingue neolatine in tale fase storica, ha attraversato una fase tipologico sintattica con sogetto postverbale (tipo VSO); e infine ricorderemo che il sardo è stato anch’esso soggetto alla legge Tobler-Mussafia.

Il sardo si caratterizza, inoltre ieri come oggi, per alcuni tratti:

1. L’accordo del verbo non solo con il soggetto, come ben ovvio per ogni lingua indoeuropea, ma anche con altri argomenti che dal predicato verbale dipendono, e in primo luogo con l’oggetto, accordo che si realizza tramite i clitici, di cui il sardo fa largo uso, dando luogo a costruzioni endofrastiche; nel senso che la frase elementare [(S)VOX(X)(S)] è costituita da un verbo accompagnato da clitici che anticipano la realizzazione lessicale dei suoi argomenti facenti parte della sua rappresentazione lessicale profonda; e d’altra parte, ancora, il verbo può essere accompagnato da clitici anche in assenza di realizzazioni lessicali. Frasi come imoi mi dha papu una pira, li kerìa regalare una

zóiga a Maria, mi ‘nci seu andendi a Milis, ndhi seu torrau de Nùoro, (n)ke soe torrau dae Kastedhu, ‘nd’anti sciusciau su ponte mostrano una anticipazione, che potrebbe apparire pleonastica o

parassitaria, degli argomenti lessicali del verbo, ma frasi del genere sono del tutto normali in sardo, tanto più che verbi accompagnati da clitici sono normali anche senza successiva realizzazione lessicale degli argomenti: kalanci, beninci, benitike, (‘n)k’ada a torrare crasa, ‘nde kalat, ‘nci apu bogau totu sa burrumballa.

2. La forma progressiva del tipo e s s e r e + g e r u n d i o (del tipo seu andendi, soe fachindhe, ecc.) come forma non marcata (cf. sardo est sèmpere mandigandhe peta, it. mangia continuamente/spesso carne).

3. L’infinito non controllato, ossia la possibilità di proposizioni infinitive con soggetto esplicitato o non esplicitato e, qualora esplicito, sempre in posizione post-verbale; quel che va soprattutto notato è che in tale tipo sintattico il soggetto non è controllato da alcun elemento della proposizioni reggente (p. es.: no kerzo a k’imbolare sa grassia ‘e Deus, no bollu a mi triulai accanta is pipìus, no bollu a bessiri); tali frasi possono anche essere costruite, nel logudorese, tramite una sorta di infinito personale e/o congiuntivo imperfetto introdotto da preposizioni che generalmente introducono l’infinito (Babu m’at narau sèmpere a no

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IANUA 4 (2003) Tipologia e collocazione del sardo tra le lingue romanze

ISSN 1616-413X 8 http://www.romaniaminor.net/ianua

imbolaremus sa grassia ‘e Deus, no kerìo a mi triularen accanta sos pitzinnos, depìa torrare a domo

innanti de ghiraret frade miu).

4. La vasta accessibilità del ramo sinistro (in termini generativisti) della struttura frasale, ossia l’ampia possibilità di riempire con materiale frastico il nodo SpecC (Specificatore del Complementatore). L’eventuale materiale frastico collocato in tale posizione non necessariamente copre le funzioni di focalizzazione contrastiva, ma può assumere la funzione anche ‘solo’ di ‘mise en relief’: per esempio, una sindria mi papu imoi, sa scivedha est sciaquendi Giuanni, is ogus ‘nci aìa ghetau a pitzus Efis; il valore di tali frasi con oggetto anteposto è spesso anche quello della frase scissa, benché senza valore contrastivo; le frasi sopra esemplificate possono però avere diverse sfumature: per esempio, una sindria mi papu imoi può valere «ciò che mangio è un’anguria :: ecco ciò che voglio mangiare: un’anguria :: ecco qua un’anguria, quasi quasi me la mangio»; sa scivedha est sciaquendi Giuanni potrebbe significare «ciò che Giovanni sta lavando è il catino :: guarda, che cosa sta lavando Giovanni: il catino :: a proposito di quel catino, Giovanni lo sta lavando, ora»; is ogus ‘nci aìa ghetau a pitzus Efis può valere «Efis ci aveva proprio messo gli occhi sopra». L’anteposizione serve insomma a tematizzare l’elemento anteposto (o magari il microcontesto in cui esso si trova inserito): nell’espressione del tipo cussa lìtera lìtera est iscriendi totu su mengianu non vi è ovviamente una dislocazione a sinistra dell’oggetto in quanto non v’è copia clitica di esso, né una frase simile necessariamente ha la funzione di focalizzare l’oggetto medesimo, ma può significare che il soggetto della frase è occupato tutta la mattina (proprio) a scrivere (proprio) quella lettera / quella lettera che sappiamo doveva scrivere; e il gioco delle sfumature può proseguire con vasta gamma di plasticità: iscriende cussa lìtera est totu su manzanu, cussa lìtera lìtera iscriende est, totu su manzanu. Una frase come sa dòmu at sciusciau Baingiu oltre che poter portare su di sé la funzione focalizzante più o meno contrastiva, può anche significare «Baingiu ha buttato giù la casa: e chi se l’aspettava?! // Baingiu ha buttato giù la casa: proprio quello che doveva / non doveva fare!»; oppure la frase in questione (sa dòmu at sciusciau Baingiu) potrebbe essere una risposta alla domanda, magari implicita nel discorso, «perché Baingiu è senza domicilio?» risposta che parafrasata sarebbe «ora Baingiu non ha domicilio / non sa dove stare perché ha buttato giù la casa, ossia il luogo dove poteva risiedere/ricoverarsi»; a una domanda come «perché c’è questa corrente d’aria?» si può dare certamente una risposta come an apertu sa ventana, ma una risposta come sa ventana an apertu aggiunge implicitamente il significato «è da lì, dalla finestra, che entra la corrente d’aria che ti infastidisce».

5. Ultimo ma non per ultimo la posizione del soggetto, che in sardo che può stare alla fine della frase: quasi una sorta di grammaticalizzazione della posizione strutturale e/o pragmatica della cosiddetta ‘coda’ o ‘afterthought’, con effetti e sfumature di senso che vi possono stare connesse, quali quelle di focalizzare o defocalizzare il soggetto. Due frasi simili ma con diversa collocazione del soggetto possono avere implicazioni pragmatiche diverse: p. es., a una implicita domanda «perché sei allegro», si può rispondere ca Maria at cantadu una cantzone, oppure ca at cantadu una cantzone Maria: nel primo caso viene a dirsi che l’allegria è dovuta al fatto che Maria, proprio lei, ha cantato / che è stata Maria a cantare, mentre nel secondo con soggetto in coda si vuol dire che l’allegria è dovuta al fatto che sia stata cantata una canzone, la quale canzone, più o meno incidentalmente per il soggetto ascoltante, è stata cantata da Maria.

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IANUA 4 (2003) Maurizio Virdis

Congruenze ~ Incongruenze Congruenze ~ Incongruenze

del sardo per ciascun parametro del sardo per ciascun parametro

1) Sr, Ib, It-s ~ It, It-n, Gl 6) Sr, Rm ~ Ib, It-s, It, It-n, Gl

2) Sr, Ib, It-s ~ It, It-n, Gl 7) Sr, It, It-n, It-s, Gl ~ Ib

3) Sr, It-s, Ib ~ It, It-n, Gl 8) Sr, It, It-n, It-s, Gl ~ Ib

4) Sr, Rm, It-s ~ It, It-n, Ib, Gl 9) Sr, It, It-n, Gl ~ Ib, It-s

5) Sr, It, It-s, Ib ~ It-n, Gl

AREE DI CONGRUENZA

Sardo ^ It-s 1,2,3,4,5,7,8 7::2 Sardo ^ Ib ^ It-s 1,2,3,5 4::5

Sardo ^ Ib 1,2,3,5 4::5 Sardo ^ Ib ^ It 5 1::8

Sardo ^ It 5,7, 8, (9) 4::5 Sardo ^ It ^ Gl 7,8,9 3::6

Sardo ^ It-n 7,8,9 3::6 Sardo ^ It ^ It-s 5,7,8 3::6

Sardo ^ Gl 7,8,9 3::6 Sardo ^It ^It-s ^It-n 7,8 2::7

AREE DI CONGRUENZA PER TRATTIFONETICI

Per 1) sardo, Ib, Gl ~ It

Per 2) sardo (It-s, corso) ~ tutto Per 3) sardo, Ib, Prov., It-s~ It. Franc. Per 4) sardo, Ib ~ It, Gl

Per 5) a) sardo, Ib, Gl, It-n ~ It (It-s) b) sardo, It (It-s) ~ Ib, Gl

Sardo ^Ib 1,3,4(3 (+1)::1 (+1)) sardo ^ It (1 ((1)::4))

Sr = sardo, Ib = lingue iberoromanze, It = italiano, It-n = dialetti dell’Italia del nord, It-s = dialetti dell’Italia del sud, Gl = lingue galloromanze, Rm = rumeno.

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PREMISE PENTRU O CERCETARE STILISTICO-PRAGMATICĂ A

ARTICOLULUI HOTĂRÂT ÎN LIMBA ROMÂNĂ

MARIA ALDEA

Universitatea «Babeş-Bolyai» Cluj-Napoca, România

0. Problema articolului1 românesc a suscitat atenţia cercetătorilor români şi străini. Lucrările

consacrate acestuia îl tratează fie la nivel gramatical (morfo-sintactic), fie la nivel stilistic (valori afective), însă, ambele abordări se circumscriu planului limbii ca sistem. Lucrarea noastră îşi propune drept obiect de cercetare studiul articolului hotărât la nivel stilistico-pragmatic, înţelegând prin stilistico-pragmatic nivelul vorbirii, limbajul oral. Oprindu-ne doar la studiile consacrate analizei valorilor afective ale articolului în limba română, constatăm că acestea sunt foarte puţine2, de aici, gradul de dificultate pe care-l ridică

o asemenea abordare.

Apelând la concepţia coşeriană asupra vorbirii, vom arăta, pe de o parte, că, spre deosebire de valorile realizate în planul limbii, articolul hotărât funcţionează diferit la nivelul vorbirii, înregistrând alte valori şi, pe de altă parte, vom căuta să-l încadrăm în grupul determinanţilor numelui, oferind, astfel, puncte de plecare pentru o analiză stilistico-pragmatică a acestuia.

1. Pornind de la dihotomia saussuriană langue/parole,3 Coseriu (1994: 52-60) o va

reinterpreta, considerând, pe de o parte, că vorbirea trebuie să fie luată ca bază, «necesităţile şi funcţiunile din vorbire […] ca măsură pentru toate manifestările limbajului, chiar şi pentru ceea ce este limba în vorbire […], fiindcă vorbim totdeauna o limbă» şi, pe de altă parte, distingând în cadrul limbii între o limbă istorică, înţeleasă ca «o limbă care s-a dezvoltat în istorie, cu o sumă de tradiţii comune, şi care se recunoaşte ca limbă de către proprii ei vorbitori, şi de vorbitorii altor limbi» şi o limbă funcţională, limba care funcţionează în discursuri, un sistem lingvistic unitar «sintopic, sinstratic şi sinfazic». Prin urmare, propunem

1 În limba română, după structura lexicală formală, articolul se clasifică în: articol hotărât (-l, -a, -i, -le, -lui, -ei,

-lor), articol nehotărât (un, unui, o, unei, nişte, unor), articol posesiv genitival (al, a, ai, ale, alor), articol demonstrativ adjectival (cel, celui, cea, celei, cei, cele, celor).

2 Florica Dimitrescu: «Observaţii asupra valorilor afective ale articolelor nehotărâte în limba română». Studii şi

cercetări lingvistice, nr. 1-2 (1954), pp. 93-97; Valeria Guţu-Romalo: «Unele valori ale articolului în limba română actuală». Omagiu lui Iorgu Iordan cu prilejul împlinirii a 70 de ani. Bucureşti, 1958, pp. 365-371; Ecaterina Mihăilă: «Utilizări ale articolului în poezia actuală». Studii şi cercetări lingvistice, nr. 5 (1985), pp. 427-430; Rodica Ocheşeanu: «Observaţii asupra folosirii articolului genitival în limba presei actuale». Limba Română, nr. 4 (1957), pp. 27-30; L[iviu] O[nu]: «Valoarea stilistică a articolului nehotărât». Steaua, nr. 3 (1955), pp. 120-122; R. Piotrovski: «Întrebuinţarea artistică a articolului la scriitorii români». Studii şi cercetări lingvistice, nr. 3 (1960), pp. 625-632; R. Piotrovski: «Articolul hotărât şi cel nehotărât în proza şi în poezia românească». Cercetări de lingvistică, nr. 1 (1965), pp. 143-146.

3 În accepţia lui Saussure, langue reprezintă sistemul lingvistic care se realizează în vorbire şi aparţine societăţii,

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ca analiza articolului hotărât să se facă prin raportare la cele două planuri enunţate mai sus: planul limbii şi planul vorbirii.

2. Precizăm, în continuare, valorile atribuite articolului hotărât în planul limbii, valori pe care le-am prezentat detaliat într-o altă lucrare.4

2.1. În planul limbii, în analiza articolului se conturează două direcţii de interpretare, anume (1) o direcţie clasică, care consideră articolul ca parte de vorbire,5 adică cuvânt, şi (2) o direcţie

structuralistă, care acordă articolului statutul de morfem al categoriei gramaticale a determinării, a patra categorie gramaticală a numelui. În susţinerea acestei de-a doua

interpretări, aduc argumente majoritatea cercetătorilor,6 care au considerat că a patra

categorie gramaticală a substantivului, categoria gramaticală a determinării, cuprinde, în limba română, trei termeni:7 articol hotărât, articol nehotărât şi articol Ø, întrucât «articolul exprimă

valori nu noţiuni» (Diaconescu 1961: 168). Aşadar, articolul românesc exprimă trei valori: (a) nedeterminat, când substantivul este nearticulat, (b) determinat —indefinit, când substantivul este articulat indefinit— şi (c) determinat —definit, când substantivul este articulat definit—, şi realizează trei opoziţii:

1. (a) nedeterminat – (b) determinat nehotărât; 2. (a) nedeterminat – (c) determinat hotărât;

3. (b) determinat nehotărât – (c) determinat hotărât (Guţu-Romalo 1967: 229).

Observaţie: Din punctul nostru de vedere, emitem ipoteza că opoziţia ar trebui să se realizeze între

determinare (substantiv+articol hotărât) / nedeterminare (substantiv+articol Ø), întrucât orice opoziţie se

realizează între doi termeni, terţul sau al treilea termen fiind exclus. Această opoziţie a fost analizată de E. Vasiliu (1952: 32-36) şi de Valeria Guţu-Romalo (1958: 365) în termenii abstract/concret, de Şt. Iacob (1957: 17) – parte/întreg, de Ion Coja (1983: 240) – cunoscut/necunoscut, de Ana Vrăjitoru (1995: 3-7) – particular/general etc.

2.2. Argumentele pro şi contra pentru una sau alta din interpretări, ne-au determinat să propunem o altă interpretare a articolului hotărât, anume cea de flectiv cazual. Expunem aici argumentele noastre.

2.2.1. Analizând definiţia morfemului, «cea mai mică unitate dotată cu sens», D.D. Draşoveanu (1994-1995) sesizează că «sub morfem se cuprind şi segmentele constante din

4 Vezi Maria Aldea: «Conceptul de “articol” în limba română: cercetare bibliografică». Lingua. A. Lingvistică, anul

I (2002), pp. 41-53.

5 Argumentele aduse în sprijinul acestei interpretări se bazează pe următoarele particularităţi: (a) are origine

pronominală (provine din demonstrativul latin ille), (b) manifestă independenţă formală (mai ales, cele nehotărâte, posesive şi demonstrative), fapt ce permite intercalarea unor determinanţi, (c) caracterul analizabil al structurii interne în rădăcină (l-, un-) şi desinenţe (-ui, -or).

6 Paula Diaconescu, Valeria Guţu-Romalo, Al. Graur, I. Iordan, Al. Niculescu, I. Coteanu, Vl. Robu, D. Irimia,

I. Coja ş.a.

7 Cei mai mulţi lingvişti sunt de acord că articolul posesiv genitival şi cel demonstrativ adjectival nu pot fi incluse

printre morfemele categoriei determinării, pentru că ultimele cercetări au demonstrat comportamentul şi statutul pronominal al acestora. Vezi, în acest sens, Manoliu-Manea (1968), Draşoveanu (1997: 101-106), Neamţu (1970: 313-322, 1993: 191-203, 1997-1998). De asemenea, există situaţii în care atât articolul hotărât, cât şi cel nehotărât nu reprezintă morfeme ale determinării, ci sunt pur şi simplu elemente formative în structura unor cuvinte, cum ar fi, de exemplu, cazul structurilor pronominale de tipul dânsul, altul etc., al numeralelor ordinale de tipul al doilea, al treilea etc., al prepoziţiilor cu genitivul împotriva, contra etc., al substantivelor de tipul lui Jeni, un Creangă etc.

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IANUA 4 (2003) Maria Aldea

paradigme: rădăcina, tema lexicală, sufixele derivative. Neajunsul major al noii accepţii a morfemului este că, totul fiind morfem, se şterge diferenţa dintre «sensul lexical» şi «sensul gramatical», făcându-se, implicit, imposibilă definirea categoriei gramaticale. Cât priveşte diferenţierea morfemului în (a) morfem radical sau tematic şi (b) morfem gramatical, aceasta nu reprezintă decât un paliativ în care se conţin fie, ca în (a), o contradicţie în termeni, fie, ca în (b), un pleonasm în spatele căruia stă, de fapt, un altul, şi mai jenant, cel de morfem morfologic» şi propune ca «elementul variabil din paradigma unuia şi aceluiaşi cuvânt» să fie numit flectiv, nu morfem, pe baza considerentelor enumerate anterior. Prin urmare, «Sub aspect formal, flectivul este elementul variabil din paradigmele flexiunii. Considerat drept componentă a solidarităţii conţinut-expresie, flectivul este segmentul de expresie al unei categorii gramaticale, iar categoria gramaticală este conceptul exprimat printr-un flectiv» (Draşoveanu 1994-1995).

2.2.2. Aşadar, acceptând această precizare, vom afirma că articolul hotărât nu este morfem al categoriei gramaticale a determinării, ci este flectiv cazual, marcă a categoriei gramaticale a cazului. În interpretarea articolului hotărât ca flectiv cazual aducem, pe lângă clarificarea terminologică de mai sus, următoarele argumente:

(1) este un element dependent care întotdeauna se grupează cu substantivul pe care-l însoţeşte, neputând exista independent;

(2) nu se poate combina cu mijloacele suprasegmentale, de exemplu, intonaţia, pentru că nu este sintagmă;

(3) are un inventar limitat;

(4) nu poate avea funcţie sintactică;

(5) este singurul care poate face ca orice parte de vorbire să se comporte ca un substantiv şi, în plus, să convertească substantivele proprii în substantive comune. 3. Integrând în cadrul dihotomiei langue/parole şi opoziţia gramatica limbii vs.

gramatica vorbirii, Coseriu (1985: 208) o defineşte pe cea de a doua precizându-i obiectul:

«tehnica generală a activităţii lingvistice» şi sarcina: «de a recunoaşte şi descrie funcţiunile specifice ale vorbirii ca activitate şi de a indica instrumentele ei specifice, care pot fi atât verbale, cât şi extraverbale».

3.1. Înscrisă în această tehnică a vorbirii, a limbajului ca activitate, determinarea este văzută ca suma operaţiilor care «se execută pentru a spune ceva despre ceva prin intermediul semnelor limbii, sau pentru ‘a actualiza’ şi a orienta spre realitatea concretă un semn ‘virtual’ (aparţinând ‘limbii’), sau pentru a delimita, preciza şi orienta referinţa unui semn (virtual sau actual)» (Coseriu 1985: 209). Nu vom analiza aici determinarea în general, ci ne vom opri doar la determinarea nominală, pentru că se ştie că unul din determinanţii numelui este articolul hotărât (pe lângă celelalte tipuri de articole, adjective, numerale, prepoziţii).

3.2. Pornim în demersul nostru de la distincţia pe care Bally o operează în cadrul determinării nominale între «actualizare» şi «caracterizare», distincţie considerată de Coseriu insuficientă, pentru că aceasta, determinarea nominală, ca să fie completă, ar trebui să cuprindă patru tipuri de operaţii: actualizare, discriminare, delimitare şi identificare. În analiza noastră, ne vom ocupa numai de actualizare, deoarece actualizarea este prima operaţie care e necesară limbajului ca activitate, adică vorbirii, în sensul că orientează un semn virtual, un concept spre o reprezentare reală.

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3.2.1. Atunci când actualizăm un concept «îl identificăm cu o reprezentare reală» (Bally 1965: 77), noţiunile abstracte devin concrete, iar «funcţia actualizării e de a transforma limba în vorbire» (Bally 1965: 82). La această accepţie se raliază şi Coseriu (1985: 212), pentru care

actualizarea este «operaţia prin care semnificatul nominal se transformă de la <esenţă>

(identitate) la <existenţă> (ipsitate) şi prin care numele unei <fiinţe> (de ex., hombre) devine denotatul unei entităţi (de ex., el hombre), al unui <existenţial> căruia identitatea semnificată i se atribuie prin actul însuşi al denotării», pentru că «Numai în vorbire (el hablar) un nume poate denota obiecte» (idem 1985: 211). Această trecere de la «esenţă» la «existenţă», de la virtual la concret se face cu ajutorul unor determinatori8 nominali, de tipul adjectivelor

pronominale, al numeralului (cu valoare adjectivală), al prepoziţiilor, al articolului.

3.2.2. În planul vorbirii, în schimb, articolul hotărât se comportă ca/şi este un actualizator, adică prezenţa lui pe lângă un nume transformă numele dintr-un concept generic-virtual (băiat) într-o reprezentare reală (băiatul), adică din sistem, de la semnificaţie, se ajunge la realitatea concretă, la designaţie. Însă, nu putem afirma că articolul hotărât realizează concretizarea singur, ci numai împreună cu intenţia emiţătorului acesta face ca numele să aibă o realizare reală.

Prin urmare, articolul hotărât actualizează identificarea unui obiect cunoscut. Aceasta nu înseamnă că articolul hotărât individualizează prin el însuşi, ci împreună cu contextul verbal şi extraverbal acesta conferă o actualizare substantivului. Această funcţie a articolului hotărât diferă de cea a lui un, o9 “articol nehotărât” care actualizează un substantiv ce apare pentru

prima dată în discurs.

Dar problema noastră nu îşi găseşte aplicarea în cadrul opoziţiei substantiv + articol hotărât / un, o + substantiv, ci în termenii opoziţiei substantiv + articol hotărât / substantiv + articol Ø, adică concret / virtual (general).

Aşadar, absenţa articolului hotărât este semnul conceptului şi al genericului; ea poate fi teoretizată dacă analizăm cu atenţie situaţiile de comunicare, de enunţare, sintaxa substantivului (funcţiile sintactice, topica substantivului însoţit sau nu de determinanţi, alţii decât articolul hotărât etc.). De asemenea, prezenţa articolului hotărât e cerută de unele funcţii sintactice ale substantivului (de ex., subiect, complement direct, nume predicativ ş.a.). 3.2.2.1. Prin urmare, articolul hotărât este, în planul vorbirii, un actualizator, care arată că obiectul, referentul se presupune că e cunoscut de către interlocutor. Spunem se presupune, pentru că la această formulare am ajuns în urma sintetizării şi analizării unor date pe care le-am obţinut pe baza unui anchete.10 Chestionarul nostru conţinea următoarea întrebare care

a fost adresată pe cale directă:

«În următoarele enunţuri: /Băiatul sună la uşă/, /Băiatul meu sună la uşă/, /Băiatul acela sună la uşă/, /Alt băiat sună la uşă/, /Un băiat sună la uşă/, /Băiat este un substantiv/ există vreo diferenţă?»

Astfel, am constatat că în conştiinţa vorbitorilor se realizează următoarele opoziţii: (1) substantiv + articol hotărât / substantiv + articol hotărât + adjectiv posesiv = sens

8 «Instrumentele verbale care îndeplinesc aceste funcţiuni [actualizare, cantificare, selectare, situare (subl. n.)] se pot

numi determinatori nominali» (Coseriu 1985: 209).

9 Un, o cunosc în limba română trei valori morfologice: numeral cardinal, adjectiv nehotărât şi articol nehotărât.

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IANUA 4 (2003) Maria Aldea

cunoscut, general / sens cunoscut, dar precis, exact, concret;

(2) substantiv + articol hotărât + adjectiv demonstrativ / adjectiv nehotărât + substantiv + articol Ø = cunoscut de emiţător, dar posibil să nu fie cunoscut de receptor / este real, dar poate fi necunoscut;

(3) substantiv + articol nehotărât / substantiv + articol Ø = sens cunoscut, general / abstract, necunoscut.

Notăm, aşadar, că gradul de actualizare se manifestă în ordine crescătoare de la o cunoaştere posibilă, reală (un băiat, alt băiat, acel băiat) la o cunoaştere generală (băiatul) şi, în cele din urmă, la cunoaşterea concretă, precisă (băiatul meu).

De asemenea, într-o analiză a discursului, articolul hotărât este considerat anaforă, adică arată că lexemul a fost deja menţionat sau este deja cunoscut.

4. Dacă în planul analizei concrete, distingeam două ipostaze în interpretarea articolului hotărât, pe de o parte, flectiv cazual (vezi supra 2.2.) şi, pe de altă parte, element formativ în structura unor anumite construcţii (vezi nota 7), la nivel stilistico-pragmatic, putem afirma că articolul hotărât dobândeşte valori noi. Şi anume, acesta devine un actualizator cu o dublă funcţie: actualizează componentul (substantivul) concentrând în acesta unele valori stilistico-semantice11 de creştere a afectivităţii şi a participării actanţiale şi aşază GN

(substantiv + articol hotărât + alţi determinanţi) în centrul discursului, focalizându-l în discurs.

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11 În plan semantic, articolul hotărât va fi interpretat drept un mijloc de dezambiguizare a numelui. El intră în

relaţie cu conceptele pe care le actualizează, fapt ce determină ca sensurile lor să interacţioneze unele cu altele şi, astfel, să ne conducă la ambiguizarea, respectiv dezambiguizarea comunicării.

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DIFFIRENZI PRINCIPALI NTRA I PARRATI SICILIANI:

PARTI I. VARII DIFFIRENZI FONULOGGICHI

1

J.K. “KIRK” BONNER

1. INTRODUZZIONI

Stu saggiu tratta na forma dâ lingua siciliana ca ccà chiamamu sicilianu standard, ma putemu diri ca esisti veramenti u sicilianu standard? Tanti lingui europei annu avutu u vantaggiu ca a quarchi puntu dâ so storia na pirsuna di granni mpurtanza scrissi nna dda lingua e chistu cuntribbuiu assai a so nurmalizzazzioni. Grazzii a tali cuntribbuti putemu diri ca arrivau a na forma littiraria di rispettu ca l’autri scrittura di ssa lingua tintavanu d’imitalla. Stu usu sociali dâ lingua aiutau puru a criari chidda chi si pò chiamari na lingua aulica (LA), ca veni a diri na lingua littiraria ca cci sirvissi comu nu standard.

Tali lingua littiraria prisenta normi accittabbili nnê so formi scritti e parrati. I diviazzioni di sti normi sunnu cchiù pirmissibbili nnâ lingua parrata chi nnâ lingua scritta. Però troppi diviazzioni nnâ lingua parrata pruduciunu tipicamenti formi nferiori (formi substandard) di parrata.

Ô principiu dû Seicentu aiutau assai a stabbiliri William Shakespeare (1564-1616) chidda ca si pò chiamari a lingua littiraria dû nglisi quannu usau a parrata di Londra comu mudellu linguisticu. Cervantes, so nomu cumpretu era Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616), fici a stissa cosa pû castigghianu (ora si chiama u spagnolu) nna l’anni chi accuminzaru u Seicentu. Cchiù pirtempu Martinu Luteru (1483-1546) û fici pû tedescu, e di certu Dante Alighieri (1265-1321), Giovanni Boccaccio (1313-1375) e Francesco Petrarca (1304-1375) stabbileru a parrata riggiunali dâ Tuscana comu a norma littiraria di l’Italia nnô Triccentu.

Però sta norma tuscana littiraria nun cuminciau a divintari na lingua parrata finu ô principiu dû vintesimu seculu doppu l’unificazzioni di l’Italia e doppu fu stabbilita l’istruzzioni ubbligatoria ca poi riciviu a diffusioni sempri criscenti dî menzi di formi muderni di cumunicazzioni comu u cinima e a radiu prima di tuttu, e ora a televisioni omniprisenti.

A riguardu dû sicilianu sfurtunatamenti troppu pochi dî so granni scrittura scigghieru di scriviri in dialettu, ca veni a diri u sicilianu. Pi sta raggiuni i tentativi di criari na lingua littiraria foru di poca cunzistenza e limitati a certi muvimenti littirarii ca nun appiru poi u supportu ginirali di l’intillittuali e dî forzi pulitichi siciliani.

Mancannu chisti, nun fu pussibbili criari un sicilianu littirariu unni formi accittabbili di grammatica, di vucabbulariu e di sintassi si riunissiru, furmannu na lingua omuggenia e coerenti. Pi dilla n brevi u sicilianu ristau na lingua sulu parrata cu forti tradizzioni urali. Nun cc’è nenti di mali nni chistu, sulu ca a mancanza di nu forti mudellu littirariu a pirmisu ca ogni parrata siciliana s’esprimissi cû normi linguistichi cchiuttostu diffirenti.

È fora dû scopu di stu saggiu di definiri tutti i tanti diviazzioni dialittali dû sicilianu. Pi tali studiu s’avissi a fari n’opira erudita chi studiassi n funnu i modi linguistici di ogni parrata. Stu

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IANUA 4 (2003) Diffirenzi principali ntra i parrati siciliani. Parti I.

ISSN 1616-413X 18 http://www.romaniaminor.net/ianua

saggiu nun voli essiri accussì esaurienti. Chiddu ca cci pruponemu di fari è di discutiri i formi cchiù mpurtanti di comu na parrata siciliana si diffirinzia di l’autri.

A situazzioni dialittali nnâ Sicilia è assai cumpricata. Mittennu di parti a quistioni mpidugghiata di l’intrusioni dû talianu nnâ Sicilia, i carattiristichi varii mustrati nni stu saggiu dipennunu di quarchi fatturi tra i quali sunnu i siguenti:

- L’aria giugrafica dû parraturi

- L’aria custera contra l’aria a l’internu di l’isula (principalmenti agricula) - U cuntrastu di cità/paisi contra villaggiu/campagna

- U liveddu sociu-ecunomicu dû parraturi

- Pussibbilmenti u sessu, l’età e u liveddu di l’istruzzioni dû parraturi - Canuscenza dû parraturi di autri parrati siciliani e di talianu standard

Perciò, facennu esclusioni dî dialetti gallu-italici e dî dialetti arbanisi, è pussibbili fari na lista dî carattiristichi pî quali si pò iri facilmenti di na parrata a l’autra, vistu ca i parrati sunnu n funnu essinzialmenti ntilliggibbili ntra d’iddi. Si cuminciamu cu sta premisa, u passu prossimu è chiddu d’addumannarinni quali sunnu sti diffirenzi e i sumigghianzi?

Tanti dî diffirenzi ntra i varii parrati siciliani sunnu visibbili nnâ fonuloggia, ca veni a diri nnê sona chi si usanu pi prununziari na lingua. Cci sunnu puru diffirenzi grammaticali e quarchi diffirenza sintattica, chiaru è, ma si putemu distinguiri i liggi fonuloggichi funziunanti, facemu un grossu passu avanti pi diffirinziari comu i parrati si separanu l’una di l’autra. A nostra ntinzioni è di purtari u litturi a identificari i mutazzioni ca succedunu nnô passaggiu di na parrata a l’autra.

I diffirenzi principali fonuloggichi ca stu saggiu tratta sunnu chisti: (1) A metafonesi dâ vucali tematica.

(2) A sustituzzioni dâ d câ r.

(3) A sustituzzioni dû nessu -gghi- cû -gli-.

(4) A sustituzzioni dû nessu ci- cû sonu forti aspiratu ccà simbuliggiatu di x-. (5) A sustituzzioni di na cunzunanti surda cu na cunzunanti sonora.

(6) A sustituzzioni dû nessu gghi cû ggi e dû chi/cchi cû ci/cci. (7) A sparizzioni dâ g- aspra nizziali.

(8) A sparizzioni dâ g aspra nnô nessu gr- nizziali.

(9) A sustituzzioni dû nessu gu- nizziali davanti na vucali câ v-. (10) A sustituzzioni dû nessu -dd- cû -ll-.

(11) A sparizzioni dâ r nterna cu l’allungamentu cunzunantali: Casu #1. (12) A sparizzioni dâ r nterna cu l’allungamentu cunzunantali: Casu #2. (13) L’inzirzioni di na -v- ntra dui vucali.

(14) A variazzioni dâ vucali nnâ sillabba penurtima quannu l’accentu cadi supra a sillabba antipenurtima.

È assai mpurtanti di teniri n menti ca nun sunnu prisenti tutti i mutamenti fonuloggici di supra nna tutti i parrati siciliani. Nnâ maggiuri parti na parrata sulitaria esibbisci sulu una o macari dui dî diffirenzi.

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FIGURA 1. A mappa linguistica dâ Sicilia

Circamu di dimustrari unni ogni diffirenza avi prubbabbilità d’usanza e nna quali parti dâ Sicilia si riggistranu sti diviazzioni. Si notanu diffirenzi grammaticali, particularmenti nnê desinenzi di verbi nnâ parti II di stu saggiu.

Pi fari vidiri l’arii di diversi parrati, u modu cchiù facili è di prisintari na mappa linguistica e pulitica dâ Sicilia (cunziddirata na riggiuni autonoma dû Statu talianu) divisa nnê so novi pruvinci, identificati chî nomi dî so capitali. Viditi Figura 1. Nna sta mappa si mostranu i capitali di ogni pruvincia rispittivamenti. A lista ca segui cunteni i nomi dî pruvinci e capitali prima n talianu e poi n sicilianu e a sigla dî cità:

(1) Messina/Missina (ME) (2) Catania/Catania (CT) (3) Siracusa/Saraùsa (SR) (4) Ragusa/Raùsa (RG) (5) Enna/Enna (EN) (6) Caltanissetta/ Catanissetta (CL) (7) Agrigento/Girgenti (AG) (8) Trapani/Trapani (TP)

(9) Palermo/Palermu o Palemmu (PA) 2. A GIUGRAFIA DÎ PARRATI SICILIANI

Si ponnu dividiri i parrati siciliani ntra tri riggiuni, i quali sunnu: - Sicilianu occidintali (SOc)

- Sicilianu centrali (SC) - Sicilianu orientali (SOr)

Ogni parrata principali si pò suddividiri ntra deci (10) parrati accussì:

SOc-1 SOc-3 SC-1 SC-2 SC-3 SOr-1 SOr-2 SOr-3 SOr-4

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ISSN 1616-413X 20 http://www.romaniaminor.net/ianua

Parrata di Palermu (SOc-1) Parrata di Trapani (SOc-2) Sicilianu occidintali (SOc)

Parrata di Girgenti (SOc-3)* Parrata dî Madonie (SC-1)

Parrata di Enna-Catanissetta (SC-2) Sicilianu centrali (SC)

Parrata di Girgenti (SC-3)† Parrata di Missina (SOr-1) Parrata di Nord-est (SOr-2) Parrata di Sud-est (SOr-3) Sicilianu orientali (SOr)

Parrata di Catania-Saraùsa (SOr-4)

* Girgenti – a parti occidintali dâ pruvincia † Girgenti – a parti orientali dâ pruvincia

3. QUACCHI DIVIAZZIONI FONULOGGICA NTRA I PARRATI SICILIANI Tutti l’esempii ripurtati ccà sutta sunnu dati comu trasfurmazzioni dû sicilianu standard nna na forma usata in una o cchiù parrati. Tali trasfurmazzioni si mostranu siguennu a saitta. Pi fari un cuntrastu nnê frasi, a forma cchiù ginirali di sicilianu (sicilianu standard) è datu câ sigla di Sic.

3.1 A METAFONESI DÂ VUCALI TEMATICA

A metafonesi significa a dittongazzioni dâ vucali accintata. Nnâ Sicilia cci sunnu dui arii dialittali principali unni si trova a metafonesi, u sicilianu centrali (SC), e cchiù pricisamenti nnâ zona di SC-2 e nnâ chidda di SC-3, e puru u sicilianu orientali (SOr) e cchiù pricisamenti a zona di SOr-3. Ccà si prisentanu sulu i trasfurmazzioni cchiù ginirali di stu fenominu linguisticu.

Esempii

bonu > buonu (o>uo) pedi > piedi (e>ie) Esempii di frasi

(1) Sic.: Stu libbru è bonu

(1-a) A metafonesi vucali: Stu libbru è buonu (2) Sic.: I pedi mi dolunu

(2-a) A metafonesi vucali: I piedi mi duolunu2

(3) Sic.: L’omu è vecchiu e stortu

(3-a) A metafonesi vucali: L’uomu è viecchiu e stuortu

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Nota: Dintra a cità di Palermu e i so arii periferichi a metafonesi dâ vucali tematica a statu riggistrata ma stu fenominu è d’origgini ricenti. È assai prubbabbili ca a metafonesi riggistrata a Palermu è duvuta a l’impurtanza criscenti dû talianu chi dimostra puru a metafonesi dî stissi vucali tematichi.

3.2 A SUSTITUZZIONI DÂ dr

Sta trasfurmazzioni è carattirizzata dâ sustituzzioni dâ d câ r. Forsi sta sustituzzioni putissi pariri strana ma u sonu di unu dî r n sicilianu3 si fa battennu a lingua contra a cima arviulari

superiuri e quannu a r si fa sulu na vota (sulu na unica sbintuliata) u sonu chi nesci nun è dissimili dû sonu dâ d. Stu fenominu si chiama u rotacisimu, ca veni a diri a sustituzzioni di na cunzunanti câ r. Sta sustituzzioni si trova nnô sicilianu occidintali (SOc) e nnô sicilianu orientali (SOr) e si pò truvari o a l’internu di na parola o pò aviri locu ô principiu dâ parola.

Esempii pedi > peri cuda > cura diri > riri denti > renti Esempii di frasi

(1) Sic.: U pedi mi doli

(1-a) A susti. dâ d câ r: U peri mi roli (2) Sic.: A fimmina ridia di l’omu

(2-a) A susti. dâ d câ r: A fimmina riria ri l’omu (3) Sic.: Vitti chiddu cu la cuda

(3-a) A susti. dâ d câ r: Vitti chiddu cu la cura 3.3 A SUSTITUZZIONI DÛ NESSU -gghi- -gli-

Stu fenominu linguisticu si trova nnô sicilianu centrali (SC), e cchiù pricisamenti nnâ zona di SC-3 e è prubbabbili assai nnâ chidda di SC-2.

Esempii figghiu > figliu ogghiu > ogliu mugghieri > muglieri pigghiari > pigliari Esempii di frasi

(1) Sic.: U figghiu cci porta l’ogghiu a so mamma

(1-a) A susti. dû nessu -gghi- cû -gli-: U figliu cci porta l’ogliu a so mamma (2) Sic.: Nun mi piaciunu i pitanzi fatti cu l’agghiu

(2-a) A susti. dû nessu -gghi- cû -gli-: Nun mi piaciunu i pitanzi fatti cu l’agliu (3) Sic.: Me mugghieri mi pigghia pi fissa

3 Esistunu varii sona nnô sicilianu chi si rapprisentanu cû simbulu di r nna l’ortugrafia. Esempiu: A r chi si fa

Referências

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