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PARTE IV dottrinan n. 1-2/2013

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ESISTE UN PRINCIPIO DELLA “COMPETENZA ECONOMICA”

SPECIFICO PER LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI?

ANALISI TEORICA ED ARMONIZZAZIONE CONTABILE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI ITALIANE

di Fabio Giulio Grandis e Giorgia Mattei (*) Sommario: Abstract. – 1. Obiettivi e metodi della ricerca. – 2. La rilevanza “storica” dell’analisi economica

nelle amministrazioni pubbliche. – 3. La competenza economica nelle gestioni erogatrici non profit. – 4. La significatività del risultato economico d’esercizio. – 5. L’introduzione della contabilità economica nelle amministrazioni pubbliche italiane. – 6. Il principio della competenza economica negli Ipsas. – 7. Conclu- sioni.

Abstract

Il lavoro analizza il principio della competenza economica applicato alle gestioni non profit quali sono la maggior parte delle amministrazioni pubbliche. L’analisi è condotta partendo da concetti ancorati e consoli- dati nella “storia” della contabilità che consentono, oggi, di dare una definizione del principio della contabi- lità economica per le attività non profit differente da quello applicabile alle imprese profit oriented. Da ciò consegue anche una diversa interpretazione del risultato economico d’esercizio. Successivamente si passa ad una analisi “sul campo” di come la contabilità economica è stata introdotta nelle pubbliche amministrazioni italiane nel processo di armonizzazione in corso. Infine, si esamina in chiave critica l’attuale principio della competenza economica accolto dall’Ipsas comparandolo con la definizione teorica. Le conclusioni attengono a come i principi Ipsas possano contribuire al processo di armonizzazione contabile delle amministrazioni pubbliche italiane, ma anche il contrario.

1. Obiettivi e metodi della ricerca

Fino al 2002, il lavoro svolto dall’International public sector accounting standards board Ipsasb (ex Pu- blic sector commitee Psc) è stato adattare i principi contabili Ias al settore pubblico. Successivamente iniziaro- no ad essere elaborati alcuni principi specifici su quegli aspetti nei quali i principi Ias non potevano essere ap- plicati, stante le peculiarità del settore pubblico; ad esempio nel dicembre del 2006 uscì il principio Ipsas 23 re- lativo ai “Proventi per transazioni non reciproche”.

Anche in questa seconda fase il forte attaccamento al framework Ias ha caratterizzato la scelta del Board Ipsasb di applicare il principio della c.d. “competenza economica” dettato per le imprese private anche alla contabilizzazione delle operazioni di gestione delle aziende e delle amministrazioni pubbliche (Newberry 2002, Ellwood e Newbury 2006) (1).

Il primo obiettivo di questo paper consiste nel verificare se il principio della competenza economica enun- ciato nel framework Ias sia applicabile senza alcuna variazione, oppure anch’esso richieda degli adattamenti e delle modifiche tipiche del settore pubblico.

Il secondo obiettivo della ricerca risiede nel verificare come sia stato introdotto un sistema accrual nelle pubbliche amministrazioni italiane negli ultimi 20 anni ed, in particolare, nel recente processo di armonizza- zione contabile dei bilanci pubblici previsto dalla Costituzione della Repubblica italiana.

La metodologia adottata in questo lavoro è sia di tipo deduttivo che induttivo.

(*) Nell’ambito di una congiunta attività di ricerca, i par. 1 e 6 sono attribuibili alla dott. G. Mattei, gli altri al prof. F.G. Grandis. Il presente articolo è la traduzione, curata dagli stessi autori, di un lavoro dal titolo: Is there a specific accrual basis standard for the public sector? Theoretical analysis and harmonization of italian government accounting presentato al Convegno internazionale Egpa-Europe- an group for public administration, dal titolo Public sector management and Ipsas, tenutosi il 26-27 aprile 2012 presso Athens Univer- sity of economics and business e pubblicato su Open journal of accounting, 1, 2012, 27-37, ISSN 2169-3404, doi:104236/

ojacct.2012.120004.

(1) S. Newberry, The conceptual framework sham and its support for an even greater sham, in Australian Accounting Review, n. 12, 2002; S. Ellwood, S. Newbury, A bridge too far: a common conceptual framework for commercial and public benefit entities, in Account- ing and Business Research, n. 36, 2006.

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Il metodo deduttivo è stato utilizzato prevalentemente nel perseguimento del primo obiettivo. In particola- re si intende procedere ad una accurata ricerca dottrinale sul tema, in ragione della natura delle amministrazio- ni pubbliche, caratterizzate da una finalità non profit, da specificità dei loro finanziamenti e della frequente as- senza di “prezzi di mercato” dei servizi erogati.

Il metodo induttivo è stato utilizzato prevalentemente per il secondo obiettivo della ricerca. Dall’esame dei casi concreti, della normativa che ne disciplina il bilancio e dalle effettive modalità di applicazione dei sistemi accrual si può trovare riscontro o meno delle osservazioni scaturite dall’analisi dottrinale.

Dall’analisi condotta emerge una evidente difficoltà per le aziende e le amministrazioni pubbliche ad appli- care il principio di competenza economica adottato per le imprese profit oriented per due ordini di ragioni:

- la prima, estendibile a livello internazionale, riguarda l’interpretazione del risultato economico della ge- stione alla luce del principio di competenza economica adottato;

- la seconda, specifica per tutte le amministrazioni pubbliche di quei paesi in cui il bilancio di previsione svolge una funzione autorizzativa.

La turbolenza del contesto in cui si trovano ad operare le pubbliche amministrazioni dei paesi europei, in- durrebbe ad implementare il sistema di contabilità tradizionalmente utilizzato con uno che sia in grado di evi- denziare l’equilibrio economico a valere nel tempo, ma è pur vero che l’equilibrio economico di una azienda profit è diverso da quello di una azienda non profit, quali sono le pubbliche amministrazioni, e certamente quel- le italiane.

Se si considerano altri contesti internazionali, pare evidente come non sia più veritiera la convinzione che tutti i paesi economicamente più avanzati hanno adottato, o sono in procinto di farlo, una contabilità di tipo full accrual (Perrin 1998, Lapsley et al. 2009) (2).

2. La rilevanza “storica” dell’analisi economica nelle amministrazioni pubbliche

Nella realtà odierna le amministrazioni pubbliche sono costituite, prevalentemente, da aziende di erogazio- ne non profit nelle quali sono presenti una serie di altre attività rinvenibili anche nelle imprese profit oriented.

È stato osservato (Cassandro 1970) (3), infatti, che le amministrazioni pubbliche svolgono anche processi di natura produttiva, di gestione del loro patrimonio e vere e proprie operazioni lucrative d’impresa che, però, hanno un carattere strumentale rispetto a tutte le attività necessarie per il raggiungimento delle loro finalità isti- tuzionali, politiche e sociali.

Nelle pubbliche amministrazioni italiane, la rilevazione economica ha assunto rilievo solo a partire dall’ul- timo decennio del XX secolo, ciò nonostante un illustre studioso ne avesse sottolineato la rilevanza più di un secolo prima (Cerboni 1877 e 1886) (4).

In passato, l’analisi della gestione e la conseguente rilevazione si erano limitate al solo aspetto finanziario e monetario, seguendo una impostazione contabile di tipo Camerale (Schrott 1856) (5). Tale impostazione, do- vuta al preminente carattere di aziende di consumo delle amministrazioni pubbliche tradizionali, ha rivelato i suoi limiti nel momento in cui, anche queste aziende, hanno iniziato a svolgere processi produttivi di comples- sità crescente all’intensificarsi dell’intervento pubblico nell’economia e nel soddisfacimento diretto dei biso- gni della collettività amministrata.

Tale stato di cose ha generato una serie di problemi di natura tecnico-amministrativa, in molti casi ancora presenti (Grandis 1995; Pezzani 2005) (6), il più rilevante dei quali attiene alle variazioni del patrimonio azien- dale.

Il mantenimento del patrimonio, quindi, si configura quale condizione minima e necessaria per la “soprav-

(2) J. Perrin, From cash to accruals in 25 years, in Public Money & Management, n. 18, 1998; I. Lapsley, R. Mussari, G. Paulsson, On the adoption of accrual accounting in the Public Sector: a self-evident and problematic reform, in European Accounting Review, n. 18, 2009.

(3) P.E. Cassandro, Le gestioni erogatrici pubbliche, Utet, Torino, 1970, 17.

(4) Nel XIX secolo il più autorevole studioso della “ragioneria pubblica” italiano è sicuramente Giuseppe Cerboni. Di lui è necessa- rio ricordare che è stato il secondo Ragioniere generale dello Stato dopo l’unità d’Italia. Nel merito vanno citate almeno le seguenti opere:

G. Cerboni, Quadro di contabilità per le scritture in partita doppia della ragioneria generale dello Stato, Stamperia reale, Roma, 1877; G.

Cerboni, La ragioneria scientifica e la sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Loescher e C., Roma, 1886.

(5) J. Schrott, Lehrbuch der allgemeinen Verrechnungswissenschaft, Friedrich Rohlicek, Prag, 1856.

(6) Sull’argomento vedasi, fra gli altri: F.G. Grandis, Il conto economico nei documenti contabili degli enti pubblici, Kappa, Roma, 1995, 29 s.; F. Pezzani, L’evoluzione dei sistemi di contabilità pubblica, in Azienda Pubblica, Maggioli, Rimini, n. 4, 2005.

(3)

vivenza” e la continuità aziendale; oppure, come nel caso delle amministrazioni pubbliche, si verificherebbe una “continuazione patologica” (Amaduzzi 1935) (7) di una gestione “in coma irreversibile”.

Il mantenimento del patrimonio va inteso in senso dinamico, eventualmente come “riconversione” della so- stanza patrimoniale al variare dei bisogni pubblici da soddisfare, che sono mutevoli nel tempo, nello spazio ed in funzione della classe politica dominante in uno specifico periodo.

Pertanto, oggi, l’analisi del solo aspetto finanziario è unilaterale e insufficiente.

In Italia, le riforme dei “sistemi contabili pubblici” hanno introdotto l’obbligo di procedere anche all’anali- si economica e patrimoniale della gestione, ma si sono andati affermando diversi modelli contabili (Grandis 2006) (8) accorpabili in due impostazioni di fondo rinvenibili anche nella dottrina internazionale:

a) la prima prevede il totale abbandono della contabilità pubblica “tradizionale” a favore di modelli di rile- vazione identici a quelli adottati dalle imprese (McCulloc e Ball 1992; Evans 1995; Heald e Georgiou 1995;

Mellor 1996; Gillibrand e Hilton 1998; Guthrie 1998) (9);

b) la seconda propone diversi modelli di integrazione fra le rilevazioni finanziarie e quelle economiche (Aiken e Capitanio 1995; Conn 1996) (10).

La scelta fra l’una o l’altra impostazione anima il dibattito dottrinale e distingue la ratio retrostante le di- verse norme di contabilità applicabili ai vari settori delle pubbliche amministrazioni.

In qualunque caso, l’analisi economica è divenuta necessaria ed ineludibile. Tuttavia, per comprenderne l’effettiva portata informativa è necessario indagare sul concetto di competenza economica qualora venga ap- plicato alle gestioni erogatrici non profit piuttosto che a quelle profit oriented tipiche delle imprese operanti sul mercato.

3. La competenza economica nelle gestioni erogatrici non profit

Nella maggior parte delle amministrazioni pubbliche, il processo produttivo del servizio erogato giustifica solo il sostenimento dei relativi costi ed oneri, e solo raramente ha un ritorno di ricavi corrispondenti e congrui poiché l’intero processo aziendale non è finalizzato ad una successiva attività di vendita ma al soddisfacimen- to diretto dei bisogni della collettività amministrata.

Inoltre, la maggior parte dei proventi con i quali remunerare i fattori produttivi sono, al contrario degli one- ri e dei costi, indipendenti dal volume dell’attività svolta. Ad esempio, un contributo da parte dello Stato o da enti governativi a favore di una pubblica amministrazione, le tasse e le imposte incassate, un contributo obbli- gatorio o una rendita patrimoniale sono, spesso, ottenuti indipendentemente dalla quantità e qualità del servi- zio erogato. In questi casi i proventi non sono il corrispettivo di una particolare servizio fra quelli svolti dalla amministrazione pubblica, ma sono imputabili, genericamente, all’intera finalità istituzionale.

Pertanto, affinché si colgano compiutamente le differenze fra la gestione economica di una impresa profit oriented e di una azienda di erogazione non profit è necessario ricordare una differenza ben nota in dottrina, os- sia è necessario distinguere i fatti di gestione in base agli effetti economici degli eventi sottostanti. In tal senso vi sono variazioni economiche relative a: ricavi e costi, che presuppongono un corrispettivo, ossia l’esistenza

(7) Osserva acutamente l’Amaduzzi, che le “manifestazioni numerarie, imposte dalla continuità della vita aziendale, possono anche richiedere lesioni al potere di generazione di ricchezza che l’azienda di erogazione abbia. E allora se non si verificasse una ricostruzione delle perdute forze economiche, l’azienda sarebbe destinata alla cessazione del suo unitario processo, o alla continuazione patologica del- la sua vita, quando l’azienda fosse perenne per natura” Cit. A. Amaduzzi, Aziende di erogazione. Primi problemi di organizzazione, gestio- ne e rilevazione, Principato, Messina-Milano, 1935, ripubblicato in A. Amaduzzi, Studi di economia aziendale, Kappa, Roma, 1995, 130.

Si ritiene che l’autore riferendosi alle aziende “perenni per natura” intendesse le aziende pubbliche di erogazione che, come tali, non pos- sono fallire. Nella odierna realtà, tuttavia, tali aziende pubbliche possono subire il pignoramento dei beni, essere commissariate o, even- tualmente essere assorbite da amministrazioni superiori.

(8) F.G. Grandis, Le ambiguità nelle riforme dei sistemi contabili pubblici, Quaderni monografici Rirea, n. 47, Rirea, Roma, 2006, 10.

(9) B.W. McCulloc and I. Ball, Accounting in the context of financial management reform, Financial accountability and management, 1992, n. 8; M. Evans, Corporate governance, in P. Jackson and M. Levender, (eds.), The public service, Yearbook 1995-1996; D. Heald and G. Georgiou, Resource accounting: valutation, consolidation and accounting regulation, Public Administration, 1995, vol. 73; T. Mel- lor, Why local governments producing balance sheets, Ajpa 55; A. Gillibrand and B. Hilton, Resource accounting and budgeting: princi- ples, concepts and practice: the MoD case, Public money and management, 1998, vol. 18, n. 2; J. Guthrie, Application of accrual account- ing in the Australian public sector. Rhetoric or reality?, Financial accountabiliy and management, 1998, vol. 14, n. 1.

(10) M. Aiken and C. Capitanio, Accrual accounting valutations and accountability in government: a potentially pernicious union, Aus- tralian journal of public Administration, 1995, vol. 54, n. 4; N. Coon, Reservation about governments producing balance sheets, 1996, Aj- pa 55.

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di una sottostante operazione di scambio di beni e servizi; proventi ed oneri, che non presuppongono una ope- razione di scambio, ma afferiscono ad altri eventi quali atti unilaterali, siano questi casuali, volontari o coatti- vamente imposti; ad esempio, l’ottenimento o la concessione di una contribuzione monetaria o in natura, talu- ne variazioni economiche straordinarie degli elementi patrimoniali, i lasciti e le donazioni, le imposte ed i tri- buti, ecc.

Se ci si focalizza sui bisogni che si intendono soddisfare con l’erogazione di un servizio, si possono indivi- duare differenti modelli organizzativi all’interno delle pubbliche amministrazioni.

Questi modelli organizzativi divergono a seconda che si eroghino:

a) servizi specifici e divisibili, cioè a domanda individuale;

b) servizi generali e indivisibili, cioè a domanda collettiva;

c) altre tipologie di erogazione.

Nei modelli organizzativi di cui al sub 1 è rinvenibile all’interno della amministrazione pubblica un vero e proprio processo produttivo per il quale sarà necessario sostenere costi per l’acquisizione dei fattori produttivi che saranno immessi nel successivo ciclo operativo. Il risultato di tale processo andrà a soddisfare il bisogno specifico e divisibile; in contropartita, l’erogazione di tale servizio genererà ricavi che saranno reimpiegati per sostenere i costi dei fattori produttivi. Figura 1: servizi specifici e divisibili (Omissis)

In questo modello organizzativo si individuano operazioni di scambio sia sul fronte delle entrate sia sul fronte delle uscite pertanto il principio della competenza economica applicabile è il medesimo utilizzato nelle imprese.

Anche nei modelli organizzativi di cui al sub 2 è presente il processo produttivo all’interno della ammini- strazione pubblica e, pure in questo caso, sarà indispensabile sostenere costi per l’acquisizione di fattori da im- mettere nella produzione. Il risultato di tale processo andrà a soddisfare i bisogni generali e indivisibili. I pro- venti giungono, di norma, da amministrazioni di ordine superiore e vengono impiegati per sostenere i costi dei fattori produttivi. Figura 2: servizi generali e indivisibili (Omissis)

In questo modello organizzativo, si individua una operazione di scambio sul lato delle uscite, e una opera- zione non corrispettiva sul lato delle entrate; in quest’ultimo caso si pone il problema di come applicare il “tra- dizionale” principio di competenza economica.

Nei modelli organizzativi di cui al sub 3 i proventi delle amministrazioni pubbliche derivano da ammini- strazioni di ordine e grado superiore e sono distribuiti in varie modalità (ad esempio indennizzi di disoccupa- zione, borse di studio, sostegni alla mobilità, ecc.). Questi sono oneri che la pubblica amministrazione sostie- ne per l’intera collettività. Figura 3: altre tipologie di erogazione (Omissis)

In questo caso si evidenziano esclusivamente operazioni non corrispettive e, per questa ragione, è difficile adottare il principio di competenza economica così come tradizionalmente inteso.

Tutti i fatti amministrativi legati alla gestione economica dell’azienda, possono essere suddivisi in ragione degli effetti che producono su un esercizio piuttosto che su un altro. I costi ed i ricavi, gli oneri ed i proventi, vengono attribuiti ad ogni anno solare in base a presunzioni ed astrazioni che cercano di identificare il “nesso causale” fra le componenti economiche positive e quelle negative.

Grazie a tale nesso causale, denominato “principio della competenza economica”, è possibile misurare le variazioni del patrimonio ed il connesso risultato economico d’esercizio.

Ma il “nesso causale” è estremamente differente, praticamente invertito (Onida 1971) (11), nel momento in cui si confronta la dinamica delle gestioni erogatrici non profit con quella delle gestioni profit oriented, siano queste patrimoniali o d’impresa.

Infatti: nelle gestioni profit oriented, i costi sono sostenuti per ottenere dei ricavi, aumentare il differenzia-

(11) La differente nozione di competenza economica traspare dalle seguenti considerazioni di P. Onida, Economia d’azienda, Utet, To- rino, 1971, 8: «Ma le “entrate” e le “uscite” dell’azienda di erogazione non sono rispettivamente assimilabili, in tutto il loro significato eco- nomico, ai ricavi e ai costi dell’azienda di produzione per lo scambio. In quest’azienda, i costi, o meglio dati complessi di costi, vengono, di regola, sostenuti in vista dei ricavi ch’essi potranno permettere di conseguire; il sostenimento dei costi trova stimoli o almeno limiti di convenienza nella presunta possibilità di conseguire ricavi.

Nell’azienda di erogazione, invece, le erogazioni e i consumi e quindi le “uscite” sono stimolate essenzialmente, non dalle “entrate”, ma dai bisogni dell’ente al quale l’azienda appartiene, pur essendo vero che il volume delle entrate condiziona quello delle uscite e che la somma dei mezzi a disposizione agisce sulla stessa propensione al consumo e col suo elevarsi sembra suscitare e stimolare i bisogni, spe- cialmente quelli più voluttuari».

(5)

le fra costi e ricavi costituisce lo scopo ultimo dell’impresa; nelle gestioni non profit accade il contrario: i pro- venti sono ottenuti, spesse volte in modo coattivo, per sostenere i costi e gli oneri necessari al perseguimento della finalità istituzionale, sociale e politica; il volume dei proventi e dei ricavi dovrebbe rappresentare il limi- te massimo dei costi e degli oneri; nel medio-lungo termine, non dovrebbero formarsi differenziali rilevanti e stabili fra componenti economiche positive e negative.

La nozione di “competenza economica”, quindi, assume delle connotazioni particolari qualora si applichi alle aziende di erogazione non profit e, in particolare, alle amministrazioni pubbliche.

I processi lucrativi possono essere interpretati solo in ragione della strumentalità che hanno rispetto alla più generale finalità sociale delle amministrazioni pubbliche.

La gestione del patrimonio e l’attività di impresa trovano ragion d’essere nelle aziende di erogazione non profit solo nella misura in cui generano redditi netti positivi che, configurandosi come “mezzi”, vengono suc- cessivamente “impiegati” per l’espletamento della finalità istituzionale. È assolutamente evidente, infatti, che una attività di impresa condotta in perdita si ripercuoterebbe sfavorevolmente sul processo erogativo poiché l’amministrazione pubblica, data la sua unitarietà, dovrebbe provvedere alla copertura delle perdite a discapi- to del soddisfacimento dei bisogni sociali per i quali è stata costituita.

Da quanto detto consegue che l’analisi economica della gestione di una amministrazione pubblica richiede, in via preliminare, una distinzione tra gli eventi direttamente collegati ad un processo di scambio sul mercato e quelli non caratterizzati da questo stesso processo in quanto finalizzati ad una o più attività erogative e socia- li (12).

Nel primo caso la competenza dei costi o dei ricavi conseguenti è riconducibile alla nozione utilizzata per le imprese: i ricavi sono di competenza economica di un esercizio quando è avvenuto lo scambio, nel senso del passaggio sostanziale del titolo di proprietà, del bene o del servizio e si è completato il relativo processo pro- duttivo; i costi sono correlati ai ricavi per i quali sono stati sostenuti. Tale correlazione può essere effettuata analiticamente e direttamente per associazione di causa ad effetto. In mancanza di una diretta associazione, per ripartizione dell’utilità o funzionalità su base razionale e sistematica (ad esempio in base al tempo) o quando è venuta meno l’utilità e la funzionalità del costo.

In qualunque caso, laddove sia ravvisabile, su base sinallagmatica, un ricavo di natura corrispettiva, ancor- ché fosse un prezzo politico, il principio sopra citato diviene interamente applicabile e ad esso si deve fare ri- ferimento nella definizione delle componenti economiche d’esercizio.

Altrimenti e, quindi, per la maggior parte delle attività amministrative pubbliche, è necessario considerare la competenza economica in diretta relazione al processo erogativo di prestazioni sociali e servizi resi “al di fuori” delle regole di mercato, ossia in assenza di una operazione di vendita.

I proventi delle amministrazioni pubbliche non sono, di norma, correlati ai volumi delle attività istituziona- li di carattere erogativo (si pensi, ad esempio a tutte le imposte, ai contributi provenienti da amministrazioni su- periori, ecc.) e, quasi sempre, non hanno la natura di corrispettivo per la cessione di un bene o di un servizio.

In altri termini, viene meno la connessione sinallagmatica fra costi e ricavi ed emerge il susseguirsi asincrono di oneri e proventi. Ciò implica che, mentre i ricavi discendono dai costi essendone la loro conseguenza a se- guito del processo produttivo e di vendita, i proventi possono avere nulla a che fare con gli oneri: il soggetto che concede il provento non coincide, necessariamente, con colui che beneficia dell’erogazione del bene o del servizio.

Ciò, fra l’altro, evidenzia la funzione redistributiva del reddito nazionale effettuata dalle amministrazioni pubbliche.

L’entità dei costi e degli oneri è strettamente correlata ai volumi delle attività istituzionali, poiché da questi generati. In tale logica, i proventi sono ottenuti in forza di un “impegno formale”, di una “solenne promessa” a destinarli alla copertura dei costi e degli oneri necessari all’espletamento del processo erogativo di natura so- ciale.

(12) È nota la distinzione fra servizi “a domanda individuale” e servizi “a domanda collettiva”. I primi sono servizi particolari e divi- sibili, ossia servizi che soddisfano specifici bisogni e per i quali è possibile quantificare la prestazione erogata al singolo beneficiario. I se- condi sono servizi generali e indivisibili, ossia servizi di interesse collettivo per i quali non è possibile quantificare il beneficio arrecato al singolo. Chiaramente, solo i servizi a domanda individuale sono gestibili in regime commerciale, ossia chiedendo uno specifico corrispet- tivo, sia questo commisurato ad un prezzo di mercato o ad un prezzo politico.

(6)

Questo “impegno formale” e questa “solenne promessa”, sono contenuti nei documenti contabili di previ- sione che divengono così, non solo il vincolo giuridico ed autorizzativo che regola i rapporti fra le singole pub- bliche amministrazioni ed i loro enti governativi, ma anche, nell’aspetto aziendale, l’elemento portante e car- dinale per identificare la correlazione di causa ad effetto dei proventi con gli oneri ed i costi della gestione.

L’obbligatorietà giuridica della previsione e della programmazione nelle amministrazioni pubbliche, viene ora spiegata nella sua ineluttabilità gestionale, poiché l’assenza limiterebbe gravemente la significatività dell’a- nalisi economica.

Nelle imprese, infatti, la programmazione è necessaria ed opportuna, ma non essenziale; in queste realtà la governance opera “razionalmente” (Simon 1958) (13), in termini di benefici attesi, nel momento stesso in cui sostiene ogni singolo costo; il risultato economico d’esercizio ha significatività indipendentemente dal fatto che si sia effettuata o meno una programmazione della gestione.

Nelle pubbliche amministrazioni, invece, i benefici attesi devono essere identificati e concordati prima del sostenimento del costo ma, soprattutto, prima dell’ottenimento, spesse volte coattivo, del provento. Quindi, è già nella fase della programmazione che si deve creare quel vincolo di causa ad effetto che poi conferisce mag- giore significatività al risultato economico quale indicatore sintetico dell’andamento della gestione. In tal sen- so, un disavanzo economico d’esercizio potrebbe anche essere il frutto di una scelta consapevole e programma- ta (Paoloni e Grandis 2007) (14).

Pertanto, i costi e gli oneri, come regola generale, devono essere considerati di competenza economica dell’esercizio, non quando trovano il corrispettivo ricavo, come invece previsto per le imprese profit oriented, ma quando si verificano le seguenti due condizioni: il processo produttivo dei beni o dei servizi è stato comple- tato; l’erogazione è avvenuta.

Si è cioè verificato il passaggio sostanziale del titolo di proprietà o di godimento, nel caso di beni o servizi a domanda individuale, ovvero il bene o il servizio è divenuto di pubblico beneficio, nel caso di attività eroga- tive e sociali a domanda collettiva.

La partecipazione del costo e dell’onere al processo produttivo ed erogativo si realizza quando:

- i costi sostenuti in un esercizio riguardano fattori che hanno esaurito la loro utilità nell’esercizio stesso o non ne sia identificabile o valutabile la futura utilità;

- la competenza economica dei costi può essere determinata anche sulla base di assunzioni del flusso dei costi o, in mancanza di una più diretta associazione, per ripartizione dell’utilità o funzionalità pluriennale su base razionale e sistematica (ad esempio ammortamento);

- viene meno o non sia più identificabile o valutabile la futura utilità sociale o funzionalità dei fattori pro- duttivi i cui costi erano stati sostenuti in esercizi precedenti;

- l’associazione al processo produttivo o la ripartizione dell’utilità su base razionale e sistematica non sia- no di sostanziale rilevanza.

Regole particolari riguardano la rilevazione dei costi relativi ad attività a lungo termine, cioè alla produzio- ne di beni e all’erogazione di servizi il cui processo produttivo eccede l’anno.

I proventi, nonché tutte le componenti economiche positive di natura non corrispettiva, devono essere cor- relati con i costi e gli oneri dell’esercizio. Detta correlazione, inversa rispetto a quella fra costi e ricavi, costi- tuisce un corollario fondamentale del principio di competenza economica dei fatti gestionali caratterizzanti le attività erogative pubbliche non profit. Con ciò si intende esprimere la necessità di contrapporre ai costi dell’e- sercizio, siano essi certi o presunti, i relativi proventi. Tale correlazione si realizza:

- per associazione di causa ad effetto tra proventi, costi ed oneri. L’associazione può essere effettuata ana- liticamente e direttamente (ad esempio i tributi di scopo, i contributi a destinazione vincolata, lasciti e donazio- ni modali, ecc.);

- per imputazione diretta di proventi al conto economico dell’esercizio o perché associati al tempo (ad esempio le imposte aventi cadenza annuale) o perché sia cessata la correlazione con il costo o l’onere (ad esem- pio, proventi derivanti da plusvalenze da alienazione);

- per storno dallo stato patrimoniale al conto economico dell’esercizio di proventi ottenuti in passato ma correlabili ad una o più attività svolte nell’esercizio.

(13) H.A. Simon, Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958, 21.

(14) M. Paoloni, F.G. Grandis, La dimensione aziendale delle Amministrazioni pubbliche, Giappichelli, Torino, 424 s.

(7)

L’ultimo caso richiede la definizione di regole particolari per la corretta contabilizzazione dei proventi con- cessi per lo svolgimento di attività a lungo termine, tipicamente i contributi concessi dallo Stato o da altri enti governativi.

Appare evidente che la corretta collocazione contabile all’interno del bilancio debba riflettere l’effettivo animus con il quale detti contributi sono stati concessi (Grandis 1996; Paolucci 2001) (15) e, quindi, debba te- nere conto del principio di competenza economica utilizzato per tali valutazioni.

L’animus, l’intento, le finalità, le motivazioni del contributo e le possibili destinazioni di tali agevolazioni, ai nostri fini, devono essere distinte in base al ruolo rivestito nel quadro della gestione della singola ammini- strazione pubblica.

In tal senso è possibile distinguere i contributi destinati al ripristino o all’accrescimento del patrimonio net- to da quelli destinati al “consumo” o, più correttamente, alla gestione.

L’animus, l’intento, la finalità del contributo sono spesso rinvenibili nelle leggi del singolo paese o nelle motivazioni degli enti governativi che hanno concesso il finanziamento. Pertanto, dopo la chiara definizione dell’intento dell’erogazione:

- i contributi che rappresentano conferimenti di risorse destinate a perseguire durevolmente e continuativa- mente le finalità istituzionali sono da ritenersi come accrescimenti del patrimonio netto;

- i contributi “per la gestione”, destinati “al consumo” o alla copertura di costi ed oneri dalla gestione dell’anno, confluiscono in conto economico fra le componenti positive d’esercizio;

- i contributi destinati alla copertura di specifiche prestazioni istituzionali a carattere pluriennale (realizzazio- ne di opere pubbliche, progetti pluriennali di ricerca, acquisto di attrezzature strumentali, ecc.) andrebbero, inve- ce, a compensare il valore “sociale” generato dall’amministrazione pubblica mediante l’espletamento della sua at- tività; in questo caso i contributi potrebbero essere trattati alla stregua di ricavi differiti, ossia “risconti passivi”, oppure contabilizzati in specifiche poste del passivo per essere correlati ai costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività per la quale sono stati concessi, utilizzando la procedura contabile della “sterilizzazione” (16).

In quest’ultimo caso il contributo si potrebbe configurare, astrattamente, quale “debito per impegni” (Besta

(15) Sul punto vedasi quanto affermato da F.G. Grandis, Lo schema di bilancio delle aziende sanitarie pubbliche, Cedam, Padova, 1996, 85. Analogamente, nel caso delle imprese, è stato affermato: “Riteniamo che il metodo più corretto per la contabilizzazione dei con- tributi in conto capitale debba essere scelto facendo riferimento alle finalità e alle peculiarità di ogni iniziativa agevolata, considerando an- che le modalità in base alle quali tale iniziativa si inserisce nell’ambito dell’economia dell’impresa che ha fruito del contributo; solo in que- sto modo può essere valutata la validità di un determinato approccio e l’efficacia informativa del conseguente criterio contabile”. G. Pao- lucci, I contributi in conto capitale nell’economia dell’impresa. Peculiarità contabili, prassi internazionale ed indagini empiriche, Giap- pichelli, Torino, 2001, 53-54.

(16) Il termine “sterilizzazione” deriva dal fatto che, mediante tale operazione, si sterilizza il risultato economico dall’effetto dei costi so- stenuti per l’espletamento di quelle attività per le quali è stato, appunto, ottenuto in contributo. Ad esempio, nell’ipotesi che si ottenga un con- tributo che copra l’intero esborso derivante dall’acquisto di una attrezzatura strumentale, si avranno le seguenti scritture contabili:

Crediti v/Amministrazione finanziatrice a Contributi a destinazione vincolata 100

Attrezzature strumentali a Debiti v/fornitori 100

Istituto tesoriere (banca) a Crediti v/Amministrazione finanziatrice 100

Debiti v/fornitori a Istituto tesoriere (banca) 100

In sede di scritture di assestamento e chiusura dei conti si avranno le seguenti scritture contabili:

Ammortamento attrezzature strumentali a Fondo ammortamento attrezzature strumentali 20

Contributi a destinazione vincolata a Utilizzo contributi a destinazione vincolata 20

Conto economico a Ammortamento attrezzature strumentali 20

Utilizzo contributi a destinazione vincolata a Conto economico 20

Stato patrimoniale finale a Attrezzature strumentali 100

Diversi a Stato patrimoniale finale 100

Contributi a destinazione vincolata 80

Fondo ammortamento attrezzature strumentali 20

Da quanto sopra è immediatamente desumibile l’effetto prodotto in conto economico ed in stato patrimoniale.

Chiaramente, nell’ipotesi in cui il contributo in conto capitale non copra interamente l’acquisto, lo storno in conto economico dovrà essere calcolato applicando la medesima aliquota dell’ammortamento alla consistenza del contributo in conto capitale.

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1909) (17) assunti nei confronti della collettività per servizi da rendere in futuro o, più correttamente nella logica del reddito (Onida 1970) (18), quale “provento di competenza economica futura”. In questa maniera lo stato pa- trimoniale contrappone una specifica fonte di finanziamento ad uno specifico investimento in corso di realizza- zione, permettendo di evidenziare il vincolo di destinazione del contributo ottenuto dagli enti governativi.

In conclusione, si può affermare l’esistenza di un principio della competenza economica specifico per le pubbliche amministrazioni. Detto principio, per certi aspetti, è invertito rispetto all’analogo principio adottato per le imprese profit oriented.

Solo in tal modo può essere data autonoma significatività al risultato economico d’esercizio di una azienda non profit.

4. La significatività del risultato economico d’esercizio

La differente nozione del principio della competenza economica per le pubbliche amministrazioni identifi- ca un solco logico, strategico e gestionale con le imprese profit oriented.

Il risultato economico di una impresa profit oriented indica, se positivo, che la gestione dell’anno si è chiu- sa profittevolmente, conseguendo un guadagno; viceversa si verifica una perdita se l’esercizio si è chiuso in- fruttuosamente.

Nelle pubbliche amministrazioni, come in tutte le aziende non profit, il risultato economico d’esercizio non as- sume tale significato (19). Infatti, qualora la specifica amministrazione pubblica si trovasse continuamente in avanzo economico, significherebbe che non ha destinato tutte le risorse al perseguimento delle finalità istituzio- nali, sta conseguendo un lucro che non gli compete ed ha richiesto alla collettività amministrata, ossia ai cittadi- ni, un sacrificio eccessivo rispetto alle necessità o a quanto effettivamente erogato.

In realtà, una tale situazione indica la disponibilità di risorse da destinare all’erogazione mediante un au- mento degli oneri e dei costi connesso a: un incremento quantitativo degli utenti/beneficiari; un incremento quantitativo della tipologia dei servizi offerti; un incremento qualitativo dell’erogazione.

In alternativa, l’avanzo economico potrebbe confluire in riserve di patrimonio netto per fronteggiare future ed eventuali situazioni contingenti di disavanzo economico di breve periodo (Amaduzzi 1936) (20). Nelle pubbliche amministrazioni, infatti, è esclusa la corresponsione di dividendi a singoli privati cittadini.

In qualunque caso, qualora non si volesse attuare alcuna delle azioni di cui sopra, si potrebbe:

- abbassare gli eventuali prezzi politici richiesti per l’erogazione dei servizi;

- chiedere minori contributi allo Stato o agli enti governativi che, in tal modo, potrebbero finanziare altre politiche pubbliche;

- rimettere agli enti governativi gli eventuali surplus generati dalla gestione.

Il risultato economico positivo, quindi, non acquisisce il significato di “guadagno”, come nelle imprese pro- fit oriented, ma di “risparmio” (Cassandro 1970) (21). Tale “risparmio” è giustificabile solo nel breve termine,

(17) F. Besta, La Ragioneria, vol. I, II ed., Vallardi, Milano, 1909, 369. In effetti l’autore utilizza questa dizione per indicare gli impe- gni che si assumono le compagnie assicurative le quali, a fronte di pagamenti odierni si “impegnano” ad effettuare prestazioni future ine- renti la corresponsione, ad esempio di vitalizi e rendite.

(18) P. Onida, La logica ed il sistema delle rilevazioni quantitative d’azienda, II ed. accresciuta, Giuffrè, Milano, 1970, 143 s.

(19) The accounting equation (assets-liabilities=residual equity) benefits the nature of business firms. […] The residual equity or net assets of a government cannot be easily explained or interpreted. In addition, some government assets are difficult to measure with ac- counting technique developed for a market economy. Some potential government liabilities are difficult to define because of political and legal considerations. J.L. Chan, International public sector accounting standards: conceptual and insitutional issues, in M. D’Amore, The harmonization of government accounting and the Role of Ipsas, McGraw-Hill, Milano, 2008.

(20) “Attraverso la politica del risparmio il criterio informatore del pareggio economico dei risultati di esercizio viene a tramutarsi in una politica di normalizzazione dei risultati di esercizio, che intende, mediante un accantonamento di ricavi di contributi, per fare fronte a maggiori costi di futuri esercizi, a fare sì che nei vari esercizi l’amministrazione non conduca al disavanzo economico, ma a quel pareggio o a quell’avanzo economico che esprima un normale soddisfacimento di bisogni.

La politica della normalizzazione dei risultati economici dei vari esercizi dovrebbe perciò possibilmente consentire il soddisfacimento di ogni nuovo ed eccezionale ordine di bisogni che l’amministrazione aziendale dovesse affrontare: prevedere quelle temporanee impellenti cir- costanze non economiche che condurrebbero a squilibri se non fossero fronteggiabili, e dovrebbe anche provvedere a quella mutevolezza di forze economiche dell’azienda e dell’ambiente che potrebbe condurre a risultati troppo vari nel tempo”. A. Amaduzzi, op. cit., 1936, 123.

(21) “L’avanzo economico è in sostanza un risparmio, che varrà a incrementare il patrimonio dell’azienda, e a migliorare la sua con- dizione economica futura. Va, tuttavia, ricordato che l’avanzo economico non deve considerarsi una meta della gestione erogativa, che è in equilibrio, se i componenti negativi sono pari ai componenti positivi, se cioè si manifesta una situazione di pareggio economico”. P.E.

Cassandro, op. cit., 1970, 39.

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se non lede quantitativamente o qualitativamente l’efficacia e l’efficienza del processo erogativo (Mussari 2006) (22), se verrà utilizzato per coprire disavanzi economici di breve periodo o per alimentare i processi ero- gativi futuri. Sarà, invece un risparmio “dannoso” se dovuto ad una distrazione di risorse dalle finalità erogati- ve e sociali proprie dell’ente, oppure da una contribuzione eccessiva degli enti governativi o dei cittadini rispet- to ai servizi resi alla collettività.

Per contro, il perdurare di una situazione di disavanzo economico indicherebbe un grave squilibrio della ge- stione erogativa lesivo del patrimonio e, rebus sic stantibus, della attitudine a perseguire le finalità istituziona- li (Airoldi, Brunetti e Coda 1994) (23), ossia della capacità di soddisfare in futuro i bisogni collettivi per il sod- disfacimento dei quali la singola amministrazione pubblica è sorta ed è gestita (Cassandro 1970) (24).

In questo caso le variabili gestionali sulle quali agire dovranno essere, in particolare, quelle “interne”, os- sia quelle modificabili con decisioni ed azioni non dipendenti da volontà terze. Ci si riferisce a:

- una radicale analisi dell’efficienza, dei rendimenti e dei costi;

- una identificazione degli specifici bisogni da soddisfare, alcuni dei quali potrebbero non essere più meri- tevoli di tutela “pubblica” e, quindi, gestibili in regime d’impresa;

- un esame dell’efficacia dell’erogazione, in alcuni casi il soddisfacimento dei bisogni potrebbe addirittura eccedere i livelli minimi socialmente necessari;

- una accurata analisi dei proventi e dei ricavi, mediante, ad esempio, un innalzamento del prezzo politico di taluni servizi;

- un incremento della quantità erogata, solitamente vincolante solo nei suoi valori minimi, dietro l’otteni- mento di un “prezzo” che sia almeno maggiore del costo variabile unitario, senza che ciò aumenti i costi fissi.

Invero, potrebbe anche accadere che le risorse a disposizione siano insufficienti al perseguimento delle fi- nalità istituzionali e, pertanto, l’amministrazione pubblica dovrebbe ottenere un incremento dei contributi da parte dello Stato e degli enti governativi o, se dotata di autonomia impositiva, dovrebbe aumentare i preleva- menti coattivi dalla cittadinanza, ossia elevare la pressione fiscale sulla collettività.

Tuttavia, l’ottenimento di ulteriori proventi di questo tipo dovrebbe essere subordinato ad un giudizio, sociale, politico e macroeconomico espresso dallo Stato o dall’ente governativo sul quale grava l’onere di tale aumento.

In sintesi, il conto economico scalare deve essere letto “al contrario” nel senso che, una volta garantito il ri- sultato economico d’esercizio in pareggio, i risultati intermedi, ad esempio l’Ebitd (Ernings before interest tax and depreciation) devono essere i più bassi possibile, e non i più alti possibile, come nelle imprese.

Quanto più basso è l’Ebitd, tanto più i proventi sono stati destinati alla copertura dei costi e degli oneri isti- tuzionali piuttosto che a fronteggiare le gestioni non caratteristiche e straordinarie.

Ancora una volta la logica economica delle amministrazioni pubbliche, come di tutte le aziende non profit, è “invertita” rispetto a quella delle imprese profit oriented (Marcon 2011) (25).

(22) Il Mussari, in merito all’avanzo economico delle aziende pubbliche (Ap), osserva che «la sommatoria dei proventi-ricavi, consi- derato il peso rilevante che i tributi hanno fra quei componenti economici positivi, non è assimilabile al totale dei ricavi conseguiti con la vendita dei fabbricati o dei servizi prodotti esposti nel conto economico di una azienda che scambia, sul mercato, contro moneta il suo output produttivo. I proventi derivanti dall’imposizione fiscale non sono conseguiti per mezzo di operazioni di scambio propriamente det- te, onde non si tratta di “ricchezza prodotta dall’azienda” nel senso di “valore che ai consumi, assemblati in modo da ottenere il prodotto od apprezzare il servizio, viene attribuito da mercato”, ma, in misura consistente, di ricchezza prelevata e trasferita. Inoltre manca, in que- sto caso, una chiara ed evidente relazione causale fra costi e proventi onde il risultato che scaturisce dalla contrapposizione di quei valori deve essere letto in modo opportuno.

Da quanto scritto deriva che, se dal confronto fra i proventi-ricavi e i costi di competenza economica previsti scaturisce un risultato di segno positivo, non si può affatto concludere che la condizione di economicità aziendale complessiva sia stata soddisfatta in quanto essa può dirsi conseguita solo nell’ipotesi in cui la gestione risulti essere, al contempo, efficace ed efficiente». Aa.Vv. Economia delle aziende pubbliche, McGraw-Hill, Milano, 2006, 157.

(23) Inoltre, è stato osservato che: “L’azienda composta pubblica si svolge secondo economicità quando: […] si realizza un risultato sin- tetico di risparmio o un disavanzo contenuto in misura tale che non sia compromessa, nel lungo periodo, la stabiltà del sistema economico na- zionale o dello stesso sistema politico e sociale”. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, Economia aziendale, Il Mulino, Bologna, 1994, 125.

(24) “Lo squilibrio del processo erogativo è da intendersi, pertanto, come insufficienza dei proventi ordinari competenti a un anno am- ministrativo, a coprire le spese richieste dal soddisfacimento del programma annuale dei bisogni.

Lo squilibrio annuale è naturalmente destinato a ripetersi, data la ricorrenza ciclica annuale dei proventi ordinari e delle spese ordina- rie, sempre che non si riesca a modificare il programma dei bisogni o il gettito dei redditi, come abbiamo accennato. Ecco perché lo squi- librio annuo può assumersi come indice di disfunzione permanente del processo erogativo”. P.E. Cassandro, op. cit., 1970, 26.

(25) “È il caso degli enti locali e delle aziende sanitarie pubbliche, dove la maggior parte dei componenti positivi di conto economico

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5. L’introduzione della contabilità economica nelle amministrazioni pubbliche italiane

In Italia il sistema contabile di ogni amministrazione pubblica è caratterizzato dall’ordinamento applicabi- le all’area a cui essa appartiene e dal vincolo autorizzativo giuridicamente sancito con i documenti di previsio- ne. Tale condizionamento incide fortemente anche sui principi generali e sugli schemi imposti per la redazione dei documenti contabili.

A seguito delle riforme contabili intervenute dal 1992 al 2003, il recepimento della contabilità economica in Italia si è caratterizzato per la ambiguità delle normative (Grandis 2006) (26) e per la disomogeneità nella applicazione, riscontrabile anche fra amministrazioni pubbliche della stessa tipologia.

Limitatamente ai documenti contabili obbligatori, il grado di recepimento della contabilità economica è così sintetizzabile:

a) la contabilità di Stato prevede la redazione del “conto del patrimonio”; dal 1997 è stata introdotta una contabilità dei costi che, tuttavia, non conduce a risultati generali e di sintesi (27); i principi generali di questa disciplina sono stati estesi alle regioni a partire dal 2000 (28);

b) la normativa applicabile agli enti locali (province e comuni) dal 1995, impone degli schemi obbligatori del “conto del patrimonio” e del “conto economico”, ma lascia alla loro autonomia la definizione delle moda- lità con le quali introdurre la contabilità economica (29); nella analisi dei casi, si riscontrano notevoli differen- ze nei sistemi contabili adottati dagli oltre 8000 enti locali, ciò nonostante fosse stato istituito uno specifico or- ganismo deputato alla redazione di principi contabili uniformi (30);

c) la disciplina contabile delle aziende del Servizio sanitario nazionale, dal 1992, prevede l’adozione delle nor- me del codice civile sancite per le società per azioni, ma lascia alle regioni la potestà normativa di disciplinare nel dettaglio (31); con la conseguenza che sono riscontrabili 21 normative differenti (19 regioni e 2 province autono- me) che disciplinano circa 250 aziende sanitarie pubbliche sparse sul territorio nazionale;

d) l’ordinamento degli enti istituzionali nazionali (enti di previdenza, enti di ricerca, authority, parchi nazio- nali, ecc.) dal 2003 presenta una disciplina sostanzialmente analoga a quella degli enti locali; invero questa nor- mativa precisa anche i principi contabili generali, fra i quali anche il principio della competenza economica (32).

A seguito delle analisi condotte si può affermare che le amministrazioni di cui ai punti b) e d) adottano un principio della competenza economica compatibile con quello “teorico” definito nel precedente par. 3. Tale af- fermazione trova riscontro:

- per le amministrazioni di cui al punto b), nell’ultima versione dei principi contabili emanati dall’Osserva- torio per la finanza e la contabilità degli enti locali (33);

- per le amministrazioni di cui al punto d), sia nel testo della norma stessa sia nei documenti tecnici prope- deutici alla sua pubblicazione (34).

Inoltre, analizzando le poste del passivo dello stato patrimoniale degli enti istituzionali (35), degli enti lo- cali (36) e delle aziende del Servizio sanitario nazionale (37) si nota come i contributi “pluriennali” erogati da

proviene da trasferimenti attivi (e dunque è rappresentata da proventi e non da ricavi). In questo contesto, il valore aggiunto potrebbe ave- re un significato segnaletico fuorviante. Invero, un valore aggiunto elevato potrebbe significare non già capacità di produrre ed erogare ser- vizi con efficacia ed efficienza, ma semplicemente – e, a ben vedere, all’opposto – capacità di negoziare finanziamenti esterni a titolo gra- tuito”. G. Marcon, L’evoluzione delle teorie sui processi decisionali delle amministrazioni pubbliche, premessa per l’interpretazione del- la riforma della contabilità, in Azienda Pubblica, n. 3, 2011.

(26) F.G. Grandis, op. cit., 2006.

(27) L. n. 94/1997 e d.lgs. n. 279/1997, art. 10.

(28) L. n. 208/1999 e successivo d.lgs. n. 76/2000.

(29) D.lgs. n. 77/1995 poi recepito dal d.lgs. n. 267/2000. In merito alla contabilità economica vedasi l’art. 232 d.lgs. n. 267/2000.

(30) Tale organismo, denominato “Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali”, era previsto dall’art. 154 d.lgs. n. 267/2000.

(31) D.lgs. n. 502/1992, art. 5. Le regioni si sono adeguate a tale norma nazionale con notevole ritardo e, ancora oggi, vi sono degli enti del servizio sanitario che hanno introdotto la contabilità economica solo formalmente.

(32) D.p.r. n. 97/2003, all. 1.

(33) Ministero dell’interno, Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, Principio contabile n. 3. Il rendiconto degli Enti locali, testo approvato il 18 novembre 2008, par. 111 e 134.

(34) Cfr. Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Principi contabili per il bilan- cio di previsione e per il rendiconto generale degli enti pubblici istituzionali, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 2001, 16-17.

(35) V. l’all. 13 del d.p.r. n. 97/2003.

(36) V. il mod. 20 del d.p.r. n. 194/1996.

(37) V. d.m. 13 novembre 2007.

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enti governativi trovino collocazione in una specifica posta del passivo. Ciò comporta che, per il loro utilizzo, è necessaria la procedura contabile della “sterilizzazione”; il che presuppone la logica della “correlazione del provento al costo” e non della “correlazione del costo al ricavo”.

Recentemente, nell’ambito del processo di armonizzazione contabile previsto dalla Costituzione della Re- pubblica italiana (38) dopo la modifica del 2001, la contabilità economica è stata imposta a tutte le pubbliche amministrazioni in affiancamento (39), e non in sostituzione, alla tradizionale contabilità pubblica. La contabi- lità economica avrà una valenza esclusivamente conoscitiva, ossia di supporto ai processi gestionali, senza al- cuna valenza giuridica o autorizzativa.

A seguito di tale prescrizione normativa sono stati enunciati comuni principi contabili generali (40). Fra questi è rinvenibile un “principio della competenza economica” compatibile con quanto emerso dall’analisi te- orica di cui al precedente par. 3.

È in questo contesto che gli Ipsas potrebbero rivelarsi particolarmente utili se non fossero il frutto di un me- ro ed acritico recepimento degli Ias, ma cogliessero le specificità delle pubbliche amministrazioni in generale ed, in particolare, di quelle per le quali persiste la funzione autorizzativa dei documenti contabili di previsione.

6. Il principio della competenza economica negli Ipsas

In considerazione del forte attaccamento mantenuto dall’Ipsasb al framework Ias pare evidente come il principio della competenza economica (41) sia divenuto standard di riferimento anche per le amministrazioni pubbliche che optano per gli Ipsas.

Il par. 22 del framework Ias, rubricato accrual basis, indica tale principio come criterio da adottare nella reda- zione dei bilanci specificando che, in questo modo, le operazioni di gestione vengono rilevate nel momento in cui si manifestano e indipendentemente da quando avviene il pagamento o la riscossione. Conseguentemente, le ope- razioni così registrate confluiranno nei bilanci dei periodi a cui si riferiscono.

Confrontando questa definizione con quella dettata dalla normativa civilistica italiana (42) che prevede l’inserimento in bilancio “[…] dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dal- la data dell’incasso o del pagamento”, paiono non esistere sostanziali differenze. Anche in questo caso è intui- bile l’idea di fondo di creare correlazione tra costi e ricavi in forza della quale si stabilisce che l’effetto econo- mico di tutti gli eventi di gestione deve essere attribuito all’esercizio cui compete e non a quello in cui si ma- nifestano i correlativi incassi o pagamenti.

In base a quanto sopra detto e di quanto già ampiamente enunciato al par. 3 – in merito all’impossibilità di applicare tout court il principio della competenza economica – pare evidente la necessità di adattare tale stan- dard alle peculiarità delle amministrazioni pubbliche.

Il principio di cassa è sempre stato considerato dall’Ipsas, anche se era inteso come un sistema transitorio attraverso il quale arrivare ad un sistema full accrual (43). Soltanto a partire dall’anno 2006 (Bergmann 2009) (44) l’Ipsasb – conscio della difficoltà di utilizzare tutti gli standard “privati” anche nelle amministrazio- ni pubbliche – ha intrapreso un percorso di elaborazione di un framework specifico per gli Ipsas nel quale si sa- rebbe potuto anche ridefinire il principio di competenza economica (45). L’ultimo dei quattro documenti ema- nati risale a gennaio 2012 quando è stato pubblicato sul sito dell’Ifac un Exposure drafts (46) and consultation

(38) Art. 117, c. 3, della Costituzione della Repubblica italiana.

(39) Art. 2, c. 2, punto d) l. n. 196/2009.

(40) V. all. 1 d.lgs. n. 91/2011. Analoghe disposizioni sono contenute nell’all. 1 d.lgs. n. 118/2011.

(41) Il par. 22 del framework Ias è intitolato accrual basis.

(42) Si veda art. 2423-bis, c.c., punto 3.

(43) S. Pozzoli, The international public sector accounting standards between “convergence” and conceptual framework, in M.

D’Amore, The harmonization of government accounting and the role of Ipsas, McGraw-Hill, Milano, 2008.

(44) A. Bergmann, Public sector financial management, Pearson Education, Harlow, 2009, 95.

(45) Le attese degli operatori trovavano la ragion d’essere nelle frequenti disapplicazioni di taluni principi Ipsas – specie quello rela- tivo alla competenza economica – qualora questi non fossero applicabili alle amministrazioni pubbliche. Il percorso di elaborazione del framework Ipsas è stato suddiviso in quattro fasi, dove, per ognuna, è stato pubblicato un exposure draft: 1. Users, objectives, scope, qual- itative characteristics, reporting entity; 2. Elements and recognition in financial statements; 3. Measurement of assets and liabilities in fi- nancial statements; 4. Presentation and disclosure.

(46) Exposure draft è una bozza del documento al quale è possibile apportare commenti e rilievi da parte di tutti i potenziali interessati.

Per ciò che riguarda il Conceptual framework for general purpose financial reporting by public sector entities (Gpfrs), il documento emana- to a gennaio 2012 è relativo alla fase 4 cioè alla pubblicazione dei bilanci e all’identificazione delle informazioni da far conoscere.

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papers del Conceptual framework for general purpose financial reporting by public sector entities: presenta- tion in general purpose financial reports.

Dall’analisi dei documenti in bozza inerenti il framework Ipsas, si rileva il mantenimento di una posizione radicata nell’utilizzare l’accrual basis come principio di redazione dei bilanci pubblici. Infatti, vengono espo- sti i principali vantaggi (47) derivanti dall’applicazione di tale standard alle rilevazioni dei fatti di gestio- ne (48). Sembra quindi che le rilevazioni fondate sul principio di cassa abbiano minore importanza rispetto al- la capacità informativa ottenibile dai documenti redatti con il principio accrual (49).

Non si ravvisa, pertanto, negli standard Ipsas, l’esigenza di affiancare al principio di competenza economi- ca un sistema cash mentre, in Italia, da sempre, diversi (Zappa-Mercantonio 1945; Amaduzzi 1995; Capaldo 1973; Borgonovi 2005; Farneti-Pozzoli 2005) (50) sono coloro che ravvisano l’esigenza di una contabilità in- tegrata. Affiancare, dunque, il tradizionale sistema di contabilità finanziaria che, per sua natura, presidia effi- cacemente la dimensione finanziaria della gestione, con un sistema di contabilità economico-patrimoniale, in grado di controllare anche le altre dimensioni (51) potrebbe soddisfare le esigenze informative di un maggior numero di categorie di stakeholder, con particolare riguardo alle amministrazioni centrali degli Stati che han- no sottoscritto accordi internazionali di stabilità finanziaria.

Come più volte ribadito, il principio di competenza economica correla i costi ai ricavi per i quali sono stati sostenuti. Ma i ricavi sono di competenza economica dell’esercizio in cui avviene lo scambio, pertanto come si può applicare questo principio a entità dove gran parte dei proventi deriva da non-exchange transactions? Si può applicare questo principio quando la maggior parte degli oneri non è correlabile ai proventi (52)?

Fino al 2006 nessun Ipsas emanato prendeva in considerazione la possibilità che i proventi potessero deri- vare da transazioni non reciproche (53). La transazione non reciproca implica che il provento non sia correla- to ad uno scambio, ma ad una imposta, ad una tassa o ad un trasferimento.

In Italia il sistema di finanziamento della gestione delle pubbliche amministrazioni deriva principalmente da tributi, da trasferimenti da altri enti o da prezzi per i servizi o prodotti erogati. Questi ultimi rientrano nella disciplina dell’Ipsas 9, mentre gli altri sono sottoposti alla disciplina dell’Ipsas 23.

I tributi sono correlati all’attività istituzionale dell’ente e allo svolgimento di funzioni che soddisfano biso- gni generali ed indivisibili. Il tributo, sotto il profilo giuridico, può essere definito come un prelievo coattivo di

(47) Tale affermazione è rinvenibile nel testo pubblicato sul sito dell’Ifac in data 31 gennaio 2012 dove si dice che: Financial state- ments prepared under the accrual basis of accounting inform users of those statements of past transactions involving the payment and re- ceipt of cash during the reporting period, obligations to pay cash or sacrifice other resources of the entity in the future and the resources of the entity at the reporting date. Therefore, they provide information about past transactions and other events that is more useful to us- ers for accountability purposes and as input for decision making than is information provided by the cash basis or other bases of account- ing and financial reporting.

(48) Ad ogni modo, un richiamo palese nel framework Ipsas alla contabilità non esclusivamente accrual sarebbe necessario ma non sufficiente; si renderebbe necessaria, infatti, l’elaborazione di standard specifici.

(49) Si enfatizza la necessità di arrivare ad adottare un sistema accrual. A p. 3 del documento si legge, infatti: “Under the accrual ba- sis of accounting, transactions and other events are recognized in financial statements when they occur (and not only when cash or its equivalent is received or paid). Therefore, the transactions and events are recorded in the accounting records and recognized in the finan- cial statements of the periods to which they relate”.

(50) G. Zappa e A. Marcantonio, Ragioneria applicata alle aziende pubbliche. Principi contabili, Giuffrè, Milano, 1954; A. Amaduz- zi, Aziende di erogazione. Primi problemi di organizzazione, gestione e rilevazione, in Studi di economia aziendale, Edizioni Kappa, Ro- ma, 1995; P. Capaldo, Il bilancio dello Stato nel sistema di programmazione economica, Giuffrè, Milano, 1973; E. Borgonovi, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea, Milano, 2005; G. Farneti e S. Pozzoli (a cura di), Principi e sistemi contabili ne- gli enti locali. Il panorama internazionale, le prospettive in Italia, Franco Angeli, Milano, 2005.

(51) In tal senso si sono espressi – in occasione del seminario sulle Sfide della contabilità basata sul principio della competenza nel settore pubblico, tenutosi l’undici gennaio 2011 nella sala Mappamondo di Montecitorio – anche i presidenti del Cndcec (Consiglio nazio- nale dei dottori commercialisti ed esperti contabili) e Fee (Fédération des experts comptables européens). In detto contesto Giosuè Boldri- ni, consigliere nazionale con delega al settore pubblico, ha affermato che il “Cndcec ha esercitato una pressione forte affinché, anche per le pubbliche amministrazioni, al sistema di contabilità di tipo finanziario ne venisse affiancato uno di tipo economico-patrimoniale”. Il pre- sidente della Fee Philip Johnson, invece, ha rimarcato l’esigenza di stabilire dei “principi di rendicontazione internazionalmente accettati, proprio come nel passato è stato fatto per il settore privato”. “Solo così – ha aggiunto il presidente della Fee – si può tentare di superare una crisi che non riguarda solo paesi come la Grecia e l’Irlanda, ma che interessa tutta l’Europa”.

(52) J.L. Chan, op. cit., 2008.

(53) La mancanza di un Ipsas che contemplasse le transazioni non reciproche è dovuta alla derivazione dei principi contabili interna- zionali per il settore pubblico da quelli privati, e poiché nelle imprese difficilmente si ottengono questi tipi di proventi, non esistono Ias specifici.

(13)

ricchezza, mentre, sotto il profilo economico, è un corrispettivo indiretto per lo svolgimento delle funzioni e l’erogazione dei servizi indistinti per la collettività (54). I tributi, in linea generale, possono essere raccolti di- rettamente dal singolo ente pubblico o possono essere acquisiti indirettamente tramite il trasferimento da altri enti. Possono essere suddivisi, secondo le modalità del prelievo, in imposte e tasse. Le imposte sono correlate al reddito, al patrimonio e, comunque, non correlate all’attività dell’azienda pubblica. Le tasse, invece, sono collegate a talune operazioni svolte dall’amministrazione a favore del cittadino, ma non è assolutamente detto che il beneficiario sia esattamente colui che ha pagato la tassa.

I trasferimenti sono fonti di finanziamento indiretto poiché derivano dalle relazioni di sistema pubblico che si instaurano tra i vari livelli di governo ed in funzione del modello di governance pubblica. Pertanto, non esi- ste una specifica correlazione in quanto la loro entità dipende dalla normativa e dall’organizzazione diversa da paese a paese.

Le maggiori criticità riscontrate nell’applicazione dell’Ipsas 23 sono attribuibili all’utilizzo della “compe- tenza economica”, tradizionalmente intesa, quando ci si trova a dover imputare ad un esercizio piuttosto che ad un altro delle risorse ottenute tramite operazioni non reciproche.

Dall’analisi di casi concreti riscontrati in alcuni stati europei dove sono stati applicati gli Ipsas, si nota che il principio di competenza economica è stato derogato proprio per le operazioni non reciproche. La deroga si è concretizzata nell’applicazione del principio cash accounting per allocare tutti i proventi derivanti da operazio- ni non reciproche.

Viceversa, qualora fosse stato applicato il principio della competenza economica specifico per le entità pub- bliche, così come descritto nel par. 3, si sarebbero potuti imputare proventi derivanti da operazioni non recipro- che non in ragione della cash accounting ma in base alla competenza economica degli oneri per i quali, tali pro- venti, sono stati coattivamente imposti.

7. Conclusioni

In Italia il processo di armonizzazione contabile delle pubbliche amministrazioni avrebbe dovuto comincia- re nel 2001 a seguito della modifica dell’art. 117 Cost. Ma è solo al termine del 2009 che viene promulgata dal Parlamento la legge che avvia tale processo, ad oggi in corso.

Il vero stimolo a tale innovazione è rappresentato dalla necessità del governo italiano di fornire all’Eurostat i dati necessari per la verifica del rispetto dei “parametri di stabilità” definiti dal Consiglio europeo.

L’Eurostat e, per l’Italia l’Istat, elaborano i dati nel rispetto del regolamento Ce n. 2223/1996, più noto co- me “Sec 95” che rappresenta una serie di regole statistiche e non contabili. I dati contabili presi in considera- zione dal Sec 95 riguardano i flussi di cassa e non i flussi determinati con il principio della competenza econo- mica.

Ne consegue che la tendenza macroeconomica riscontrabile a livello europeo è di dare sempre più enfasi ai flussi di cassa. La contabilità economica avrà rilievo solo se saprà fornire effettivamente un “valore aggiunto”

in termini di contenuti informativi a chi effettivamente governa le singole amministrazioni pubbliche, ossia a livello microeconomico e gestionale.

Perché ciò accada è necessario che il principio della competenza economica sancito dagli Ipsas non sia rece- pito acriticamente dagli Ias ma colga tutte le particolarità e specificità delle amministrazioni pubbliche.

Probabilmente una nuova interpretazione del principio di competenza economica specifico per le ammini- strazioni pubbliche sarebbe opportuna non solo per ridare slancio alla modernizzazione dei sistemi contabili pubblici ma anche per evitare che, una volta sostituito il sistema contabile pubblico vigente con il sistema in- centrato sulla competenza economica, ci si trovi a dover rimpiangere il primo.

* * *

(54) Borgonovi E., Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea, Milano, 2002, 130.

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