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Il Neofascismo come categoria analitica

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Academic year: 2021

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info@pacinieditore.it ISSN 0392-162X ISBN 978-88-6995-537-2 In copertina

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Rivista Quadrimestrale

Anno XLVIII - numero 2

Maggio-Agosto 2018

saggi

M. Nucciotti Un monastero aldobrandesco sul Monte Amiata:

S. Trinità di Monte Calvo nei secoli XII-XIV » 5

s. tognetti Attività mercantili e finanziarie nelle città italiane dei secoli XII-XV: spunti e riflessioni sulla base

della più recente storiografia » 23

F. Fontanarosa Gli assetti fondiari collettivi tra storia e antropologia giuridica » 45 A. savelli Il Journal di Ermellina Bargagli Stoffi:

l’autorappresentazione mondana di una giovane aristocratica » 55

D. De Donno «La Santa Russia». La guerre, les révolutions du 1917

et le mouvement des jeunes socialistes italiens » 65

F. De Ninno Le marine militari contemporanee: storiografia e recente letteratura » 77 M. Albanese Il neofascismo: una categoria analitica » 99 D. sacco Un rapporto reciproco: il movimento del 1977 in Italia

e il sistema politico » 117

Abstracts » 149

gli autori » 153

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Ricerche Storiche anno XLVIII, numero 2, maggio-agosto 2018

Introduzione

Il dibattito sulla natura del fascismo è estremamente ampio e si protrae da prima che il fascismo stesso, come fenomeno storico, terminasse nel 1945. Nel corso di più di sette decadi storici, filosofi e scienziati sociali si sono interrogati su cosa sia stato, su come sia cresciuto sia in termini ideologici che di peso sociale, politico ed elettorale fino alla presa del potere. gli storici ed intellettuali di matrice marxista hanno sottoli-neato il legame tra borghesia e fascismo 2, altri si sono soffermati sulla natura di massa del fenomeno fascista, De Felice ha cercato di spiegare i momenti del fascismo, tra movimento e regime, Mosse ha sottolineato le radici culturali di un fenomeno ancora differente, il nazismo. Autori come griffin hanno indagato il legame tra nazionalismo estremo e fascismo 3, Linz ci ha lasciato l’importante distinzione tra regimi autoritari e totalitari 4; negli ultimi anni, poi, sono fioriti studi di natura comparativa, come quello di Costa Pinto 5, e di più forte tendenza transnazionale come quelli di sanfi-lippo 6 sui fasci italiani all’estero e la politica di espansione ideologica e culturale del fascismo italiano 7. Queste brevissime righe, che non vogliono nemmeno tentare di as-somigliare ad un’impossibile rassegna della letteratura, ci danno, però, il quadro di un proliferare costante degli studi sul fascismo storico. Molto è stato fatto e, forse, molto resta ancora da fare ma in ogni modo i tanti lavori sul fascismo continuano e offrono agli studiosi un caleidoscopio di interpretazioni e di punti di vista. Da questo punto di vista possiamo tranquillamente affermare che pur nelle differenze, a volte anche marcate, tra approcci il fascismo è una categoria analitica. Questa sorte non è toccata

1 Questo articolo è parte del mio progetto di post-dottorale finanziato dalla FCt presso l’ICs

dell’U-niversità di Lisbona, numero: FRH/BPD/91213/2012,UID/sOC/50013/2013. Universidade de Lisboa, Instituto de Ciências sociais, Av. Professor Aníbal de Bettencourt 9, 1600-189 Lisboa, Portugal.

2 E. Collotti, Fascismo, fascismi, Roma, sansoni, 2004 3 R. griffin, The nature of fascism, London, Routledge, 1993

4 J.J. Linz, An Authoritarian Regime: The Case of Spain in Cleavages, Ideologies and Party Systems,

edited by E. Allard-Y. Littunen, Helsinki: Academic, 1964. J.J. Linz, Totalitarian and Authoritarian

Regimes, Boulder: Lynne Rienner Publishers, 2000.

5 A. Costa Pinto, Rethinking the nature of Fascism, London, Palgrave Macmillan, 2011. A. Costa

Pinto, Salazar’s Dictatorship and European Fascism: Problems of Interpretation, New York, Columbia Uni-versity Press, 1995. Rethinking Fascism and Dictatorship in Europe, edited by A. Costa Pinto-A. Kallis, London, Palgrave Macmillan, 2014.

6 Il fascismo e gli emigrati,La parabola dei Fasci italiani all’estero (1920-1943), a cura di E. Franzina

e M. sanfilippo, Roma, Laterza editore, 2003.

7 M. Cuzzi, L’ internazionale delle camicie nere: i CAUR, Comitati d’azione per l’universalita di Roma,

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al neofascismo. Il neo-fascismo, vuoi anche per prossimità storica, è ancora un oggetto relativamente misterioso e che, sebbene sia stato studiato molto, non è ancora assurto al rango di categoria analitica. Il neofascismo nasce, per lo meno in Italia, tra il maggio del 1945 ed il dicembre del 1946 quando verrà fondato ufficialmente il MsI. È, quin-di, un fenomeno intimamente legato alla sconfitta; si potrebbe anzi dire che alcuni dei personaggi chiave del neofascismo italiano, che per ragioni anagrafiche erano stati dei protagonisti del fascismo storico, come Junio Valerio Borghese, preparino la nascita del neofascismo quando il fascismo storico non è ancora ufficialmente morto. Credo che si possa intendere in questo senso l’abboccamento avuto dal Comandante della Decima MAs con i servizi segreti americani, l’Oss, nel tardo 1944.

Il neofascismo è, quindi, strettamente legato alla sconfitta ed alle sue precipitazioni politiche. La più grande distinzione esistente tra fascismo e neofascismo è appunto questa: mentre negli anni che vanno dal 1922 al 1945 il fascismo è un modello univer-salistico esportabile e parzialmente già esportato, il neofascismo è costituito almeno inizialmente, da reduci che non si arrendono al mutato contesto storico post bellico. Proprio all’interno di questa sconfitta il fascismo perde, parzialmente, l’unità che gli era data dalla coincidenza tra partito e stato, e si frammenta in una galassia di gruppi spes-so in contrasto tra loro; le diverse anime da sempre presenti nel fascismo, in ogni sua declinazione nazionale e culturale, esplosero sotto il peso dell’irrilevanza politica cui i fascisti vennero destinati. È importante sottolineare che questo fenomeno si verificò, oltre che nei paesi sconfitti durante la guerra mondiale, anche in altri contesti europei quali spagna e Portogallo dove regimi autoritari di matrice fascista restarono in piedi ben oltre il 1945, lo spazio per il fascismo diminuì progressivamente. Il fascismo, dun-que, si frammenta, esplode in una miriade di correnti e di gruppi tra loro estremamen-te eestremamen-terogenei e questo avviene a livello transnazionale. La riflessione su cosa dovesse essere un fascismo “nuovo” si intreccia inevitabilmente con il reducismo dei molti mi-litanti che confluiscono nei differenti gruppi nati dopo il crollo del regime; dai Fasci di azione rivoluzionaria fino, appunto al MsI. In questo dibattito come mostra in manie-ra efficace il testo di Parlato, “Fascisti senza Mussolini” 8, si incontrano e si scontrano alcune delle tendenze che attraverseranno il neofascismo dalla sua nascita fino ai nostri giorni: il rapporto con la democrazia ed il liberalismo, con il socialismo, con gli alleati vincitori e con le loro strutture che si stanno attrezzando a combattere contro l’ex alle-ato sovietico divenuto ora il nemico comunista. Il libro di Parlalle-ato ha l’enorme pregio di sottolineare una delle costanti della tensione che sempre ci sarà tra MsI, partito istituzionale fuori dalle istituzioni, ed i gruppi extraparlamentari che sia per ragioni ideologiche che tattiche, a volte le cose coincidevano altre meno, si muovevano alla sua destra. sarà così per tutto l’arco della storia del neofascismo italiano dal 1946 fino allo spontaneismo armato dei NAR che, invece, sarà nettamente più distaccato in una spi-rale nichilista nella quale anche alcuni ex militanti del MsI verranno coinvolti ma sempre a livello più personale che di organizzazioni politiche. sarà la sconfitta e l’esclu-sione dall’ agone politico uno degli assi su cui si è mossa molta letteratura, dal classico

8 g. Parlato, Fascisti Senza Mussolini: Le Origini del Neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna, il

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di Piero Ignazi, “Il polo escluso” che ha ripercorso la storia istituzionale del MsI 9 fino all’analisi delle culture politiche di “Esuli in patria” di Marco tarchi 10 o alla raccolta di testimonianze di Antonio Carioti nel suo “gli orfani di salò” 11 dove l’autore, nuova-mente e fortunatanuova-mente, tenta di riannodare quei fili della memoria che legarono mol-ti militanmol-ti dei gruppi della destra extraparlamentare con le vicende interne al MsI; su questa falsa riga, anche se con taglio molto più memorialistico e giornalistico, troviamo la trilogia di Nicola Rao che raccoglie interviste e vicende umane spesso molto prezio-se per lo storico. tutti raccontano, a loro modo, di questo prezio-sentimento di esclusione che veniva tramutato in un’opera collettiva e leggendaria in un’autoesclusione di chi non fa compromessi e si ritrova stoicamente a lottare da solo contro il mondo. Un mondo che, e sarà questa la seconda linea di interpretazione, va mondato, ricostruito, vanno prima distrutti i falsi miti del liberalismo americano e del socialismo sovietico per poi costru-ire il mondo nuovo. Questo processo, per molti a destra, aveva un solo nome: golpe. Il golpe per una parte dei militanti della destra radicale diventa una specie di parola ma-gica un po’ come rivoluzione a sinistra. Ma i golpe, come le rivoluzioni del resto, non sono parole ma formule, processi. Pensare al golpe vuol dire mettersi, almeno nello stato mentale, di poterlo realizzare e, di conseguenza, pensare a come, quando e con chi, assodato che almeno sul perché una qualche comunanza d’intenti la si trovasse nel contrasto al comunismo. Il comunismo stava vincendo e per fermarlo, ed al contempo per creare le condizioni necessarie al ritorno dell’idea rivoluzionaria fascista, bisognava, quindi, fare il golpe; già ma con chi? Con i cattolici conservatori? Con l’alta borghesia? Con ufficiali ex-badogliani? spalleggiati magari dagli odiati stati Uniti? Ognuna di queste domande si portava dietro dibattiti feroci, lunghe nottate di ragionamenti su tattica e strategia, su terze vie possibili, probabili e, soprattutto, scissioni in seno a gruppi e partiti. soprattutto la questione dell’avvicinamento agli UsA costituì argo-mento di dibattito aspro dentro il MsI e poi tra i gruppi della destra extraparlamenta-re. La scissione del ’53 che dette vita al Centro studi Ordine Nuovo inizialmente su posizioni spiritualiste, contro l’accordo con i cattolici e anti-americano lasciò il MsI nelle mani di un fautore della destra istituzionale come Michelini il cui obiettivo era, tra gli altri, l’avvicinamento con i monarchici. La destra extraparlamentare, dunque, nasce con una rottura su tematiche non tanto e non solo inerenti alle scelte che il MsI avrebbe dovuto fare in Italia quanto sulla politica estera. L’equidistanza da UsA e URss era considerata un marchio di fabbrica un elemento di purezza del fascismo che non poteva essere svenduto. Un altro testo, sempre di Carioti, “I ragazzi della Fiamma”, racconta in maniera dettagliata proprio il processo di nascita di Ordine Nuovo dalla scissione del ’53. Uno degli aspetti centrali del testo di Carioti, per altro ripreso anche da altri autori, risiede nell’analisi del comportamento politico dei militanti giovani, della seconda generazione e di quale immaginario politico essi pongano sul terreno del neofascismo. I militanti più giovani quelli che non avevano fatto in tempo a vivere la guerra mondiale ma che crebbero con i racconti dei reduci di salò, ed anche qui il

pa-9 P. Ignazi, Il polo escluso, Profilo storico del Movimento Sociale Italiano, Bologna, il Mulino, 1989. P.

Ignazi, Extreme Right Parties in Western Europe, Oxford, Oxford University Press, 2003.

10 M. tarchi, Esuli in patria. I fascisti nell’Italia repubblicana, Milano, guanda, 1995 11 A. Carioti, Gli orfani di Salò, Milano, Mursia, 2008.

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rallelismo con la Resistenza partigiana e la generazione che dette vita alla lotta armata a sinistra risulta essere particolarmente suggestivo, erano sì affascinati dal fascismo sto-rico ma allo stesso tempo erano pienamente inseriti nel proprio contesto nazionale e, soprattutto, internazionale. Hanna Arendt ha definito il movimento del ’68 il primo vero movimento globale della storia; i giovani si confrontavano con un mondo che cominciava ad avverare le profezie di Mc Luhan diventando sempre più villaggio. La televisione portava nelle case delle famiglie italiane le immagini della guerra del Viet-nam, delle resistenze contro la presenza coloniale francese in Algeria. La musica, i film e i romanzi alimentavano una percezione di rivoluzione possibile. Una rivoluzione che poi ognuno declinava a suo modo: la lotta contro l’imperialismo in nome dell’autode-terminazione dei popoli poteva essere e fu interpretata a sinistra come cammino inar-restabile dei popoli verso il comunismo mentre a destra il rinascere di sentimenti na-zionalisti fu letto come la possibilità di trovare un terreno per implementare la rinascita del fascismo. A questo aggiungiamo due dati importanti: i movimenti di libe-razione nazionale erano quasi sempre movimenti armati e paramilitari e questo dato colpì chiaramente sia l’immaginario della sinistra extraparlamentare che si rifaceva al mito delle guerriglie, sia quello dei neofascist da sempre sensibili alla tematica della violenza come strumento principe della politica. Il secondo dato riguarda la spropor-zione di forze; le guerriglie vietnamite o algerine erano, chiaramente in forte inferiorità tattica rispetto agli eserciti occidentali e questo senso di sprezzo del pericolo ricordava ai giovani neofascisti la ricerca della bella morte di fascista memoria. Vi era, chiaramen-te, un che di romantico nel riguardare la Battaglia di Algeri e pensarsi come parte di un processo globale di rivolta dentro il quale trovavano, più o meno comodamente, posto Che guevara, la sorbonne occupata ed il movimento nazionalista tacuara, giusto per citare alcuni esempi. Non è un caso, quindi, se all’esplodere del movimento studente-sco i neofascisti sia in Italia che in Francia facciano parte di quello “stato nascente” come lo chiamò Alberoni. In prima linea nel corteo e negli scontri con la polizia, du-rante quella che, mitologicamente, sarebbe diventata la “battaglia di Valle giulia” ci sono in prima fila i neofascisti di Avanguardia Nazionale, sul tetto della facoltà di dirit-to alla sorbonne durante le giornate del maggio c’è un giovane ricercadirit-tore spagnolo, già membro di Falange, che ha radunato intorno a sé alcuni militanti nazional rivoluzio-nari, Alberto torresano. Non dobbiamo, però, pensare ad un cambiamento antropolo-gico ad una svolta culturale completa; il neofascismo assomiglia più a quello che Char-tier chiama “mentalità” che non ad una vera e propria ideologia. Manca, al neofascismo, una visione d’insieme forte e unitaria. Questa caratteristica, che è insita nel processo di frantumazione esplosivo nato dopo la guerra e dal confronto dei gruppi della destra radicale con il contesto della guerra fredda, è stata sia il punto di debolezza di quell’area politica sia il suo punto di forza. sia chiaro i singoli gruppi erano estremamente ideo-logici, quello che sostengo è che l’area neofascista nel suo complesso mancasse di una visione capace di portare unità di strategia. Questo non ha impedito che quest’area fosse in grado di coordinarsi in alcuni momenti ma vuol dire anche che questo coordi-namento non superava le contraddizioni insite nelle visioni differenti di ogni gruppo.

Le enormi contraddizioni che hanno attraversato il neofascismo gli hanno, allo stesso tempo, reso possibile attrarre, ed essere attratti, da culture altre, di ibridarsi e di cercare nuove tattiche politiche tenendo fermi, ovviamente, alcuni punti sui quali

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torneremo tra poco. Prima è centrale ricordare che dentro queste contraddizioni trovia-mo, al netto di speculazioni intellettuali evoliane sul razzismo spirituale, un razzismo ed un antisemitismo ancora radicato al punto che il primo europeo che morirà in tempo di pace sarà il trentatreenne ingegnere Roger Coudroy, venne ucciso durante i combattimenti il 6 giugno del 1968. Era un militante di Jeune Europe, organizzazione di cui parleremo ampiamente nelle prossime pagine, ed era andato a combattere con i palestinesi i nemici di sempre: gli ebrei. La retorica usata dal gruppo, e dallo stesso Coudroy in un filmato che ha registrato pochi giorni prima di morire, è quella della lotta anti-imperialista contro un nemico non solo spietato ma soprattutto usurpatore. Non c’erano nelle pagine del settimanale di JE, la Nation Européenne, richiami diretti all’inferiorità delle razze ma il negazionismo sulla shoà e le critiche contro l’esistenza stessa dello stato d’Israele sono la testimonianza, oltre alle traiettorie di alcuni dei suoi dirigenti e del suo stesso fondatore, di come questo sentimento fosse rimasto radicato tra i militanti della destra radicale. Non sarà, del resto, la sola JE a mantenere forti tracce del razzismo biologico; lo stesso Ordine Nuovo, gruppo vicinissimo alle tesi evoliane, volantinava davanti e dentro un cinema romano in cui si proiettava un film su di una storia d’amore tra una donna bianca ed un uomo di colore. I casi sarebbero molti altri ma citiamo questi due solo per ricordare che la questione del razzismo nella destra radicale ebbe sempre una sua centralità. Questo non è un saggio sulla storia del razzismo nella destra radicale e rimandiamo per un approfondimento su questo argo-mento specifico al testo di Francesco germinario sulla cultura della Nouvelle Droite o allo studio di gianni Rossi su Evola ed il razzismo.

Le contraddizioni non le troviamo solo sul terreno ideologico ma, naturalmente, an-che su quello politico. È così an-che i rapporti tra gruppi neofascisti e MsI non furono mai facili ma nemmeno i rapporti si interruppero mai. Possiamo parlare in questo caso di por-te girevoli, o se si vuole di “album di famiglia. Le contraddizioni esplodono in momenti differenti ed attraversano l’intera storia del neofascismo; l’anti-imperialismo si richia-mava direttamente alle posizioni mussoliniane sulle nazioni proletarie ed in un mondo bi-polare schierarsi contro UsA e URss avvicinava il neofascismo a terze posizioni e non-allineati. Allo stesso tempo, però, l’anticomunismo, viscerale e sempre più radicale ad ogni conquista delle classi subalterne, era il vero collante di quel mondo così variegato. Ed in nome di questo valore unificante furono molte, moltissime, le deroghe che i vari gruppi fecero rispetto ad una proclamata purezza. I casi sarebbero innumerevoli ma ne citerò solo alcuni per dare la misura di quanto questo elemento abbia contato. C’è il caso di tazio Poltronieri, accusato di aver partecipato ad alcuni contro-attentati italiani in sud tirolo contro i revanscismi austriaci nel 1964, ed apparentemente aiutato ad espatriare ed a ricostruirsi una vita proprio dai vertici del MsI nella persona di Almirante, allora all’opposizione dentro il partito. secondo Vinciguerra sarebbe stato, invece, Michelini a “prestare” giovani militanti al sifar affinché questi compissero gli attentati.

secondo alcune testimonianze, soprattutto di Delle Chiaie, furono i vertici del MsI stesso a farlo espatriare. Di sicuro sappiamo che il Poltronieri entra in Portogallo sotto falso nome e lavora per molti anni in una radio della destra radicale che trasmette in diverse lingue. Lo stesso Poltronieri intrattenne rapporti sia culturali che politici con giano Accame. Accame arrestato durante una sua visita in Angola dai servizi portoghe-si finirà per collaborare con il regime salazarista inviando report su quegli intellettuali

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che facevano propaganda contro la dittatura portoghese. Lo stesso Rauti nel 1963 si reca a Lisbona per ottenere riconoscimento politico e denaro per Ordine Nuovo. Non incontra direttamente salazar ma entra in contatto diretto con la Legione portoghese e con i membri dell’Aginter Press, ex ufficiali francesi che avevano aderito all’O.A.s.

Il caso dei contatti con la spagna franchista è, forse, ancora più ricco e mi permetto di rimandare all’ultimo libro che ho scritto congiuntamente ad un collega spagnolo e nel quale si analizza nello specifico proprio questo importante “nodo” della rete inter-nazionale neofascista.

giusto per tirare un poco le somme possiamo dire che alcuni degli elementi centrali lungo i quali si sviluppa il ragionamento e l’azione del neofascismo sono: la sconfit-ta come dimensione storica contro cui bisogna lotsconfit-tare; l’alterità al sistema bipolare instaurato dalle due superpotenze e la costante tensione tra splendido isolamento e anticomunismo militante; ed in ultima analisi quella partecipazione ai movimenti di protesta che permettevano di inserire elementi di novità politica nella lotta contro il comunismo avvalendosi di un discorso anti-imperialista.

L’aspetto interessante è che tutti questi elementi, che sicuramente non furono gli unici ma furono estremamente importanti, rimandano ad una dimensione transna-zionale mentre la letteratura esistente ha privilegiato un approccio natransna-zionale. Da Pan-vini 12 a Franzinelli, solo per citare i testi più recenti, si è preferita una visuale più nazionale. Ci sono, in verità autori che hanno cercato di inserire questi attori dentro un contesto più ampio, da Mammone 13 a Finchelstein 14, ma la narrativa predominante rimane ancora quella che conclude la storia del neofascismo italiano entro i confini patri. Lungi dal voler essere una critica io credo che uno dei motivi che ha spinto molti autori a volgere lo sguardo verso gli equilibri interni all’Italia ed alla sua storia sia quello di risolvere quella che è stata chiamata l’anomalia italiana. Alcuni autori da Lepre in poi hanno definito gli anni ’70 come anni di “guerra civile strisciante”; al di là della felicità di un’espressione come questa, le cifre, come dicevano Della Porta e Rossi, sono crudeli. scorrendo il testo di Panvini il numero degli attentati e degli incidenti, anche piccoli, danno il quadro di una situazione drammatica. se a questo si aggiungono gli interventi diretti ed indiretti di pezzi degli apparati dello stato, di uno stato formal-mente democratico, nell’opera di destabilizzazione delle istituzioni, si comprende la ra-gione di questa scelta. Allo stesso tempo io credo che la dimensione transnazionale non solo possa essere utile a ricostruire in maniera appropriata il contesto nel quale questi gruppi e quest’intera area politica si muoveva ma sono convinto che la prospettiva po-litica di quegli attori fosse intimamente transnazionale e che la nascita di quello che è stato definito un internazionalismo nazionalista sia una delle chiavi interpretative che possono servire a comprendere a pieno gli eventi nostrani ed in qualche modo offrire persino una chiave di lettura sul presente e la rinascita di nazionalismi etnocentrici.

12 g. Panvini, Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano, Venezia,

Marsilio, 2015.

13 Mapping the extreme right in contemporary Europe: from local to transnational, edited by A.

Mam-mone-E. godin-B. Jenkins, Oxford, Routledge, 2012.

14 F. Finchelstein, Transatlantic Fascism Ideology, Violence, and the Sacred in Argentina and Italy,

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Per questo motivo il saggio che segue si concentrerà, prevalentemente, sulla dimen-sione transnazionale di uno dei gruppi che componevano la galassia del neofascismo italiano: Jeune Europe. sono, infatti, convinto che le modalità con le quali questo gruppo strutturò la propria azione politica furono paradigmatiche delle linee d’azione appena citate. In particolare mi soffermerò sulla ricerca da parte di JE di un canale di comunicazione con i gruppi maoisti in nome del comune anti-imperialismo e di come questo gruppo, che nasce non già come realtà federale ma come unità transnazionale, sviluppi un ragionamento complesso e ricco, i cui echi possiamo ritrovare fino ad oggi, rispetto a questioni quali gli equilibri internazionali, la geopolitica della guerra fredda e come le rivendicazioni di libertà di quei paesi che imboccavano la via della decolonizza-zione potessero essere lette, interpretate e “agite” da parte di una destra neofascista che vedeva nella mobilitazione delle masse un momento per ricostruire uno spazio politico antidemocratico.

Il golpe, la rivoluzione e la guerra fredda: il contesto

Jeune Europe nacque in Belgio nel 1962, fondata da Jean Thiriart all’indomani della guerra d’Algeria appena perduta dalla Francia, sulla spinta di una riflessione sviluppata dallo stesso fondatore sulla scorta del dibattito che in Belgio aveva suscitato l’indipen-denza del Congo due anni prima. Inizialmente, quindi, la posizione di JE fu quella di molte delle forze neofasciste e della destra radicale europea che in nome di una retorica della nostalgia si opponevano ai processi di decolonizzazione. Figlio di una famiglia socialista, Thiriart fu dapprima un militante socialista per poi appassionarsi al nazio-nal-bolscevismo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale ed ancora in pieno clima Ribbentrop-Molotov, il giovane Thiriart fa parte di un’associazione culturale e politica chiamata “Amici del grande Reich tedesco”. Dopo la guerra verrà accusato e condan-nato per collaborazionismo. solo nel 1960, appunto, rientrerà sulla scena politica in occasione dei processi di decolonizzazione ai quali, con il suo primo gruppo politico, il Movimento di Azione Civica, si oppose 15. Fu in questi due anni, tra il 1960 ed il 1962, che strinse contatti con militanti dell’OAs 16 in nome della comune battaglia contro le forze democratiche e comuniste che promuovevano la libertà dei popoli colonizzati. Il colonialismo e le lotte contro la dominazione straniera erano, però, un tratto diffuso e quasi globale della politica di quegli anni e Thiriart aveva da subito l’ambizione di ricreare un’unità delle forze nazional rivoluzionarie che liberassero l’Europa stretta nella morsa dello scontro della guerra fredda. sarà in Italia nel marzo del 1962, e nello spe-cifico a Venezia, che Thiriart incontrerà i maggiori leader della destra estrema e radicale europei convenuti per una riunione internazionale alla quale partecipò anche il MsI 17. Il convegno, come altri prima di quello, fu un fallimento. Le varie organizzazioni non riuscirono ad andare oltre i loro nazionalismi ed il meeting si concluse con una vaga e

15 Per una rapida ricostruzione della biografia di Jean Thiriart si veda tra gli altri: Y. sauveur, jean

Thiriart et le national-communautarisme européen, Paris, IEP, 1978

16 Organisation de l’Armée secrète. O. Dard, Voyage au cœur de l’O.A.S., Paris, Perrin éditeur, 2005. 17 su questa riunione si legga il verbale di polizia: ACs, M.I. DCPP, cat. g 1944-1985, busta 59.

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sterile assunzione di principi 18. È, quello della inconcludenza dei primi meeting, un dato che va sottolineato: la sconfitta storica che aveva quasi cancellato i fascismi dall’Eu-ropa, era, forse, troppo vicina perché le diverse anime di un fenomeno così complesso potessero accogliere, da subito, l’ottica transnazionale proposta da JE. Nonostante que-ste difficoltà JE cresce sia in termini numerici, anche se non sarà mai un’organizzazio-ne di massa, che in senso politico. La presenza, un’organizzazio-nel 1966, di ben 13 sedi in giro per l’Europa, ci racconta quanto l’idea di Thiriart avesse colto alcune delle questioni che si agitavano tra le giovani generazioni. sarà, infatti, proprio tra i giovani che il gruppo farà proseliti e troverà forza; non sarà mai significativamente in grado di intaccare la genera-zione dei quarantenni, ma diventerà piuttosto popolare tra gli universitari e gli studenti delle superiori che si posizionavano a destra. sono, questi, due dati importanti, l’età e la provenienza politica e culturale, per comprendere quella realtà: JE sarà un gruppo giovanile, formato per la maggior parte da ex militanti della destra tradizionale che in Italia, con l’MsI, vedeva naufragare la linea Michelini a fronte della nascita dei primi governi di centro-sinistra 19. A fronte degli indicatori positivi che segnano una crescita importante per l’Italia, cresce anche una volontà di miglioramento delle condizioni di vita. Rispetto a questo tumultuoso cambiamento della società italiana la risposta del sistema politico fu rappresentata dalla difficile e travagliata nascita del centro-sinistra. Il MsI si trovò, dopo la parentesi dei governi centristi e dopo il disastroso tentativo tam-broni, ai margini del campo politico, di fatto un paria. Le critiche che già alcune anime del partito avevano espresso nei confronti della linea Michelini, che prefigurava accordi con la DC, esplosero 20. Le aree più critiche nei confronti di questa scelta erano appunto rappresentate da molti militanti delle organizzazioni giovanili, ed è esattamente da quel-le missine che arriveranno sia gli aderenti ad Ordine Nuovo, la cui scissione dal MsI era avvenuta come detto nel 1953, che alla JE. Dalla giovane Italia e dalle altre organizza-zioni studentesche del MsI arrivano molti dei quadri e futuri dirigenti di JE. Chi aveva vissuto la guerra e la Repubblica di salò non era, forse, pronto ad abbandonare quella casa, il MsI, il cui intonaco era ancora fresco; i vecchi, forse, per quanto a volte delusi da alcune scelte, pensavano dentro la loro sconfitta che il fascismo potesse sopravvivere come testimonianza o, al massimo, come elemento golpista. Questo non precluderà ad alcuni elementi della vecchia generazione di fungere da ponte e da riferimento culturale e materiale per le generazioni più giovani. È questo il caso di Junio Valerio Borghese che, a capo dell’Associazione dei reduci della Repubblica di salò, offrirà ospitalità ad Avanguardia Nazionale nei locali dell’associazione stessa. Il comandante della X MAs era guardato da quei giovani militanti, in rotta con Ordine Nuovo, come un’icona, un esempio ed una guida. Lo stesso Borghese del resto viveva con insoddisfazione la posizione del MsI. La posizione di Borghese rimaneva, certo, dentro una prospettiva golpista mentre molti giovani della destra radicale italiana non ebbero immediatamente quella prospettiva, alcuni poi non l’abbracceranno mai.

18 F. Ferraresi, Threats to Democracy: The Radical Right in Italy after the War, Princeton, Princeton

University Press, 2012.

19 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra. Importanza e limiti della presenza americana in Italia,

Roma, Laterza, 1999.

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Vivevano, quei giovani, le stesse pulsioni antiautoritarie ed internazionaliste dei loro coetanei che qualche anno più tardi avrebbero dato vita al movimento del 1968 21. Il messaggio di JE, da questo punto di vista, fu per quella generazione una ventata d’a-ria fresca che spazzava via insieme al nazionalismo borghese anche quel senso di scon-fitta che ammantava la generazione dei quarantenni e che i ventenni sentivano come un freno alle proprie aspirazioni rivoluzionarie. siamo, qui, di fronte all’ennesima con-traddizione interna al campo politico della destra radicale; golpisti rivoluzionari. si può? Forse no ma ad ogni modo i militanti della JE non possono essere annoverati tra i golpisti. In una delle lunghe interviste che mi ha concesso un militante fiorentino 22 che attraversa l’Europa, dorme in ostelli e grazie alla spilla con la croce celtica, allora utilizzata solo da JE, viene riconosciuto da altri militanti della sua area politica che lo accolgono. La poetica era quella della vita on the road, Kerouac lo leggevano anche a destra così come molti militanti della sinistra extraparlamentare avevano letto Viaggio

al termine della notte di Celine, l’idea di libertà e di ricerca della libertà era un tratto

distintivo di quella generazione qualsiasi fosse il posizionamento politico. Come ho cercato di sottolineare fin dalle prime righe di questo breve saggio le contraddizioni facevano parte di un mondo che stava cambiando in maniera profonda e soprattut-to molsoprattut-to velocemente; così, ad esempio, i militanti della destra radicale erano fero-cemente anticomunisti, antiamericani per devozione alla memora, ma in Piazza san Babila i più temuti picchiatori del neofascismo italiano vestivano occhiali da Ray Ban come segno distintivo! Anticomunismo, dunque, e antiamericanismo; l’individualismo borghese era sentito come intimamente avverso all’idealismo rivoluzionario di alcuni gruppi dell’area neofascista. JE fu il gruppo che probabilmente meglio di altri riuscì ad esprimere una concezione compiuta di questo ribellismo nazional-popolare che loro, a volte a ragione, riuscivano a rintracciare in battaglie anche distanti tra di loro. Del resto la capacità di rintracciare un fattore globalizzante negli antri più distanti del pianeta, dal nasserismo ai palestinesi fino ai vietcong ed il tacuara, fu esattamente ciò che spinse JE a pensarsi e ad agire fin da subito come movimento transnazionale. Altri gruppi del neofascismo italiano compreso il MsI facevano parte, in modi differenti, di coordina-menti interazionali, JE vuole superare questo aspetto, non cerca una forma di coordi-namento. Rifacendosi alla “fortezza Europa” di hitleriana memoria JE si pensa come un attore politico transazionale. Questa tendenza culturale prende una svolta importante nel 1962. La Francia perde la guerra d’Algeria, i militanti dell’O.A.s. sono ricercati e si danno a precipitose fughe per il continente. Alcuni troveranno rifugio nel Portogallo salazarista, in spagna, del resto il gruppo era stato fondato a Madrid, ma anche in Italia e sud America. Con il gruppo armato transalpino Thiriart avrà rapporti fin dai primis-simi mesi del 1960, ma sarà dopo la sconfitta dell’O.A.s. nel 1962 che il belga penserà

21 g. Parlato, La cultura internazionale della destra tra isolamento e atlantismo (1946-1954) in:Uomini

e nazioni. Cultura e politica estera nell’Italia del Novecento, a cura g. Petracchi, 2005, Udine, gaspari, pp.

134-154.

22 Il racconto di Amerino griffini sul suo viaggio zaino in spalla per l’Europa è stata la principale fonte

d’ispirazione che mi ha poi spinto a porre le stesse domande, rispetto all’appartenenza dei giovani di destra (d’ispirazione nazional-rivoluzionaria) alla medesima sottocultura giovanile di quegli anni. Le interviste sono state 3 due di persona ed una scritta durante il 2013 ed il 2014.

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ad integrare gli ex militanti del gruppo armato francese nella sua organizzazione 23. secondo le testimonianze di alcuni ex-militanti, già nel 1962 Thiriart si stava distac-cando da una visione classicamente colonialista per approdare anzi alla conclusione che l’autodeterminazione dei popoli e le guerre di liberazione nazionale fossero necessarie per rompere la dicotomia UsA-URss e per permettere, a quel punto, la rivoluzione europea. La speranza di Thiriart era quella di convincere gli ex militari ed i loro simpa-tizzanti in Francia dell’inutilità della lotta per un piccolo nazionalismo e della necessità di formare un unico fronte per la rivoluzione europea. Da un punto di vista strategico, se questa operazione fosse andata in porto la JE si sarebbe potuta dotare di un vero e proprio braccio militare. L’O.A.s. non era però un’organizzazione dotata di una visione politica così ampia; il suo carattere transnazionale si fondava essenzialmente su ragioni tattiche, ma la sua ragione d’essere risiedeva in un’idea imperiale quasi ottocentesca. seppure l’O.A.s. seppe in una certa misura distaccarsi dalla mera questione algerina, in special modo dopo la sconfitta del 1962, molti dei suoi militanti decisero che non solo la politica dei blocchi non era in quel momento scalfibile ma che andava presa una posizione 24. L’O.A.s., così come molte altre sigle della destra radicale ed estrema in Europa, nonché in Italia Ordine Nuovo, che pure aveva preso in passato posizio-ni di equidistanza dalle due superpotenze, decise di schierarsi apertamente dentro il campo occidentale 25. sarà, questa, un’altra rottura importante dei gruppi della destra radicale con le posizioni di JE che, dal canto suo, non solo manterrà una visione di aperta critica ad entrambe le superpotenze ma comincerà ad utilizzare apertamente la categoria leninista di imperialismo fin dalla metà degli anni ’60. La critica aperta a quel fenomeno che a destra, un po’ per distinguersi dai comunisti ed un po’ perché saranno i francesi della Nouvelle Droite 26 ad incominciare ad utilizzarla, verrà chiamato mon-dializzazione, vede i suoi natali grazie a JE. In realtà questo aspetto sta dentro ad un ragionamento più ampio che si faceva portatore di una battaglia contro il capitalismo e contro la democrazia rappresentativa. Questi due aspetti, infatti, erano visti non solo come indissolubilmente legati ma come precursori della vittoria del comunismo. De facto la Rivoluzione francese aveva ribaltato il paradigma del tradizionalismo che vole-va una società ordinata in caste e con questa idea, tutta borghese, delle libertà politiche e dell’uguaglianza aveva spalancato pe porte al pensiero marxista. Bisognava costruire un Ordine Nuovo retto da un ordine di credenti e combattenti per parafrasare il nome ed il motto del gruppo fondato, appunto, da Pino Rauti.

«Il nostro anticomunismo non è reazionario, cioè passivo. Noi non difendiamo i re-gimi democratici, incapaci, mercantili, corrotti da un anacronistico egoismo di marca liberale (…). Noi non vogliamo morire per la plutocrazia. Il nostro anticomunismo è

23 su questa questione si veda R. Marchi, La défense de I ‘Occident: la dernière tranchée pour l’extrême

droite européenne des années de guerre froide, in: O. Dard, Références et thèmes des droites radicale au XX siècle en Europe, Peter Lang, Berne, 2015, pag. 273-301.

24 P. Picco, Liaisons dangereuses: les extrêmes droites en France et en Italie (1960-1984), Presse

Univer-sitaire de Rennes, 2016.

25 M. Albanese e P. Del Hierro, A Transnational Network: The Contacts between Fascist Elements in

Spain and Italy, 1945-1975 in Politics Religion & Ideology, (2014) 15/1: 82-102.

26 R. griffin, Between metapolitics and apoliteia : The Nouvelle Droite’s strategy for conserving the fascist

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rivoluzionario, cioè attivo»; così scriveva Thiriart in Un impero di 400 milioni di

uo-mini il suo scritto forse più importante e continuava: «Né Mosca né Washington tra il

blocco sovietico e quello americano noi vogliamo costruire una grande patria comune, un’Europa unitaria, potente, comunitaria» 27. In questo senso l’equidistanza dalle due superpotenze intercettava non soltanto l’anticomunismo ma non rinnegava l’antiame-ricanismo che tanto aveva influenzato sia le culture del fascismo storico e del neofasci-smo sia quelle giovanili che si stavano imponendo. si poteva essere rivoluzionai e di destra, si poteva essere antiamericani e di destra, si poteva essere, in qualche modo in-ternazionalisti e di destra. E su questo livello va letta ed interpretata l’esperienza di col-laborazione con alcuni piccoli gruppi di tendenza maoista. Come dicevamo, dunque, i rapporti con il mondo della sinistra maoista ed in generale non allineata ai sovietici avvengono sia a livello internazionale che in Italia. sono questi due terreni che tenterò di mantenere intrecciati non solo per coerenza cronologica e narrativa ma anche perché in questa sincronicità tra azione delle singole branche nazionali dell’organizzazione e capacità d’intessere relazioni internazionali importanti sta la specificità della JE e del neofascismo tutto; in questa sua lettura della realtà internazionale come quadro impre-scindibile all’azione locale ed all’idea di una rivoluzione possibile solo se pensata ed agi-ta in termini transnazionale risiede il grande salto teorico che ci permette di definire JE come il primo vero tentativo del neofascismo europeo di uscire dal nazionalismo come orizzonte ultimo dell’azione politica. Non siamo di fronte ad un tentativo federativo come lo era stato quello del MsE (Movimento sociale Europeo) o dell’Internazionale Fascista del 1961 promosso da Ordine Nuovo. All’interno di quest’ultima organiz-zazione confluivano di fatto sigle del fascismo revanscista di differenti paesi tra cui gli svizzeri di Nouvel Ordre Européenne, la “gioventù di sciller” di Bonn, i francesi del “Partito Nazionale sindacalista Francese, ed altri ancora; Rauti sarà membro della direzione di quel coordinamento di forze che secondo un appunto piuttosto preciso della polizia italiana ricevevano fondi da industriali austriaci ed austriaci oltre che dal Movimento Falangista spagnolo 28. Parimenti altri tentativi vennero fatti negli stessi anni da parte di altre organizzazioni per costituire degli organismi di coordinamento a livello internazionale; persino il MsI dopo il fallimento dei primi anni ’50 e del MsE (Movimento sociale Europeo) partecipa attivamente alla riunione organizzata da sir. Mosley 29 a Londra nel dicembre del 1960. Non fu quella del MsI una presenza di pura facciata, il partito italiano decise, infatti, di inviare a Londra Filippo Anfuso che rappresentava il suo esponente di punta per le relazioni internazionali 30. Alla richiesta

27 ACs, Ministero degli Interni, Pubblica sicurezza, gruppi e movimenti, busta 27.

28 ACs, Ministero degli Interni, gabinetto, 1967-1970, Busta 45. Il documento non riporta

intesta-zione; è stato protocollato il 13 aprile 1961 e si riferisce, infatti, ad una riunione di questa organizzazione avvenuta l’8 dello stesso mese.

29 g. Macklin., Very deeply dyed in black: Sir Oswald Mosley and the resurrection of British fascism after

1945, London: tauris, 2007.

30 Filippo Anfuso era stato ambasciatore a Berlino ed a Madrid. Aveva intessuto durante la sua carriera

diplomatica rapporti importanti che portò in dote al MsI. La riunione in questione non rappresentò un punto cruciale della politica estera del MsI né delle varie sigle del radicalismo di destra. CI serve, però, a comprendere meglio il quadro di relazioni esistenti tra gruppi, partiti e singoli attori. ACs, M.I. Ufficio Affari Riservati 1957-60, busta 106.

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di informazioni della questura di Roma il MsI rispose che Anfuso avrebbe partecipato quel inviato per l’Associazione dei reduci di salò e non come membro del partito ma si comprenderà che la sfumatura è chiaramente una piccola copertura per non essere tacciati in patria di avere relazioni con esponenti, come sir. Mosley, che erano ancora apertamente neonazisti 31. Per ricapitolare un poco rozzamente, dunque, potremmo dire che per il neofascismo la dimensione internazionale era cruciale; l’equidistanza tra UsA e URss in molti casi svaniva all’acuirsi dei conflitti, periferici e non, portatati dal-la guerra fredda. Allo stesso tempo per molti militanti e gruppi il filo-atdal-lantismo era un aspetto tattico di un ragionamento più ampio dentro il quale comunismo e liberismo andavano sconfitti in nome di un ritorno ad una tradizione anti-democratica. In que-sto aspetto, forse, risiede una delle possibili chiavi di interpretazione, e di superamento, della problematica relazione tra modernità e fascismo.

Turbo-reazionari

Nel suo The anatomy of Fascism, Paxton 32 ha più volte sottolineato come la dicoto-mia tra ciò che il fascismo diceva e ciò che ha fatto una volta al potere, dovesse interrogare gli storici in un costante dialogo tra la fonte scritta e l’azione; in questa dialettica Paxton rintraccia alcune delle idiosincrasie presenti nei regimi fascisti e cerca di allontanarsi sia da interpretazioni nominalistiche e riduttive sia da quello che definisce un approccio idealtipico che rintraccia nel lavoro di griffin. In questa tensione, per altro già presente nel lavoro di tasca che ebbe a scrivere che “il fascismo è quello che fa, Paxton ricorda il tentativo del fascismo di sfuggire alla classica divisione destra-sinistra proprio in nome di una lettura organicista della realtà sociale e politica. Il fascismo, però, ha degli obiettivi dichiarati ma, soprattutto, dei risultati raggiunti, delle politiche implementate e, queste ultime, disvelano in maniera piuttosto chiara la natura reazionaria dei regimi fascisti che non intaccarono mai le forme borghesi e capitaliste di dominio del capitale sul lavoro. In questo caso, dice Paxton, ci troviamo di fronte ad una delle molte aporie del fascismo: un pensiero socialisteggiante, ed una retorica a tratti rivoluzionaria, che non trova alcuna ricaduta nelle politiche che, anzi, vanno a totale discapito delle libertà civili e democra-tiche delle classi lavoratrici. Paxton cerca di risolvere quest’aporia sottolineando come il fascismo fosse contrario alla mollezza politica delle borghesie e come abbia contrastato l’etica individualista in nome di un nazionalismo che, però, non intaccava il potere eco-nomico reale della borghesia. Da questo punto di vista la modernità rappresentava per il fascismo un dilemma nel quale i regimi si tuffarono completamente. se da un lato venivano glorificati tempi passati, età dell’oro in cui le civiltà rurali erano espressione della tradizione pura di un popolo e del suo spirito, dall’altro l’utilizzo delle tecnologie e l’amore per la macchina, la velocità e la potenza si ergevano a marcare questa con-traddizione. Una modernità, dunque, quella fascista che andava sottomessa alla volontà politica per servire uno scopo etico e comunitario e non già per affermare il primato della

31 I riferimenti in letteratura sono moltissimi. tra i più esaustivi suggeriamo, s. Dorril, Blackshirt:

Sir Oswald Mosley and British Fascism, London, Panguin, 2007, o per una visione più ampia P. J. Davies

-P. Jackson, The far right in Europe: an enciclopeida, Oxford, greenwood, 2008.

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ricchezza individuale. La modernità non si esplicava, però, solo nel rapporto con la tecno-logia e nella relazione tra capitale e lavoro. C’è un terreno tutto politico della modernità che il fascismo annichilisce: la libera associazione e partecipazione delle masse popolari alla politica. Nel nome della sconfitta delle élite internazionali che sfruttavano i paesi proletari come l’Italia la grande finanza, il complotto demo-pluto-massonico-giudaico, andava sconfitto unificando la patria sotto una sola guida. I partiti, il frazionamento in interessi particolaristici facevano il gioco del nemico indebolendo la nazione nella sua ri-cerca di grandezza e prosperità. La società andava strutturata rigidamente e militarmente in modo da poter affrontare e sconfiggere le potenze del grande capitale e del socialismo internazionale. Questi concetti, contraddizioni comprese, saranno alla base del ragio-namento del neofascismo nella sua lotta contro la modernità con toni che ricordano in maniera sconcertante alcuni dei, cosiddetti, partiti populisti che affollano la scena politica odierna. I partiti, o meglio il sistema dei partiti, verrà di volta in volta additato come partitocrazia e casta fin dal 1963; il sistema finanziario e bancario accusato di essere un’élite internazionale che lavora contro gli interessi del paese ed, ovviamente, il sistema democratico non sarà altro che un cavallo di troia dal quale passerà il nemico ultimo, il comunismo. In un documento di giovane Europa si trovano queste poche righe che ci aiutano a comprendere quanto radicata fosse l’idea che la democrazia rappresentativa fosse il vero nemico: «Per una democrazia nazionale contro la democrazia dei partiti: la democrazia dei partiti, la democrazia parlamentare offre, dopo vent’anni, uno spettacolo vergognoso: prebende, corruzione, scandali; il suo divorzio dal popolo è definitivamente consumato. Noi vogliamo una democrazia diretta, gerarchizzata (…). Noi non vogliamo più la CAstA dei politicanti professionali» 33. Rileggere oggi, alla luce delle formazioni politiche che in nome di un nuovo nazionalismo predicano l’etnocentrismo, l’odio verso i migranti e una forma di democrazia che superi la rappresentanza ed i partiti in nome di leader carismatici, e pensare che queste righe sono state scritte nel 1963 da uno dei gruppi storici del neofascismo europeo, potrebbe, forse, far riflettere. La critica al sistema demo-cratico come endemicamente corrotto, l’idea che esistesse un popolo, in quanto corpo mistico della nazione e, di conseguenza, unito e compatto, contro un’élite di politicanti professionisti, il richiamo alla casta sono tutti elementi che la politologia contemporanea utilizza per indicare le caratteristiche dei gruppi populisti 34. Forse è quest’ultima una ca-tegoria che necessita uno studio un poco più approfondito. La strategia del neofascismo, nel suo farsi forza transnazionale era chiara e delineata ed in molti aspetti i movimenti che oggi criticano, da posizioni neo-nazionaliste e sovraniste, la globalizzazione hanno, sicuramente delle filiazioni dirette con quei gruppi. Basti pensare che, tra gli altri, uno dei militanti della JE era l’attuale parlamentare leghista Mario Borghezio. Lo stesso MsI non era lontano da queste posizioni ed era in un contatto cosante con questi gruppi. Nel mag-gio del 1963, ad esempio, si tiene una riunione internazionale alla presenza di sir Mosley,

33 ACs, Ministero degli Interni, gabinetto, gruppi e Movimenti, 1967-1970, busta 386.

34 Mi riferisco in particolare agli studi di Cas Mudde; sull’approccio dello studioso olandese molto ci

sarebbe da dire (come l’idea che il populismo sia un fenomeno contemporaneo e che cominci negli anni ’80!). Non è questo il luogo per un’analisi critica degli scritti di Mudde. Rimandiamo alla lettura di uno dei suoi testi: C. Mudde, Populist radical right parties in Europe. Cambridge, UK New York, Cambridge University Press, 2007

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di Alfred Borth, allora capo della sezione austriaca di JE ed ovviamente di Thiriart. È interessante notare come alla riunione, che sancì la confluenza di giovane Nazione in JE, fosse presente anche un rappresentante del MsI nella figura del conte Alvise Loredan 35; la presenza del conte Loredan suggerisce non soltanto la volontà del MsI di controllare quello che avveniva alla sua destra ma anche la presenza di un “filo nero” tessuto intorno a quella mentalità a cui si accennava nelle prime righe di questo breve saggio; questo filo era fatto di relazioni tra gruppi e spesso tra singoli che teneva in qualche modo insieme la galassia dei gruppi neo-fascisti in Italia ed a livello transnazionale 36. Del resto alla riunione dell’anno prima, 1962, a Venezia dove fu fondata la branca italiana della JE erano presenti sia Rauti, allora presidente di Ordine Nuovo, che lo stesso Mosley, Mel-lini Ponce de Leon per il MsI e lo stesso conte Loredan insieme a Thiriart e Adolf Von Thadder ex esponente del regime nazista ed animatore dei gruppi della destra neonazista tedesca 37. Caratteristica centrale di questa “mentalità neofascista” era, quindi, il rifiuto della modernità politica, la fede in un ordine gerarchico di natura tradizionale che doveva ribaltare ciò che l’egalité di giacobina aveva ribaltato. La disparità era, ed ancora è, fattore “naturale” che se tradito porta alla decadenza.

La violenza e le armi

È chiaro che parlare di neofascismo, e di radicalismo in generale, implica doman-darsi che rapporto avessero questi gruppi con la violenza. Parlando nello specifico di Italia ho già ricordato nelle prime pagine del saggio che la specificità italiana è quella di essere stato il solo paese democratico ad aver fatto registrare un numero di morti e feriti per via di scontri, attentati dinamitardi e veri e propri assassini di natura politica, incredibilmente alto. Abbiamo già ricordato il testo di Panvini ma anche Della Porta ed altri autori hanno riportato con precisione le cifre; cifre che parlano di una netta pre-ponderanza, in termini di persone colpite, degli attentati compiuti dalla destra rispetto alla sinistra extraparlamentare. A questi numeri si aggiunga che l’Italia vive in poco più di un decennio, dal 1962 al 1974, tre tentativi di golpe autoritario. Erano reali le minacce all’ordinamento democratico? si trattava solo del “tintinnar di sciabole” per fermare i progetti di riforma più importanti del centro-sinistra 38? È piuttosto proba-bile che la seconda lettura sia quella più verosimile: il Piano solo, il golpe borghese del 1970 ed il golpe bianco del 1974 progettato da Edgardo sogno molto probabilmente non sarebbero mai nemmeno partiti e, quasi certamente, non avrebbero avuto succes-so 39. Inutile dire, però, che questo nell’Italia di allora nessuno lo sapeva ed è sufficiente sfogliare i giornali di quei mesi per accorgersi di quanto l’opinione pubblica fosse al-larmata dal clima di tensione sociale e politica, dai continui scontri, dagli attentati e

35 ACs, Ministero Interni, Direzione generale Pubblica sicurezza, 1960-1966, busta 19.

36 A. Mammone, The transnational reaction to 1968: Neo-fascist national fronts and political cultures in

France and Italy. in «Contemporary European History», XVII, 2, 2008, pp. 213-236.

37 M. Danese-g. Bettin, La strage. Piazza Fontana Verità e memoria, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 77 38 M. Franzinelli, Il Piano Solo, Milano, Mondadori, 2009.

39 F. Biscione, Il sommerso della Repubblica. La democrazia italiana e la crisi dell’antifascismo, Milano,

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dalla nuda cronaca che a scadenza quasi quotidiana snocciolava il numero dei feriti e nel peggiore dei casi dei morti quasi fosse un bollettino di guerra. Ancora è sufficiente una veloce visita all’archivio gramsci di Roma per comprendere quanto persino il PCI, un partito dotato di una struttura informativa e di controllo del territorio piuttosto “pesante”, prestasse credito ai movimenti golpisti e stragisti del neofascismo nostra-no. sarebbe impossibile enumerare qui gli attentati ed i tentativi di golpe; ognuno di quegli avvenimenti è stato studiato sia singolarmente sia come parte di una strategia complessiva più ampia 40. Un tratto importante che tutta la storiografia ha riconosciuto nell’approcciare la stagione delle stragi, da Piazza Fontana 41 a Bologna, è il tratto mar-catamente transnazionale dell’azione dei gruppi eversivi del neofascismo nel progettare e compiere quelle stragi 42. Anche coloro i quali si sono concentrati sull’avvenimento in sé non hanno potuto non mettere in risalto questo aspetto; forti delle risultanze delle investigazioni e degli atti processuali, oggi fonte principale per lo storico che intenda confrontarsi con quel periodo e quegli avvenimenti, gli storici hanno sottolineato come la spagna di Franco 43, il Portogallo di salazar, la grecia dei colonnelli, gli UsA e moti altri attori siano entrati a pieno titolo nel determinare la strategia di quella stagione politica. Data l’impossibilità di addentrarmi in un saggio su quegli avvenimenti quello che intendo fare in questa ultima parte è di mostrare come il terreno dei contatti trans-nazionali si rivelò centrale nella scelta di tante organizzazioni e militanti di abbracciare una strategia terrorista. Questa strategia non nacque, com’è ovvio, il 12 dicembre 1969 e non si sviluppò esclusivamente entro i confini nazionali. Nuovamente JE ci fornisce, nella sua traiettoria politica, un esempio molto interessante di come determinate teorie incontrarono la galassia neofascista e dome quest’ultima le recepì.

Jeune Europe non fu un gruppo armato. si hanno frammentarie notizie di campeg-gi e di addestramenti fintamente paramilitari 44; ma il gruppo non si dotò mai di una vera e propria struttura paramilitare. Aveva, è vero, un servizio d’ordine ma non ha mai avuto la preparazione adeguata a diventare uno strumento d’offesa. Non si registrano, infatti, almeno in Italia episodi di violenza perpetrati da JE. Rimaneva, però, JE un’or-ganizzazione con una volontà rivoluzionaria; per fare le rivoluzioni la volontà da sola non è sufficiente, servono, almeno, spazio politico, addestramento ed armi. Lo spazio politico lo si conquista contendendolo alle organizzazioni concorrenti. Dentro la ga-lassia del neofascismo JE tentò di posizionarsi come sola realtà che non aveva ceduto alle sirene dell’anticomunismo di marca UsA. Era stato lo stesso Pino Rauti, infatti, a spiegare la scelta occidentale del supporto agli stati Uniti nella guerra del Vietnam paragonando sulle colonne del giornale del gruppo i marines ai centurioni romani

40 R. Chiarini-P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia: blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di

destra a Brescia (1945-1974), Milano, Franco Angeli, 1983.

41 C. Cederna, Una finestra sulla strage, Milano, Il saggiatore, 2009; A. Cento Bull, Italian

Neofa-scism: the strategy of tension and the politics of non reconciliation. Oxford, Berghahn Books, 2007.

42 M. Franzinelli, La sottile linea nera, Neofascismo e servizi segreti da Piazza Fontana a Piazza della

Loggia, Milano, Rizzoli, 2007.

43 A. Botti, El neofascismo italiano en la segunda postguerra y la derecha actual, in Los riesgos para la

democracia. Fascismo y neofascismo, editado por M. Pérez Ledesma, Madrid, Fundación Pablo Iglesias,

1997

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che portarono la civiltà con le armi 45. JE, quindi, è un’organizzazione rivoluzionaria che, però, nonostante una struttura organizzativa piuttosto rigida 46, non aveva né gli strumenti né l’esperienza per fare alcuna rivoluzione. Come coniugare l’esigenza di rimanere fedeli alla linea anti-imperialista, internazionalista ed antiamericana e trovare il modo di addestrare i propri quadri? Fu a partire dal 1965 ed in particolare durante un lungo viaggio nel 1966 che toccherà molti dei cosiddetti paesi non-allineati che Thiriart cercherà di sciogliere questo duplice nodo. E questa sua rinnovata attenzione verso queste realtà non mancò di manifestarsi sia sulle pagine del giornale che nella linea politica dell’organizzazione compresa la sua sezione italiana.

La “Nation Européenne” si apre a contenuti scritti dalle agenzie romene e jugosla-ve 47 e per tutto il 1966 sono svariati gli articoli che si occupano delle questioni legate allo sviluppo del modello romeno e jugoslavo di comunismo individuato da Thiriart come l’antesignano del nazional-comunismo su base europea che la JE avrebbe dovuto costruire. I contatti non sono solo fitti ma avvengono ad alti livelli al punto che Thiriart chiede ed ottiene da membri del Partito comunista romeno di fare da mediatori per un incontro che vorrebbe avere con Zhou Enlai che già da tempo era Primo ministro del governo cinese. Thiriart chiese ai cinesi di condividere la visione di un’Europa co-munitaria unita contro gli Us ed a questo proposito domandò a Zhou l’appoggio per la formazione militare e supporto tattico per i futuri rivoluzionari europei. stando al report della riunione riportato dallo stesso Thiriart ai dirigenti della JE e confermatomi durante le interviste, al di là dell’articolo ufficiale a firma Thiriart uscito sulla stampa di JE 48, il leader cinese non obiettò, in primissima battuta, a questa richiesta del suo interlocutore ma la trattativa si arenò quando Zhou chiese l’aperta abiura del fascismo da parte di JE. Era questa una richiesta che, ovviamente, non era possibile esaudire per Thiriart ed i suoi 49. JE, insomma, attraverso il suo leader riesce ad intrattenere relazioni con il governo romeno, con una delle più alte cariche del governo cinese oltre che con la Jugoslavia e, come vedremo, con importanti leader arabi e mediorientali. Il nazi-maoismo sembrerebbe essere stato non solo una abile operazione di disinformazione messa in opera da Avanguardia Nazionale 50 o una categoria creata ex-post bensì

un’ef-45 N. Rao, La fiamma e la celtica. Sessant’anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Milano,

sperling&Kupfer editore, 2006, pag.105.

46 L. Michel, Da Giovane Europa alle Brigate Rosse, Milano, società editrice Barbarossa, 1966, la

definisce addirittura leninista. In realtà nel corso delle interviste da me svolte con i dirigenti italiani è stato sì detto che l’organizzazione era una priorità di Thiriart ma anche che le varie branche nazional, pur condividendo le linee del progetto politico, godevano al fine di una qualche libertà.

47 L’intera annata 1966 ospita diversi articoli di Thiriart sulla questione del nazional-comunismo e

riprende articoli dell’agenzia di stampa romena. In particolare i numeri 10-11 e 12 raccontano nel detta-glio il viaggio di Thiriart in Romania. gli originali li ho potuto visionare durante l’intervista con Claudio Mutti. sI veda altresì su questo punto: F. Balace et al., De l’avant à l’après-guerre: l’extrême droite en

Bel-gique francophone, Bruxelles, De Boeck université, 1994.

48 si vedano gli articoli usciti a firma Thiriart su «La Nation Européenne», 10, ottobre 1966. «L’erreur

stratégique de Mao» e «Les déceptions d’un chef communiste», 13, gennaio 1967, p. 8

49 Intervista concessa all’autore da Claudio Mutti presso la sua abitazione di Parma il 31 marzo 2015. 50 L’operazione manifesti maoisti messa in atto a Roma è documentata da carte d’archivio oltre che

ricordata dallo stesso Delle Chiaie nel suo ultimo libro, s. Delle Chiaie-M. griner, L'aquila e il Condor,

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fettiva, anche se minoritaria, tendenza di una parte della destra neo-fascista non solo italiana. Dentro questa galassia, animati dalla stessa mentalità, trovavano posto nazio-nalisti e anticomunisti di estrazioni differenti come, ad esempio, alcune correnti del na-zionalismo arabo. Fu così che JE riuscì ad instaurare rapporti politici in Medio oriente e Nord Africa. si volse verso l’altra sponda del Mediterraneo guardando alle lotte di liberazione dei paesi arabi, soprattutto dei palestinesi ed intrecciò contatti con i governi socialisti del Medio Oriente dall’Egitto all’Iraq. L’idea di Thiriart era chiara formare le sue “Brigate europee” nel fuoco delle guerriglie arabe per poi far tornare sul suolo eu-ropeo dei guerriglieri pronti all’insurrezione. Fin dall’autunno del 1967 JE prende con-tatti con il FNL algerino attraverso gilles Munier, ex membro dell’OAs, che organizza i primi incontri tra il direttore della Nation Euroopeénne e Cherif Belckacem allora coordinatore del segretario esecutivo del FLN 51. I contatti proseguono a lungo fino al viaggio che Thiriart, congiuntamente con Bordes, farà ad Algeri nell’aprile del 1968. In quel frangente Thiriart chiede espressamente di poter far combattere i suoi uomini e di addestrarli su suolo algerino 52. Dopo la morte di Coudroy alcuni dei dirigenti algerini posero un freno alle trattative con JE ma Thiriart non si diede per vinto e continuò a viaggiare; nell’autunno del 1968 parte per incontrare Nasser a Il Cairo. L’incontro avvenne, ma nuovamente le richieste di formare ed addestrare delle brigate europee furono respinte come successe anche in Iraq. Thiriart rilascia interviste a giornali ira-cheni ed a radio libanesi, i ministri ed i funzionari dei regimi socialisti lo ricevono e lo incoraggiano ma non si muoveranno mai per appoggiare fattivamente i suoi piani per fare la rivoluzione comunitaria in Europa contro UsA e URss 53. Bisogna però sottolineare come ancora una volta la posizione antisionista di JE seppe reinterpretare i sentimenti antisemiti presenti in tanti militanti della destra radicale forse frustrati dalla linea ufficiale del MsI nel suo discorso pubblico rimase sempre piuttosto vago onde evitare di inimicarsi ampie fasce dell’opinione pubblica a pochi anni dalla fine della guerra mondiale, soprattutto, dalla shoah. Vanno, infatti, ricordati i trascorsi nega-zionisti di Thiriart ed i continui richiami alla guerra contro l’esistenza stessa di Israele sulle pagine delle pubblicazioni legate alla JE. Fu appunto JE a reintrodurre in modo pubblico ed aperto questo discorso che fece presa su molti giovani neo-fascisti che non avevano dismesso l’armamentario antisemita dei vecchi regimi. Ci sarebbe semmai da chiedersi, non in questa sede, se i contatti di Thiriart nel mondo baathista non fossero in qualche modo collegati ai molti ex nazisti che trovarono rifugio presso quei paesi 54.

51 La notizia viene citata da L. Michel, op.cit., e mi è stata confermata da Amerino griffini durante

l’intervista per iscritto che mi ha concesso

52 Le notizie sono interamente riportate su «La Nazione Europea» che ho consultato presso gli archivi

privati dei militanti. tutte le informazioni mi sono poi state confermate nel corso delle interviste.

53 Un lungo reportage di questo viaggio è disponibile sul numero del 28 novembre del 1968 de «La

Nation Européenne».

54 si veda ad esempio su questo il libro di M.A. Lee, The beast reawakens: Fascism’s Resurgence from

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Conclusioni

Come ha detto lo storico Franco Cardini, militante della JE, l’idea di un Euro-pa imperiale aveva sedotto sia Napoleone che Hitler fino a Drieu la Rochelle, autore molto amato dai giovani neofascisti degli anni ’60. La fortezza Europea del nazismo torna in salsa geopolitica nelle riflessioni di JE ed attrae giovani studenti che non si rassegnano al MsI. Da questo punto di vista il tentativo di JE di riunire in un solo pantheon tutti coloro i quali si battevano contro il capitalismo è una tendenza che possiamo ritrovare anche oggi: basti pensare all’appoggio di gruppi quali Forza Nuova al bolivarismo di Chavez, o ai richiami dei neofascisti di CasaPound a figure come Che guevara, alla fascinazione per la Russia di Putin e per il siriano Assad 55. Jeune Europe, da questo punto di vista, è stata la prima organizzazione neofascista a riprendere in mano l’idea che il nemico principale per i neofascisti fosse il capitalismo individuali-sta. Ancora prima che la globalizzazione divenisse prassi quotidiana e che i socialismi reali crollassero JE inventa un’area politica che permette al neofascismo di presentarsi sotto un aspetto combattentistico e rivoluzionario e di mettere la sordina agli aspetti più controversi della dottrina fascista come il razzismo. Questo non cancellò quella cultura diffusa e quelle pratiche quotidiane di tipo razzista ed etnocentrista che erano fortemente radicate nel pensiero dell’estrema destra. L’antisemitismo biologico incon-trò le teorie evoliane e quelle dell’ultra-cattolicesimo. La lotta contro il comunismo si intrecciò con una critica feroce alla democrazia rappresentativa tutta; infine lo stesso concetto di tradizione si sposò ad un nazionalismo di stampo internazionalista che prevedeva il sostegno alle lotte di liberazione come strumento unico per contrastare un trend, quello della globalizzazione, che minacciava società meticce. sono questi i tre terreni intorno ai quali il neofascismo che si sviluppa tra la metà degli anni ’50 in poi articola un discorso politico complesso e che giunge fino a noi sotto le spoglie di partiti e movimenti che, forse, in maniera frettolosa vengono etichettati come populisti ignorandone la storia ed il percorso. sono convinto che la lettura dei recenti fenomeni che alcuni autori hanno definito come post-democrazia o populismo potrebbero essere meglio inquadrati grazie allo sforzo interpretativo di questi tre assi: etnocentrismo, av-versione per la democrazia rappresentativa e neo-nazionalismo. In questo senso questo breve saggio può rappresentare un primissimo tentativo di riflessione su come il neofa-scismo possa essere utilizzato come categoria analitica non solo del recente passato ma anche di alcuni frammenti di presente.

Matteo Albanese (Università di Lisbona)

55 M. Albanese-g. Bulli-P. Castelli-C. Forio, Fascisti di un altro Millennio? Crisi e partecipazione

Referências

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