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da Casa Madre Istituto Missioni Consolata Anno 98 - N. 04 / Aprile Perstiterunt in Amore Fraternitatis

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Perstiterunt in Amore Fraternitatis

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Anno 98 - N. 04 / Aprile - 2017

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Il vangelo di Pasqua

è l'annuncio del trionfo della vita sulla morte,

della verità sulla menzogna,

della giustizia sull’ingiustizia e sulla violenza.

E’ il big bang di un mondo nuovo:

la vita del Risorto si diffonde nel cuore di ogni uomo!

(Walter Kasper)

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FRAMMENTI DI LUCE

P. Giuseppe Ronco, IMC

"UN’ACQUA VIVA MORMORA DENTRO DI ME"

«Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un dominio, la missione una propaganda, il culto un’evocazione e la Chiesa cristiana una morale da schiavi. Ma nello Spirito il cosmo è sollevato e geme nel parto del Regno, il Cristo risorto è presente, il Vangelo una potenza divina, la Chiesa è segno di comunione trinitaria, l’autorità è servizio liberatore, la missione è una Pentecoste, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano è deificato».

Sua Beatitudine Ignazio IV Hazim, patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, pronunciò queste parole memorabili a Uppsala durante la IV Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, quando era ancora metropolita di Lattaqiya.

Sono parole mistiche che riassumono tutta l’azione dello Spirito Santo lungo la storia dell’umanità, ed esprimono la testimonianza riconoscente di un cristiano, quando sperimenta la potenza dello Spirito nella sua vita.

Molti secoli prima, verso l’anno 100, condannato

ad bestias dall’Imperatore Traiano, mentre era in

cammino verso il martirio, Ignazio di Antiochia scrisse da Troade ai cristiani di Roma: “un’acqua

viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre»”. Sentiva lo Spirito del Cristo risorto presente e gorgogliante nel suo cuore, con l’invito alla testimonianza suprema.

Percepiva la verità delle parole di Paolo “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rom 5,5). Era cosciente di essere una dimora in cui abitava lo Spirito, dono dato, elargito, versato dal Padre, effuso da Cristo sulla Croce e trasmessoci nel battesimo.

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MIRABILIA SPIRITUS DEI

Le opere mirabili che lo Spirito ha operato e opera ancora nel cosmo e nella storia sono state scritte nell’Antico Testamento, raccontate da Gesù nei Vangeli e testimoniate dagli Apostoli nel Nuovo Testamento.

Qui ci basta ricordarne qualcuna, con il preciso scopo di rendere lode al Padre e chiedere per mezzo del Figlio la continua effusione dello Spirito su di noi.

La nostra vita cristiana inizia con il battesimo, sacramento in cui lo Spirito ci rende figli adottivi e creature nuove. Lo Spirito santo è “sperma di vita” (Ireneo di Lione) che entrando nell’uomo, crescendo e sviluppandosi crea una nuova vita, quella filiale. Nasce un uomo nuovo, capace di chiamare Dio con il nome di “Abba, Padre” e riconoscere Gesù come un fratello. “Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: “Abbà”, Padre!” (Rom 8,15). “Diventiamo una cosa sola con Cristo. Egli si è comunicato interamente a noi. Tutto ciò che egli è , è diventato completamente nostro. Sotto ogni aspetto noi siamo lui” (Gregorio Nazianzeno, Disc. 7 per il fratello Cesare) .

Inabitando poi i nostri cuori (cfr Rom 8,9) fa di noi “le membra di Cristo”, la dimora in cui abita, il suo tempio vivo (cfr. 1 Cor 6). Siamo pneumatofori, “Portatori dello Spirito Santo” (Rm 8,9-11; 1 Cor 3,16)

Lo Spirito Santo è il Maestro interiore della preghiera. Il primo frutto dell’inabitazione dello Spirito nel cuore del cristiano è infatti la preghiera. E’ lui che ci porta, a poco a poco, a dire Amen al Padre e a fare della nostra vita un culto a Dio gradito.

Così il cristiano cerca nello Spirito la sua pienezza tessendo una liturgia interiore in cui la vita diventa offerta gradita a Dio, e canta salmi, inni e cantici spirituali ispirati dallo Spirito stesso (cf. Ef 5,18-20; Col 3,16-17). Questo è il vero culto cristiano in Spirito e verità (Gv 4,24) annunciato da Gesù come autentica via d’accesso a Dio nei tempi escatologici, liturgia al Padre nello Spirito

santo celebrata attraverso il Figlio (Ef 2,18). Pregare nello Spirito santo come raccomanda l’apostolo Giuda (Gd 1,20), pregare senza interruzione come raccomanda Paolo (Ef 6,18 e 1Ts 5,17), significa allora essere costantemente in epiclesi, in invocazione dello Spirito e simultaneamente capaci, nello Spirito, di dire Amen a Dio.

Così testimonia Isacco il Siro: “Quando lo Spirito stabilisce la sua dimora nell’uomo, questi non può più smettere di pregare, perché lo Spirito non cessa di pregare in lui: dorma o vegli, la preghiera non cessa in lui; mangi o beva, dorma o lavori, il profumo della preghiera esala spontaneamente dal suo cuore: ormai questo cristiano non fa più preghiera in ore determinate, ma prega in ogni momento”. (Isacco di Ninive,

Prima collezione 35)

Agente trasformatore della nostra esistenza terrena, lo Spirito che fu “compagno inseparabile di Gesù” (Basilio di Cesarea), diventa il maestro dei discepoli. “Vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14,26). “Mi renderà testimonianza” (Gv 15,26) e “vi

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pianto (cf. Is 66,12-133)” (Enzo Bianchi).

E infine non può essere dimenticato il frutto decisivo: il martirio. Il martire è l’opera per eccellenza dello Spirito santo, una vera epifania della sua vita e della sua potenza nel testimoniare la realtà della resurrezione di Gesù.

Ci divinizza, facendo vivere Cristo in noi. “C’è in noi il seme di Dio. Ora, il seme di un pero diventerà un pero, il seme di un nocciolo diventerà un nocciolo, e il seme di Dio diventerà Dio” (Meister Eckhart).

“La potenza di Dio ci ha fatto dono di ogni bene mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua gloria e la sua potenza ci ha donato beni grandissimi e preziosi perché diventaste partecipi della natura divina” (2Pt 1,3-4).

guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16,13). Ci aiuterà a far trasparire in noi la divino-umanità di Cristo. Sarà inoltre Paraclito, consolatore e avvocato difensore. Si ergerà, cioè, in difesa della comunità dei credenti nel processo che il mondo aprirà contro di loro.

Sostituisce Gesù nel tempo della sua assenza. E porta con sé il dono pasquale del perdono: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi perdonerete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22).

Lo Spirito Santo ci santifica e ci trasforma in uomini nuovi (Ef 4,23-24). E’ il principio dinamico che anima l’agire morale, stimolando il fedele a seguire “la legge dello Spirito”, a vivere “nello Spirito”, a comportarsi “secondo lo Spirito”, e spingendoci a produrre «il frutto dello Spirito che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Galati 5,22).

Il nostro destino è pasquale e ci fa approdare alla meta ultima, quella di rendere il nostro corpo spirituale (cfr 1 Cor 15,44.46). Lo Spirito è primizia (aparchè) e caparra (arrabòn) della nostra vita futura. La stessa dinamica pasquale dello Spirito santo che ha risuscitato Gesù, risusciterà anche noi.

E’ “vita per la Chiesa”, la fa rivivere. Dice Agostino: “ciò che è l’anima nel corpo dell’uomo, lo stesso è lo Spirito per il Corpo di Cristo che è la Chiesa”. Egli “è Signore e da’ la vita”. La sua presenza unisce e trasforma la confusione in comunione.

Lo Spirito è infatti la fonte dei carismi (cfr 1 Cor 12,4-7.11) e della profezia, effusi per la crescita del corpo che è la Chiesa. Egli è “la forza della Chiesa”, “fa’ la Chiesa”, “santifica la Chiesa”, guidandola nella storia. E’ “il protagonista di tutta la missione della Chiesa”.

E’ “uno Spirito materno, che gestisce la conversione (gestazione, gravidanza), partorisce la nuova vita battesimale (nascita), fa crescere in grazia e santità (allattamento) e, come una madre, consola sulle sue ginocchia chi è nel

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S. Atanasio ne era certo: «Per mezzo dello Spirito santo noi tutti diventiamo partecipi di Dio, partecipiamo alla natura divina attraverso la partecipazione allo Spirito santo, perché lo Spirito divinizza quelli in cui è presente» (Lettera

a Serapione 1,24).

Il cristiano fatto figlio di Dio e dimora dello Spirito santo appare ricolmo di Spirito santo (pléres pneùmatos: Lc 4,1) e mosso, spinto da lui (Mc 1,12). Lo stesso suo nome, «cristiano» (At 12,26), derivato da Cristo, fa di lui un unto, un messianico, un «seguace della via» (At 9,2; 19,9.23; 24,14.22) perché «cammina secondo lo Spirito» (GaI 5,25).

CAMMINATE SECONDO LO SPIRITO

(Gal 5,16)

Mi piace considerare questo invito di Paolo come un invito a seguire con coraggio il cammino della sequela di Cristo. Trasfigurata con il battesimo, la nostra vita non deve degenerare in vita senza senso, seguendo l’egoismo della carne, ma deve configurarsi in una vita cristiforme, vissuta secondo lo Spirito.

“La Chiesa professa la sua fede nello Spirito Santo come in colui che è Signore e dà la

vita. Sotto l’influsso dello Spirito Santo matura e

si rafforza quest’uomo interiore, cioè spirituale” (Dominum et vivificantem 1).

Percorrere le vie dello Spirito è anzitutto essere discepoli fedeli al messaggio evangelico di Gesù.

Esige la volontà di stare con lui, l’assunzione del suo modo di pensare, di agire, di essere con la gente per annunciare il Regno di Dio. Il compito dello Spirito sarà quello di ricordare e far comprendere nel giusto modo le sue parole di verità.

“O Spirito Santo, fonte di pace e di luce, che cosa devo fare e in qual modo trovare Gesù? Ho fame: vieni a nutrirmi. Ho sete: vieni a dissetarmi. Sono cieca: vieni ad illuminarmi. Sono povera: vieni ad arricchirmi. Sono ignorante: vieni ad istruirmi! Vieni, mia consolazione; vieni, mia gioia, mia voce, mia forza, mia luce! Spirito Santo, mi abbandono a te!”(Beata Maria di Gesù Crocifisso, La piccola araba Miriam Baouardy). Significa anche vivere nell’obbedienza a Dio e nell’amore verso il prossimo, contrapponendosi al modo di pensare e di vivere del mondo, che coinvolge tutti gli ambiti dell’esistenza umana, tutte le dimensioni della persona e della vita sociale. Mentre l’uomo carnale è chiuso in sé stesso, incapace di fare scelte controcorrente, l’uomo spirituale guarda e segue l’esempio di Cristo, pur sapendosi debole e dominato dal male.

Lo Spirito, che testimonia in Gesù il primato dell’amore, di una vita donata e la libertà di abbandono al Padre, apre la strada a una vita che dà pienezza e significato. Gesù resta il modello e la via, lo Spirito è Colui che ci dà la forza per seguirlo ovunque egli vada. Solo così il mistero della trasfigurazione prenderà forma in noi.

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Nell’uomo spirituale prevale la coscienza di essere figlio di Dio, libero da ogni forma di schiavitù e assumendo le Beatitudini come stile di vita. Si tratta di diventare veramente ciò che si è, uomini nuovi, su una strada non priva di difficoltà e di insidie.

Ora, non si diventa figli di Dio in maniera automatica, ma per la fede. È la fede il potere dato per diventare figli di Dio: non una fede vaga e anonima, ma la fede di chi “crede nel suo nome”, perché la vera fede consiste nel «credere nel nome del Figlio unigenito di Dio» (Gv 3, 18). “Beati coloro che sono stati ritenuti degni di diventare figli di Dio, di rinascere nello Spirito Santo e di possedere in sé Cristo che li illumina e dona loro una vita nuova. Essi sono guidati in diversi modi dallo Spirito, vengono invisibilmente accompagnati dalla grazia e ricevono grande pace nella loro anima” (Omelie di un Autore spirituale del secolo quarto , Om. 18, 7-11; PG 34, 639-642)

Vivere come figli di Dio comporta però percorrere come Gesù la via della croce, completando nella nostra carne ciò che manca alla sua passione (Gal 2,19 e 6,17; Col 1,24) per la salvezza del mondo, convinti che un giorno condivideremo anche la sua risurrezione. Le sofferenze del tempo presente non sono assolutamente paragonabili alla gloria che Dio ci manifesterà. “Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio”(Ebrei 12,1-2).

Con noi, anche il cosmo vive nelle doglie del parto di un mondo nuovo; ma Dio fa tendere ogni cosa al bene di quelli che lo amano. Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Niente e nessuno potrà impedire a Dio di amarci e a noi di restare uniti a lui. Fu l’esperienza di Madre Teresa di Calcutta, quando chiedendo di lasciare la congregazione delle Suore di Loreto, scrisse alla Madre Generale Gertrude Kennedy il 10 gennaio 1948: “So che nostro Signore non permetterà mai di essere separato da me, né permetterà che nessuno mi separi da Lui”.

Siamo sì figli di Dio fragili e crocifissi, ma un

giorno saremo gloriosi, trasformati dal suo amore.

Invocazione allo Spirito Santo

Vieni, consolazione della mia povera anima. Vieni, mia gioia, mia gloria,

mia delizia senza fine.

Vieni Signore, pianta oggi in me la tua tenda ; costruisci la tua casa e rimani eternamente inseparabilmente in me, tuo servo, perché alla fine anch’io mi ritrovi in te e con te regni, Dio al di sopra di tutto.

Conservami incrollabile nella fede, e vedendoti, io che son morto, vivrò ; e possedendoti,

io il povero, sarò sempre ricco più di tutti i re ; e mangiandoti e bevendoti, vestendomi di te, vada di delizia in delizia :

tu sei il vero bene, la vera gloria, la vera gioia ; a te appartiene la gloria,

o santa, consustanziale e vivificante Trinità, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen (San Simone nuovo teologo, X-XI sec.)

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PAOLO E BARNABA

P. Giuseppe Ronco, IMC

IL CONCILIO DI GERUSALEMME

Il contesto storico, le problematiche, lo svolgimento e le decisioni del Concilio di Gerusalemme, tenuto nell’anno 49, sono note e ben raccontate nel capito 15 degli Atti degli Apostoli.

Più che ripercorrere in dettaglio le vicende, mi preme sottolineare alcuni elementi importanti e utili a un missionario, chiamato ad gentes per vocazione.

Non è inutile ricordare che Antiochia e Gerusalemme sono contrassegnate dal pluralismo, che si manifesta non solo nei testi scritturistici, ma anche nel modo di vedere la vita cristiana e le condizioni necessarie per aderirvi. Non è scorretto pensare ad un vangelo di Marco adattato al mondo romano, a quello di Matteo come più congruente con il mondo antiocheno, a quello di Luca come al vangelo per i greci, e al vangelo di Giovanni come al vangelo adatto al complesso mondo culturale di Efeso e delle province limitrofe.

In questo Concilio, infatti, primo della storia

della Chiesa, si discusse sui gentili: potevano o no appartenere al popolo eletto? Dovevano farsi circoncidere, visto che per un ebreo la circoncisione non era un rito come gli altri, ma il sigillo dell’Alleanza con Dio, il rito di appartenenza al popolo di Dio? Si poteva stabilire una comunione di banchetto tra ebrei e pagani, tra circoncisi e incirconcisi? In una parola, come dovevano armonizzarsi fede in Cristo, salvezza e osservanza della legge mosaica?

Dalla risposta positiva in favore dei gentili nacque una nuova definizione di “popolo di Dio” basata sulla fede cristiana piuttosto che sull’origine etnica o sull’osservanza rituale. E il concetto di fraternità arricchì la koinonia dei banchetti. «... fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni

altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione».

La metodologia usata nel Concilio è interessante. Comprende discussioni, discorsi di singoli, azioni comunitarie, decisioni, impegni da assumere e l’invio di un documento a tutte le

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comunità con le conclusioni.

L’intervento di Pietro basato sul ricordo della sua esperienza nella casa di Cornelio, richiama a tutti i presenti che l’apertura della fede ai pagani è voluta da Dio. Intervengono poi Paolo e Barnaba, che seguono l’esempio di Pietro narrando gli eventi di chiesa di cui sono stati testimoni, cogliendovi l’agire di Dio.

“Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro” (At 15, 12).

Queste narrazioni di fede sono fondamentali e hanno il ruolo di offrire elementi di valutazione, sottoponendo l’esperienza dei singoli al discernimento pubblico dell’assemblea, che le confermeranno come venienti dallo Spirito. Inoltre la convinzione di essere salvati per grazia

e non per circoncisione, diedero conferma alla

predicazione di Paolo che sosteneva la sufficienza del mistero pasquale di Cristo per la salvezza. Null’altro era necessario. “Se, come abbiamo notato, per Luca il Concilio di Gerusalemme esprime l’azione dello Spirito Santo, per Paolo rappresenta il decisivo riconoscimento della libertà condivisa fra tutti coloro che vi parteciparono: una libertà dalle obbligazioni

provenienti dalla circoncisione e dalla Legge; quella libertà per la quale “Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi” e non ci lasciassimo più imporre il giogo della schiavitù (cfr Gal 5,1). Le due modalità con cui Paolo e Luca descrivono l’assemblea di Gerusalemme sono accomunate dall’azione liberante dello Spirito, poiché “dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà”, dirà nella seconda Lettera ai Corinzi (cfr 3,17)” (Benedetto XVI, 1 ottobre 2008).

L’intervento di Giacomo fu decisivo, aggiungendo alla parola di Pietro la prova delle Scritture, reinterpretate a attualizzate per il momento.

Si trattava di cogliere quello che il Signore voleva; e Giacomo capì che Dio “ha voluto

scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome”. Giacomo vide la Chiesa composta da

due tronconi: quella l’ “ecclesia ex circumcisione” l’ “ecclesia ex gentium”. Colui che avrebbe dovuto rappresentare i sostenitori della circoncisione, stupisce per la sua libertà di giudizio.

Sul problema della convivenza tra ebrei e gentili, Giacomo propone una soluzione di compromesso. Si tratta di osservare quattro regole fondamentali di purità rituale, le uniche che i pagani devono assumere per diventare cristiani.

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Astenersi dalle sozzure degli idoli. Astenersi dall’impudicizia.

Astenersi dagli animali soffocati.

Astenersi dal sangue cioè da tutti i cibi che sono preparati col sangue.

Tutti aderirono alla proposta di Giacomo e l’armonia fu piena.

«Lo Spirito Santo e noi...»

Scrissero poi una lettera di spiegazione per i fratelli

di Antiochia, di Siria e di Cilicia, riconoscendo la  

comunione di fede che unisce la Chiesa mista di Antiochia alla Chiesa ebraica di Gerusalemme. L’esperienza di fede di Antiochia trovava la sua convalida.

La lettera affermava che le decisioni comunicate erano state prese di comune accordo: «È parso

bene, allo Spirito Santo e a noi...» . Non noi

da soli, non lo Spirito Santo da solo: Lui ha bisogno di noi e noi, senza di Lui, non possiamo

fare niente».

Ciò che è avvenuto a Gerusalemme è l’illustrazione del metodo comu nitario, dove si cammina nella verità e nella carità, ascoltando l’altro e le sue sofferenze, dandogli la parola in pubblico, e ponendo tutto sotto lo sguardo del Signore, del suo Spirito.

“Ogni Concilio nasce dalla Chiesa e alla Chiesa torna: in quell’occasione vi ritorna con l’attenzione per i poveri Così il Concilio di Gerusalemme nasce per dirimere la questione sul come comportarsi con i pagani che giungevano alla fede, scegliendo per la libertà dalla circoncisione e dalle osservanze imposte dalla Legge, e si risolve nell’istanza ecclesiale e pastorale che pone al centro la fede in Cristo Gesù e l’amore per i poveri di Gerusalemme e di tutta la Chiesa” (Benedetto XVI, 1 ottobre 2008).

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L’ALLAMANO

NELLE TESTIMONIANZE

P. Francesco Pavese, IMC

COME SE NULLA AVESSE DA FARE

L’Allamano valorizzò spontaneamente l’accoglienza delle persone, creando un’atmosfera favorevole al contatto formativo in particolare con i suoi giovani, non solo in occasione della prima accettazione, ma poi durante la loro permanenza in Casa Madre. Ognuno si è sentito a suo agio con lui, accolto come figlio, anche di ritorno dalle missioni, sicuro di non dargli fastidio con la sua presenza. Gli allievi, sia missionari che missionarie, ebbero tutti l’impressione che l’Allamano non lesinasse il tempo per loro. C’è una frase che si ripete spesse volte con le stesse parole nelle testimonianze, quasi che gli estensori si fossero messi d’accordo: “sembrava che non avesse altro da fare”, in quanto l’Allamano dava l’impressione, in quel momento, di essere tutto e solo per la persona con cui si intratteneva. Si noti che questa impressione non è stata solo dei giovani missionari e missionarie, ma anche di persone estranee all’Istituto. Ciò significa che l’Allamano agiva così con tutti, era fatto così, era per gli altri.

Testimonianze di missionari. È piacevole leggere quanto tramandarono i missionari. Il P. Gaudenzio Panelatti, uno dei primi aspiranti alla Consolatina: «A me dava l’impressione che egli

avesse giammai niente da fare. Da noi occupava molto bene il suo tempo […]; mai che mostrasse avere impegni o urgenze, e più tardi soltanto abbiamo saputo che dirigeva mezza diocesi ed era occupatissimo».

P. Domenico Ferrero, nei suoi ricordi, annotò che l’Allamano accoglieva gli allievi sempre volentieri: «E ci sentiva, ci interrogava, come se non avesse avuto altro da fare».

P. Emilio Oggè sperimentò personalmente che il Fondatore accoglieva molto volentieri gli allievi anche alla Consolata: «Dopo averci parlato per un po’ di tempo, quasi avesse nulla da fare, ci accompagnava alla porta, e poi ci indicava il coretto dove andava a pregare lui, ci indirizzava alla Madonna e diceva: “Andate a pregare la Consolata che vi aspetta!”».

Fr. Alfonso Caffo, siccome era incaricato di sbrigare commissioni in Torino, era stato invitato dall’Allamano a passare a trovarlo quando si trovava dalle parti del santuario: «Era suo ordine andare a trovarlo in camera, bussare alla porta. Licenziato quello che aveva, ci riceveva. Ci salutava, ci accoglieva veramente da padre amoroso, ci faceva sedere accanto a lui

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e lì sembrava non avesse altro da fare. Dico che alle volte la seduta si protraeva a lungo e quasi vergognoso di fargli perdere tanto tempo per lui sì prezioso, perché a dire il vero alcune volte doveva sorpassare l’ora di molto certamente. Allora mi alzavo per licenziarmi e lasciarlo, ma una volta mi prese la mano e forzandomi a sedere nuovamente mi disse: “Eh che, dove vuoi andare? Non stai bene qui?”. E tenendomi lì fermo obbligato a star seduto, soggiungeva: “ti dirò io quando dovrai andare”. Sembrava che godesse di averci vicino come una mamma un suo figlioletto. Continuava nelle sue esortazione per un bel po’ di tempo e poi si alzava dicendo “ora ti do la mia benedizione”, mentre la sua mano stringeva la mia e inginocchiato prendevo la sa benedizione e uscivo contento e felice. Questo accadde anche quando erano annunciate altre visite».

Testimonianze di missionarie. Anche le missionarie manifestarono la stessa felice impressione. Sr. Giuseppina Emilia Tempo, durante il processo diocesano, rispose alla domanda sulla carità dell’Allamano verso il prossimo con queste parole: «Con tutte le occupazioni che aveva, quando si andava da lui, si riportava l’impressione che egli si occupasse soltanto di chi a lui si rivolgeva. Questo lo sperimentai io stessa, e lo sentii dire da molte persone che ricorrevano al Servo di Dio».

Sr. Chiara Strapazzon, che come superiora della comunità era in confidenza con il Fondatore, mentre si trovava a Venaria, scrisse: «Quando mi recavo a parlare al nostro Veneratissimo Padre, alla Consolata, per i bisogni della Comunità, accadeva talvolta di dover attendere in sala d’aspetto per qualche ora, a causa del numero di persone che andavano da lui per consiglio. Erano prelati, persone distinte, povera gente: egli tutti accoglieva con un tratto così amabile e buono che gli era proprio e che lasciava l’impressione di aver parlato con un Santo. (Così ho sentito ripetere da altre persone che l’avevano avvicinato). Giunto il mio turno, mi accoglieva con tanta

benevolenza e paterna bontà; mi faceva sedere vicino e mi ascoltava attentamente come se non avesse avuto altro da fare. […]. Per quanto fosse occupatissimo, non lo vidi mai turbato né preoccupato, ma sempre sereno e tranquillo lasciando ben vedere che con lui era il Signore per il quale solo operava».

Analoga attestazione si trova nella deposizione della stessa suora al processo, in risposta alla richiesta di esprimere un giudizio sull’Allamano come Fondatore: «Quando mi recavo dal Servo di Dio alla Consolata, per i bisogni della Comunità, mi accadeva talora di dover attendere qualche ora a causa del gran numero di persone che ricorrevano a lui per consiglio. […]. Giunto il mio turno, mi accoglieva con grande benevolenza. Mi faceva sedere, e mi ascoltava attentamente, come se non avesse altro da fare».

Sr. Ferdinanda Gatti: «Quando parlava non dimostrava mai fretta di finire, mai impazienza». «Anche dandoci dei consigli non rispondeva subito, ma si raccoglieva come per interrogare il buon Dio, e poi dava la sua risposta sicura che lasciava l’anima tranquilla senza perdersi in molte parole».

Testimonianze di altre persone. La sig.na Adele Ferrero, benefattrice della Consolata, raccontò che il giorno del funerale della mamma andò con il babbo e una cugina dall’Allamano per ascoltare qualche parola di consolazione: «Mi sentii male, mi fece portare un caffè con un cordiale e dedicò il suo tempo prezioso per noi come se nulla avesse da fare».

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Il can. Carlo Franco, convittore al tempo del Fondatore e da lui proposto come segretario di mons. Alessandro Riccardi di Netro, espresse così la sua impressione dei frequenti incontri con l’Allamano: «Egli, sempre tanto occupato, ricevendomi pareva non doversi occupare che di me: e così soleva fare con altri molti a lui ricorrenti».

Il can. Augusto Mecco che aveva scelto l’Allamano come confessore, andando prima al confessionale nel santuario e poi in ufficio, attestò: «La quale santa opera seguitò sempre fare, ilare, cortese, tranquillo e premuroso, come se non avesse avuto altro a fare che dar udienza alla mia povera persona, interrompendo le sue occupazioni, o se trattenuto da altri, appena fosse libero».

Sr. Maria degli Angeli Candellero, monaca della Visitazione, che l’Allamano non poté più seguire quando dovette rinunciare di essere direttore spirituale al Monastero, manifestò così la sua reazione: «Ne rimasi un po’ turbata; ad ogni modo mi è cosa gradita ricordare come in quelle rarissime volte che avevo il bene d’intrattenermi con lui, notavo come sembrava proprio che non avesse altro a fare ed io sapevo com’era immensamente occupato» .

Il “perché” di tale atteggiamento. È lecito domandarsi perché il Fondatore si comportava così, accogliendo tutti con una calma e un’attenzione sorprendenti da impressionare quanti avevano la fortuna di avvicinarlo. Probabilmente questo era il suo carattere sempre padrone di sé, ordinato, preciso, mai precipitoso. Tuttavia, si può anche trovare una ragione più

profonda nella sua sintonia con lo zio Giuseppe Cafasso. Da lui, infatti, aveva appreso le famose quattro regole per passare bene la giornata. Secondo una testimonianza di Don Bosco, riportata nella biografia del Cafasso scritta dall’Abate Luis Nicoli di Robilant, il Cafasso proponeva questi quattro pensieri per passare bene la giornata. «Fare ogni cosa come la farebbe lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo; in quel modo in cui vorremmo averla fatta quando ce ne sarà chiesto conto al tribunale di Dio; come se fosse l’ultima di nostra vita, e come se non se ne avesse altra da compiere».

Il Fondatore, come si è visto dalle testimonianze, fecesuo il quarto suggerimento, e lo insegnò. Alle missionarie diceva: «Qual è il modo, i mezzi per fare tutte le cose bene? Vediamo i pensieri del Ven. Cafasso per passare bene la giornata. E se si passa bene la giornata, si passano bene anche le settimane, i mesi, gli anni…».

In una lunga conferenza ai ragazzi, il 3 settembre 1916, il Fondatore sviluppò un tema che gli stava a cuore, spiegando il commento della gente al miracolo di Gesù della guarigione del sordo muto in Mc 7, 37: «Bene omnia fecit». Sviluppò uno per uno i quattro suggerimenti del Cafasso per passare bene la giornata. Circa il quarto disse: «E adesso l’ultimo pensiero: Fare le cose in maniera, come se non ne avesse a far altra. Ecco, questo si. Quando facciamo una cosa non pensare ad altra: disturbiamo solo la cosa che facciamo. Avviene sovente che quando facciamo una cosa pensiamo ad un’altra: quando siamo in Chiesa pensiamo allo studio, quando siamo in studio si pensa alla ricreazione, e così disturbiamo sempre tutto. Invece no: age quod agis: tieni la testa lì». Dopo

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essersi dilungato portando esempi concreti nella giornate dei ragazzi, ha così concluso: «Bisogna pensare a far bene a quel che faccio adesso hic et nunc, far ogni azione bene, per la gloria di Dio. […]. Fate tutto alla presenza di Dio. Così passerete bene la vostra giornata».

Non c’è dubbio che questo modo di comportarsi

del Fondatore non era solo un atteggiamento esteriore studiato, quasi un metodo pedagogico per attirare la confidenza, ma era qualcosa ad un altro livello. Per l’Allamano ogni persona era un valore da rispettare e curare, perché portava in sé la fisionomia nascosta del Signore e l’impronta dello Spirito.

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MESSAGGI PAPALI AI CAPITOLI

INTRODUZIONE ALLA NUOVA RUBRICA

Nel mese di giugno l’Istituto, tramite i confratelli capitolari, visiterà Papa Francesco.

Pensiamo di fare opera gradita a tutti riproporre, in tre interventi, i vari messaggi che i Papi hanno rivolto all’Istituto.

Vogliono essere un contributo alla preparazione spirituale alla visita con Papa Francesco, rivitalizzando la memoria storica degli anni passati.

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P. Mario Bianchi, IMC

1969: LA VISITA DEL CAPITOLO

AL SANTO PADRE E A PROPAGANDA

Torino, 10 novembre 1969 Festa di tutti i Santi Carissimi Confratelli,

Lo scopo di questa Circolare è rendere partecipi i membri dell’Istituto della « grazia spirituale » della visita del Capitolo a Roma.

La visita del Capitolo al Santo Padre e a Propaganda

11-22- ottobre, i partecipanti al nostro Capitolo si sono recati a Roma per essere ricevuti in udienza dal Santo Padre e dal Cardinale Prefetto detta S. Congregazione per l’Evangelizzazione. E’ stato senza dubbio uno dei momenti più belli e solenni del Capitolo, e coloro che vi hanno preso parte ne conserveranno a lungo il sereno e confortante ricordo.

Come Superiore, desidero comunicare a tutta la nostra Famiglia la «grazia spirituale » — se così posso esprimermi — di questa visita romana, grazia che consiste sia nella affettuosa benedizione che il Santo Padre e il Card. Prefetto di Propaganda hanno dato ai missionari, ai loro benefattori, alle loro opere e missioni, sia nell’insegnamento e nell’incoraggiamento rivoltici: vorrei che fossero accolti come un dono prezioso che il Signore ha fatto all’Istituto.

La parola del Santo Padre. Durante l’udienza generale in S. Pietro, alla quale i Capitolari presero parte, la parola del Papa ci è stata indirizzata tre volte; in forma e con sfumature diverse: come saluto paterno ai membri dei Capitoli presenti nella Basilica Vaticana (nell’annunciare noi, il -Papa-. disse: « L’Istituto, così rinomato, -dei Missionari della Consolata ») — nel discorso rivolto a tutti i partecipanti all’udienza generale e, infine, nella breve conversazione avuta con i membri della Direzione Generale dell’Istituto,

alla fine dell’udienza.

a) Nel saluto ai Capitoli di Istituti religiosi e missionari, il Papa,

dopo aver riaffermata la validità della vita religiosa nella Chiesa e nel mondo di oggi, dichiarò che i Capitoli nella vita degli Istituti sono un esame di coscienza, che ha il compito di armonizzare lo spirito della fondazione e i valori tradizionali trasmessi dal passato, con le novità e le riforme necessarie alle situazioni che cambiano. Deve essere una sintesi felice e feconda, ma, aggiunse il Papa, « se voi amate i valori della vostra tradizione, non vi sarà difficile trovare la giusta via del rinnovamento ».

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b) Nella affabile conversazione con il Superiore e alcuni membri del Consiglio, il Santo Padre ha dichiarato di nutrire per il nostro Istituto molto, molto affetto; ci ha ringraziati in nome del Signore per il bene che facciamo nel servizio della Chiesa, e ha pregato di portare la Sua benedizione a tutti i missionari, alle loro cristianità e particolarmente ai giovani che si preparano nei Seminari alla vita missionaria. c) il discorso, indirizzato alla affollata udienza che gremiva la Basilica di S. Pietro, fu incentrato sulla fiducia nella Chiesa e sul senso giusto dell’aggiornamento e del dialogo all’interno della comunità ecclesiale. Si tratta di un discorso essenziale e chiaro riguardo ad aspetti importanti della vita della Chiesa, in cui anche il nostro Istituto è inserito; un discorso, quindi, che diventa illuminante e normativo per il lavoro di rinnovamento che il Capitolo sta preparando. A nome dei Padri Capitolari, presento il discorso del S. Padre alla riflessione di tutti i missionari, come un dono provvidenziale e il ricordo della nostra visita al. Papa.

DOBBIAMO AVERE FIDUCIA NELLA

CHIESA

PAOLO VI

UDIENZA GENERALE Mercoledì, 22 ottobre 1969  

Fiducia nella Chiesa autentica, vitale, dinamica

Diletti Figli e Figlie!

L’attenzione della Chiesa e del pubblico, anche la vostra certamente, è rivolta in questi giorni verso il Sinodo straordinario dei Vescovi, che è riunito a Roma e che studia le relazioni del Papa con i Vescovi raggruppati nelle Conferenze episcopali, e delle Conferenze fra loro: il punto focale delle discussioni si polarizza sopra questo organo della gerarchia .ecclesiastica, ch’è appunto la Conferenza episcopale in una data nazione,

o in determinato territorio; è un’espressione relativamente nuova della organizzazione della Chiesa, resa opportuna da necessità pratiche: etniche, geografiche, destinata a decentrare rispetto alla Sede Apostolica l’esercizio delle potestà gerarchiche, e ad accentrarlo, o coordinarlo localmente, regionalmente; è un segno di unità della Chiesa, riflessa nelle legittime forme diverse della sua cattolicità; ed è perciò un tema importante e complesso. Come già dicevamo nell’udienza generale della scorsa settimana, noi non ne parleremo pubblicamente per meglio lasciare alle discussioni sinodali completa libertà.

Ma guardando ora anche noi, come spettatori, questo avvenimento molto rilevante nella vita presente della Chiesa, possiamo rispondere al richiamo che esso ci offre alla fiducia che le dobbiamo. Dobbiamo avere fiducia nella Chiesa; sì, in questa Chiesa di Cristo, fondata in realtà da Lui sulla pietra, e, nell’apparenza storica, simile alla barca di Simone Pietro, sbattuta dalla tempesta. Fiducia nella Chiesa qual è. Questo non è immobilismo; è realismo, è fedeltà. La Chiesa ci dà prova di vitalità; un carisma di indefettibile sopravvivenza vi si manifesta e lo documenta, all’evidenza. Ella ci dà prova di autenticità: la sua coerente fedeltà nella dottrina,

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nella linea morale, nelle istituzioni fondamentali, nello sviluppo storico, insieme con la tensione continua di riformarsi, di rinnovarsi, di santificarsi, ce ne dà confortante assicurazione. Ella è ferma e dinamica. Ella ci dà prova di attualità: la sua presenza nel nostro tempo lo dice, anzi lascia trasparire una sollecitudine estremamente vigilante di interpretare i segni dei tempi, di accogliere le esperienze del progresso, di parlare il linguaggio degli uomini d’oggi, di soccorrere i bisogni antichi e nuovi dell’umanità. Ella crede, ella spera, ella ama. Cristo è con lei. Ella è viva, ella è vera. Ella merita la nostra fiducia.

Oggi come ieri, oggi più di ieri. Anche questo fatto del Sinodo, che si sta celebrando, lo attesta, e conforta la nostra fiducia. E ne abbiamo bisogno. Perché la crisi, che si manifesta in alcuni settori della Chiesa e dell’opinione pubblica, - se pur di crisi, piuttosto che di travaglio, si può parlare -, tale ci sembra: un difetto di fiducia. Di fiducia nella Chiesa qual è. Forse questa parola magica di «aggiornamento» ha spinto alcuni oltre il segno. Un frettoloso bisogno di revisione, onesta e doverosa, s’è trasformato in una corrosiva autocritica, e perfino in un autolesionismo, che ha fatto perdere in alcuni il senso ed il gusto della milizia cristiana e dell’apostolato cattolico. Sono le «strutture» della Chiesa ufficiale, si è detto, che bisogna cambiare, ben più che le idee deteriori ed i costumi decadenti del nostro secolo; così che il tessuto connettivo, che fa della Chiesa una comunione organica e responsabile, il tessuto della carità ecclesiale e dell’obbedienza gerarchica, si è qua e là non poco logorato. Di fiducia abbiamo bisogno; di mutua fiducia. La Chiesa, si chiedono alcuni, saprà comprendere le aspirazioni, le inquietudini, le attese, che sono negli animi della nostra generazione? Saprà ascoltare? A noi pare che sì: ella saprà. dialogare, come oggi si dice ; saprà anche assecondare. I fatti e i propositi già lo dicono. Questo è il suo voto. Ma bisogna subito fare attenzione. Non sarebbe giustificato il senso di frustrazione in coloro che non vedessero assecondato un proprio

e particolare piano di riforma ecclesiastica, ‘specialmente se questo si stacca arbitrariamente dalla norma comune e stabilita. Oggi è facile sottrarsi mentalmente, fantasticando e studiando, dalla regola vigente con un proprio sogno di riforma ideale; dal sogno si passa all’ipotesi concreta; dalla ipotesi all’esigenza; e dall’esigenza talora alla delusione, ovvero alla protesta ed anche alla disobbedienza. La Chiesa è una comunione di uomini, liberi, sì, ma viventi in armonia, raggiunta con gioiosa e volonterosa adesione, ed anche con umile soggezione. Non si può far dipendere l’adesione alla Chiesa dal compimento nella sua compagine d’un desiderio personale. La Chiesa oggi è sollecita a considerare il dato psicologico e sociologico della comunità (quello risultante dalle inchieste, ad esempio): ma ella deve essere guidata da altri criteri prevalenti: quelli del dato teologico, cioè quelli di Dio, quelli del Vangelo, quelli di Cristo, ai quali ella deve la sua ragion d’essere, e ai quali deve informare la norma direttiva della sua missione, ch’è missione pastorale, cioè di guida, di educazione, di elevazione alla via ardua della salvezza. La Chiesa non è un fenomeno storico e sociale qualsiasi, che si possa modificare

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a piacimento. È un fatto spirituale e religioso: una fede lo genera, un’autorità lo dirige, uno Spirito lo vivifica. Merita la nostra fiducia, la nostra fedeltà, il nostro servizio, il nostro amore, la Chiesa. Questo vi dice l’umile successore di Pietro, con la sua benedizione.

La fiducia nella Chiesa, che per noi è anche fiducia nell’Istituto, ci è necessaria per realizzare la nostra vocazione sia come individui, sia come Comunità. Dalla fiducia nasce la pazienza, il ‘Sano ottimismo e persino l’entusiasmo per la propria missione. Sono qualità e atteggiamenti necessari per attuare il rinnovamento costruttivo dell’Istituto che, come la Chiesa, « è una comunione di uomini, liberi, sì, ma viventi in armonia, raggiunta con gioiosa e volenterosa adesione, ed anche con umile soggezione.

L’incoraggiamento del Card. Agagianian, Prefetto della. S. C. per la Evangelizzazione. — 11 pomeriggio dello stesso giorno, i Padri Capitolari erano ricevuti anche da S. Em. il Card. Agagianian, Prefetto di Propaganda. Fu un incontro di famiglia, non solo perché Propaganda per noi missionari è un po’ la comune madre, ma soprattutto per lo spirito e il clima di famiglia che vi regna.

Il Cardinale Prefetto ci ha accolti con squisita ed effusa bontà, e ci ha parlato come un padre. La sua esortazione si può compendiare in queste tre idee:

— Voi missionari dovete essere non soltanto esperti ed apportatori di assistenza e progresso sociali, ma anzitutto ed essenzialmente evangelizzatori, comunicatori del Vangelo e ministri della Eucarestia. Questo è ciò che la Chiesa e il Papa vogliono da voi.

— Per questo, occorre che ci sia in voi il fuoco interiore, che siate missionari santi, uomini di preghiera, come voleva il Fondatore.

— La « esperienza » del Fondatore, il suo spirito e il suo insegna-mento debbono continuare sempre a guidarvi nel vostro apostolato e nel lavoro di rinnovamento.

All’incoraggiamento del venerato Prefetto seguì un amichevole e cordialissimo incontro con S. Ecc. Mons. Pignedoli, Segretario di Propaganda, il quale s’interessò ai problemi e al lavoro dei Padri Capitolari nei vari campi del loro apostolato. Con tale incontro, si chiuse la intensa giornata romana del nostro Capitolo.

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ATTIVITÀ DELLA DIREZIONE GENERALE

Sr. Simona, MC e P. Stefano, IMC

VISITA A PAPA FRANCESCO

Missionarie e Missionari carissimi,

Durante il prossimo Capitolo Generale avremo l’occasione di rendere visita a Papa Francesco. Sarà un momento di grazia e di gioia, come fu per Maria la visita a Elisabetta. Un’occasione per cantare, davanti a chi presiede la Chiesa, il nostro Magnificat a Dio per aver suscitato i nostri Istituti e per i tanti benefici ricevuti. L’adesione al Papa voluta dal P. Fondatore e ribadita dalle Costituzioni, rimane sempre una caratteristica per noi fondamentale: “Il missionario si vincola all’opera dell’evangelizzazione nella Chiesa, della cui missione diventa più strettamente partecipe. L’Istituto e ogni suo membro si distinguono per l’amore, la fedeltà, l’adesione al Papa, ai Vescovi, e nel seguire le direttive della Santa Sede” (Cost

IMC, 13). “Inserite nella Chiesa Cattolica,

in comunione con essa e da essa inviate, testimoniamo e annunciamo Cristo secondo il nostro Carisma.” “L’obbedienza religiosa ci impegna a servire la Chiesa, ad aderire ai suoi insegnamenti e a obbedire, anche in forza del voto, al Sommo Pontefice al quale, come figlie dell’Allamano, siamo particolarmente unite e fedeli” (Cost MC, 6, 23).

Per renderlo efficace e fonte di novità, questo incontro va preparato con la preghiera, con la riflessione personale e comunitaria, chiedendo allo Spirito Santo e alla Madre Consolata la loro

presenza e la loro consolazione.

Il prossimo Capitolo Generale vorrebbe, infatti, segnare una tappa importante nel cammino dei nostri Istituti, focalizzandosi sulla rivitalizzazione e sulla riorganizzazione come percorsi per una sempre migliore qualità di vita vocazionale, per dare nuovo respiro al dinamismo del carisma, per il bene di ciascuno/a di noi, delle nostre famiglie missionarie e della missione.

Non avrà come finalità quella di redigere un bel documento da allineare ai tanti altri che già possediamo, ma di discernere insieme il movimento dello Spirito e elaborare orientamenti e proposte che ci aiutino a essere missionari e missionarie rinati nell’entusiasmo, capaci di vivere insieme con più amore e di qualificare in modo concreto la nostra missione ad gentes. Al Papa chiederemo di accompagnarci nel nostro

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servizio alla Chiesa, di illuminarci con i suoi consigli pieni di esperienza, e chiederemo anche un messaggio che orienti la nostra missione. A tutte le comunità chiediamo di preparare questo evento meditando con apposite lectio divine il mistero della visitazione di Maria ad Elisabetta (Lc 1, 39-56), e di interiorizzare attentamente i contenuti dell’Evangelii Gaudium.

In questa lettera, al termine di ogni tema che presentiamo, abbiamo suggerito delle domande per facilitare la traduzione nel contesto vitale del cammino della “Chiesa in uscita” che testimonia la gioia del Vangelo al mondo d’oggi. Ognuno/a potrà scegliere di rispondere alla domanda o alle domande che più gli/le sono utili nel cammino. Ogni risposta sarà un segno del nostro impegno.

I. LE NOSTRE FAMIGLIE

MISSIONARIE PORZIONE DELLA

CHIESA, POPOLO DI DIO

La visita a Papa Francesco è una grande occasione, un kairos, per approfondire la nostra fede e rinnovare la nostra missione. È un richiamo a continuare ad amare e servire la Chiesa nella costruzione del Regno. Rileggere alcuni scritti del P. Fondatore sull’argomento rinnoverebbe la comunione profonda con il carisma originario e la tradizione successiva.

La Chiesa è mistero, popolo di Dio, dono per tutti.

L’approfondimento conciliare del tema lo troviamo nei primi due capitoli della Lumen Gentium, che siamo invitati a rileggere, meditare e trasformare in preghiera, per dare una base teologica salda alla nostra missione.

È un mistero che s’incarna in tutte le nazioni della terra, proponendo il Cristo Risorto e dialogando con tutti senza paura, nella ricerca del Regno basato sulle beatitudini.

È un popolo che ha trovato nel Signore misericordia, e che è continuamente rigenerato dal perdono di Dio; è il popolo dei redenti che ascolta l’invito del Signore a essere “misericordiosi come il Padre”.

Noi, missionarie e missionari, saremo all’altezza della nostra missione nella misura in cui noi stessi ci lasceremo trasformare in sale che dà sapore alla massa, in lievito che fa fermentare, in luce che illumina chi vacilla. Siamo chiamati a vivere con gioia nel mondo in cui Dio ci ha seminato, sorelle e fratelli vicini alla gente, soprattutto ai più poveri, fino al dono della nostra vita.

“Essi (i poveri) hanno molto da insegnarci. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza che salva delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare a essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro” (EG 198).

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DOMANDE PER FAVORIRE

LA RIFLESSIONE E IL CONFRONTO

In che modo la tua comunità si sente popolo di Dio e soggetto di evangelizzazione (EG 111)? Si possono riconoscere segni di una conversione pastorale e missionaria delle nostre comunità ecclesiali e missionarie?

Quali gesti, iniziative e opere trovi più efficaci per esprimere l’attenzione alle questioni più cruciali del tempo che viviamo e che interrogano più da vicino il nostro carisma ad gentes?

Quale percorso è proposto perché il richiamo all’essenzialità della fede diventi vita e nuovo umanesimo capace di incontrare chiunque? Quali i nuovi processi che Evangelii Gaudium ci invita a far succedere per favorire l’avvento di un nuovo umanesimo?

2. ISTITUTI CHE VOGLIONO

RISPONDERE ALLE SFIDE

DELL’OGGI

Per ben progettare il futuro e rispondere alle sfide che l’oggi ci presenta, bisogna saper guardarsi attorno e avere coscienza che tanto bene già esiste, e che Dio opera e abita nelle nostre case, nelle nostre strade, nelle nostre piazze, e “vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia” (cfr. EG 71-75).

Il lavoro missionario si fa insieme, gente e missionari/e, non con metodi autoreferenziali, ma innescando processi che facilitino una convivenza costruttiva. I nostri Istituti hanno una storia e un presente ricco di esempi in questo senso. Tali gesti e opere non di rado hanno prodotto frutti inaspettati e risultati di ottima qualità. Anche il Papa, a Firenze, aveva rilevato questo modo di agire: “Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà” (Cattedrale di Santa

Maria del Fiore, 10 novembre 2015) .

È necessario moltiplicare gli sforzi, valorizzare gli esempi positivi già esistenti, perché nel lavoro “libero, creativo, partecipativo e solidale” ogni persona possa “esprimere e accrescere la dignità della propria vita” (EG 192). È un nuovo modo di lasciarci coinvolgere nella missione, dando testimonianza dei valori in cui si crede.

Intendiamo perciò dare il nostro contributo come famiglie missionarie perché tutti, cristiani e non, credenti e non, si possa diventare un popolo, consapevoli che ciò “richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia” (EG 220).

Le numerose sfide contemporanee della missione esigono capacità di testimoniare Cristo e il Vangelo là dove siamo chiamati a vivere e lavorare, siano città o periferie urbane ed esistenziali, minoranze etniche o culturali, nuovi areopaghi e migranti.

La testimonianza, infatti, sia personale sia comunitaria, resta il modo più convincente per evangelizzare.

DOMANDE PER FAVORIRE

LA RIFLESSIONE E IL CONFRONTO

Quali sono le priorità che l’esperienza ci consegna e come l’Evangelii Gaudium ci può aiutare ad affrontarle in un’ottica di comunità missionaria? Quale spazio occupano i giovani nella tua esperienza personale e comunitaria di

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evangelizzazione?

La provocazione di Evangelii Gaudium a essere comunità missionaria, fermento di una rinnovata vita sociale, uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti come ci interpella? Ci può aiutare a innescare processi per rompere l’autoreferenzialità dei nostri gruppi e/o delle nostre iniziative?

Quali sono gli esempi più efficaci di dialogo e di processi inclusivi che hai vissuto, e perché?

3. ISTITUTI CAPACI DI TESTIMONIARE

La testimonianza è il cuore che fa di noi una comunità missionaria capace di abbracciare tutti i popoli. È il principio evangelico che garantisce autenticità e spessore alla Parola che annunciamo. Prima di noi, altre missionarie e missionari che ci hanno preceduto, hanno vissuto la fede in una simile prospettiva. Essi hanno saputo essere autentiche Missionarie e Missionari della Consolata, dove l’aggettivo “della Consolata” suona come sinonimo di accoglienza, riconoscimento, rispetto, apertura a Dio, luogo in cui il Vangelo ha saputo produrre grandi frutti, anche nel campo sociale.

Essere comunità missionaria per tutti i popoli chiede di sapere assumere e dare futuro a quest’attitudine “della Consolata”: continuare cioè a costruire delle Famiglie Missionarie capaci

d’innovazione, ma allo stesso tempo attente a che l’evoluzione non generi divari e squilibri; capaci di mettere al servizio della missione risorse ed energie; Famiglie Missionarie che sappiano abitare il mondo con dignità, rispetto e in comunione, celebrando le differenze e armonizzandole al servizio dell’unità.

“Nuove culture continuano a generarsi in queste enormi geografie umane, dove il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi… Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima” (EG

73-74).

I luoghi dove vivere la sfida e la bellezza della missione sono le tante periferie cui abbiamo già accennato, prima di tutte la periferia dell’ad gentes, altre che già s’intravvedono all’orizzonte, luoghi dove si concentra ciò che il mondo considera “scarto”.

Gli strumenti per rispondere validamente a tali sfide sono quelli che la tradizione dei nostri Istituti ci consegna: la vita religiosa da vivere nel quotidiano come sorgente di energie e di senso, l’impegno nella missione che oggi diventa sempre

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CONCLUSIONE

Visitando il Papa, non andiamo a mani vuote. Gli portiamo la nostra storia, tessuta da santi e ricca di opere buone. Gli portiamo anche le nostre debolezze e i limiti che a volte sono stati occasione di male. Gli portiamo i nostri progetti missionari, il nostro desiderio di rinnovamento, di qualificazione, di vita più fraterna e solidale. Gli portiamo le speranze, la voce, le aspirazioni dei nostri popoli, della gente che umilmente serviamo.

E gli regaliamo un’icona della Consolata, segno della nostra missione e della nostra preghiera per lui. È un’icona scritta nel 2015 da Caterina Shim Sun-hwa, artista coreana conosciuta nel paese e apprezzata dalla Chiesa cattolica.

Infine, gli chiederemo umilmente di benedire noi e il mondo intero.

Grazie a tutti/e e a ognuno/a, buon cammino, coraggio e avanti in Domino!

Nepi – Roma, 19 marzo 2017 Festa di San Giuseppe

più multiculturale e inter gentes, la condivisione della vita che dà valore alla festa e alla relazione profonda. In una parola sintetica, la carità, che non è soltanto aiuto al bisognoso e al povero, ma tessuto di fondo della nostra vita e del nostro operare.

Maria, la Madre del Signore, la Consolata, è il faro che illumina e l’esempio da imitare. È guardando a Lei che possiamo dispiegare il nostro impegno per essere popolo di Dio nella città, tra e per i popoli, convinti del sostegno solido e ricco di fantasia dello Spirito Santo. “Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza. È l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore tratto dalla spada, che comprende tutte le pene. Quale madre di tutti, è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la giustizia. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita, aprendo i cuori alla fede con il suo affetto materno. Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio” (EG 286).

DOMANDE PER FAVORIRE

LA RIFLESSIONE E IL CONFRONTO

Che cosa significa, nella tua esperienza, “arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima”?

Quali esempi di testimonianza sono particolarmente da evidenziare come innovativi e contemporanei per noi (EG71)?

L’Evangelii Gaudium ci ricorda che il Suo Popolo s’incarna nei popoli della terra, ciascuno con una propria cultura (EG 115). Come essere pertanto capaci di riconoscere la dignità di ogni cultura nella società multiculturale, oltre ogni paura dell’altro, del diverso?

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Preghiera per il Capitolo IMC

Dio, Padre di Misericordia manda su tutti noi il tuo Spirito mentre ci prepariamo al prossimo Capitolo Generale.

Dona ai delegati lo stello zelo e lo stesso amore alla missione che animò il Beato Giuseppe Allamano nel fondare il nostro Istituto missionario.

Dona a tutti noi lo stesso coraggio dei tuoi Apostoli Barnaba e Paolo di salpare e fare vela verso Antiochia verso il nuovo della missione nella fedeltà al nostro carisma Ad Gentes.

Maria Consolata, nostra Madre, ci accompagni mentre cerchiamo di seguire il Signore nostro Gesù Cristo, e mentre camminiamo verso di Te, Padre che vivi e regni nella Trinità perfetta Dio Onnipotente, per tutti i secoli dei secoli. Amen

Preghiera per il Capitolo MC

Ave Consolata, Madre Tenerissima, ti diciamo beata perché hai creduto e hai saputo riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili! Aiutaci a confessare la fecondità dello Spirito nel segno dell’essenziale e del piccolo.

Concedici di compiere l’atto coraggioso dell’umile a cui Dio volge lo sguardo e a cui sono svelati i segreti del Regno.

Avvolgi col tuo manto ciascuna di noi e in particolare le sorelle capitolari affinché, protette e guidate da te, nostra Fondatrice, possiamo discernere e seguire le orme dello Spirito nell’oggi della nostra storia. Amen!

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P. Salvador Medina, IMC

“SÍ A LAS RELACIONES NUEVAS

QUE GENERA JESUCRISTO”

Les propongo, amigos/as lectores que oremos, revisemos y proyectemos nuestra vida inspirados en el “Sí a las relaciones nuevas que

genera Jesucristo”, guiados por una reflexión y

comentario desde mi experiencia de Consagrado para la Misión ad gentes e el Instituto Misionero de la Consolata - IMC y la propuesta que aparece en el No. 87 de la Evangelii Gaudium, del Papa Francisco:

“Hoy... sentimos el desafío de descubrir y transmitir la mística de vivir juntos, de mezclarnos, de encontrarnos, de tomarnos de los brazos, de apoyarnos, de participar de esa marea algo caótica que puede convertirse en una verdadera experiencia de fraternidad … Si pudiéramos seguir ese camino, ¡sería algo tan bueno, tan sanador, tan liberador, tan esperanzador! Salir de sí mismo para unirse a otros hace bien...”.

Un hecho de vida (cada uno puede pensar en un hecho de la vida personal)

Eran las 21.18 del Miércoles 26, en la intimidad de mi cuarto, en Roma, dialogaba con migo mismo y me aplicaba gel de sábila en todo el cuerpo, mientras le agradecía a la misma planta el alivio que me deparaba.

La soledad me envolvía en un silencio dialogante entre el Creador que me regalaba la sábila, cultivada en el jardín de mi casa por Cris, emigrante filipino que vino en Europa buscando una vida mejor, la sábila y yo que interactuábamos, amándonos, en el sueño común de la salud integral.

De pronto un movimiento nos interrumpió. La cama se conmovió, los cuadros de la pared comenzaron a temblar. Terremoto, pensé. No

es el primero, me dije. Desnudo como estoy, no voy a salir. Sentado, con miedo de caer, alce mis manos a lo alto y exclamé: en tus manos estoy, espero en ti, buen Dios! Un suspiro con pregunta exhalé: por qué tiemblas “madre tierra”?

Una respuesta a mi pregunta llegó al instante por Internet. El Corriere della Sera informaba de un terremoto de magnitud 5.4, a las 19.11 de la tarde, con epicentro en la provincia de Macerata, al centro de Italia, cuya réplica de magnitud 6.2 sentí yo, dos horas más tarde, a las 21.18.

Esta respuesta informativa, que casi culpaba la tierra del atropello a la población y al patrimonio cultural de una linda y antigua región, en nada se refirió al “gemido”, al dolor de la tierra, ni al aullido lastimero y alertador de los perros, que también sufren, mientras esperan la liberación, como nos lo recuerda San Pablo en la Carta a los Romanos 8,13-23.

Las redes de la comunión se activaron inmediatamente desde las Filipinas, Corea del Sur, el Kenya, Angola, Mozambique, Colombia, Brasil, México, Estados Unidos, Sydney, España, Portugal y otros lugares más: cómo estas? era la pregunta general; Bien! me venia espontáneo; Gracias a Dios! fue el coro final. Continuaron los intercambios de palabras, videos y fotos, hasta que el sueño me arrulló en la noche, a la espera del nuevo sol.

Nosotros los humanos somos “terrano” (nuestra identidad)

Cada uno/a de nosotros habita el presente en diferentes lugares, ahora aquí en Bogotá, como persona hecha de tierra, “terrano” (Faustino Teixeira), impulsado o frenado por su pasado que lo debemos asumir con gratitud y atraídos

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u ofuscado por su futuro que lo debemos abrazar con esperanza, si no queremos sucumbir.

Nuestra existencia personal, como la de Jesús y la de María, está preñada de soledad (identidad) y a la vez de compañía (relacionalidad), culturalmente tejida, tal y como lo entiende el magisterio de la Iglesia en AmerIndiaAfroLatina, apoyada en el Concilio Vaticano II y la Exhortación apostólica Evangelii nuntiandi nn. 18 y 20: “Con la palabra ‘cultura’ se indica el modo particular como, en un pueblo, los hombres cultivan su relación con la naturaleza, entre sí mismos y con Dios” (GS 53b) de modo que puedan llegar a “un nivel verdadera y plenamente humano” (GS 53a). Es ‘el estilo de vida común’ (GS 53c) que caracteriza a los diversos pueblos, por ello habla de ‘pluralidad de culturas’ (GS 53c) y no de ‘la cultura’ (cfr. DP 386).

La cultura, entonces, como estilo y proyecto de vida de pueblos o grupos sociales, remite siempre a identidades especificas, humanamente construidas y constructoras a su vez de humanidad. No se pueden diluir en una pretendida cultura universal, impuesta por la globalización de capitales, tecnologías y comunicaciónes, sin sujeto ni corazón. La “comunidad de vida” (cfr. Carta de la tierra) necesita de las culturas para no morir y de la interculturalidad para el “buen vivir” o “Sumak kawsay”, que en Quechua significa “la

plenitud de vida en comunidad, junto con otras personas y la naturaleza”.

Culturas tejidas por “terranos”

Personalmente me gusta la tarea y la técnica del

tejer, aunque en mi mundo cultural (Aguadas) no

la pude aprender porque era cosa de mujer. No se conversaba entonces sobre relaciones de genero. El tejer, que puede ser manual o industrial, es siempre tarea delicada, artística, estética y ética. Más aún el arte de tejer relaciones vitales para la vida.

El Papa Francisco, artista de relaciones, nos propone la luz del Señor Jesús para esa misión de tejer nuevas relaciones, Sol naciente que nos viene a visitar: “por la entrañable misericordia de

nuestro Dios, (…) para iluminar a los que viven en tinieblas y en sombra de muerte, para guiar nuestros pasos por el camino de la paz” (Lc 1, 78-79).

Les propongo que tejamos las “nuevas relaciones” en la tela de cada cultura, con la guía de la maestra Consolata, que nos remite siempre a Jesús, ese Sol que está en sus brazos y en su nombre de ConSOLata. Ella, la madre de la ConSOLación, nos indica con su mano el Hijo, Sol generado en su vientre para iluminar, calentar, energizar y purificar las relaciones nuevas, en éste “hoy” planetario, que re-liga lo personal, lo social, lo ecológico y lo espiritual.

Reflexionando la teología de la ConSolación, mientras contemplamos el cuadro de la ConSolata, podemos alimentar nuestra espiritualidad misionera para seguir tejiendo las nuevas relaciones, al servicio de una vida integral digna y de calidad.

La ConSolata, un SI a las nuevas

relaciones

El mismo nombre ya nos las sugiere, pues tanto la expresión dialectal piamontesa “Consolà”, como su correspondiente italiana “Consolata”, como participio pasado, de genero femenino, del verbo latino consolor, consolar, contiene en sí misma significado pasivo, “aquella que es consolada” y activo “que consuela”. Esto por la transitividad activa, pasiva y refleja del verbo consolar y porque su sustantivo consolación indica, al mismo tiempo, el efecto de consolar y el estado de quien es consolado y de quien consuela. Se trata pues de un movimiento personal (yo consuelo y me

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consuelo) y al mismo tiempo social, recíproco, de ida (yo consuelo) y vuelta (soy consolado), de intercambio. Cum-solus, “estar con”, es exactamente la función de la consolación, ser compañía del otro en su soledad, sin dejar de acompañar la propia soledad: amar a Dios y al prójimo como a sí mismo (Mt 22,39, Lc 10,27), como lo ha hecho Jesús (cfr Jn 13,34).

María ConSolata en sus relaciones:

Con sigo misma: permanece sola, pero con, en la presencia (compañía) de sí misma, en su identidad personal y cultural de mujer judía, en honesta relación con José: “mi espíritu se alegra

en Dios mi Salvador, porque ha puesto los ojos en la humildad de su esclava. Por eso desde ahora todas las generaciones me llamaran bienaventurada (Lc 1, 47-48).

Se trata de la propria identidad identificada, que nos habilita, en autónoma libertad, para entrar en el dinamismo de la relacionalidad

Con el Otro: permanece sola, pero con, en la

presencia (compañía) del Dios de sus antepasados

(el Otro, trascendente), atenta, humilde, creyente, abierta a la vocación, dispuesta a la misión, feliz: “Te saludo, llena de gracia, el Señor

está contigo… Dichosa tu que has creído” (Lc 1,

28. 45).

Para vivir esta dimensión religiosa y espiritual de nuestra identidad relacionada, en el día a día, nos apoyamos en el Voto de Obediencia, entendido como disponibilidad para escuchar la voluntad de Dios, discernimiento personal y comunitario, con actitud de fe orante, para clarificarla, libertad para vivirla y testimoniarla.

Con los otros: permanece sola, pero con, en la presencia (compañía) de los “otros” (diferentes e iguales), pronta a salir e ir al encuentro de personas individuales que buscan generar vida en medio a las dificultades: “en aquellos días María se puso en viaje hacia montaña… entrando en la casa de... permaneció con ella cerca de tres meses...” (Lc 1, 39); de familias o grupos en fiesta: “se hicieron unas bodas en Caná de Galilea y estaba allí la madre de Jesús...” (Jn 2, 1); de personas, comunidades o pueblos martirizados, crucificados, victimas de las diferentes violencia: “estaban junto a la cruz de Jesús, su madre...” (Jn 19, 25); de comunidades de fe, atemorizadas ante los peligros de las persecuciones religiosas: “Regresaron a Jerusalén... Estaban Pedro... junto

con… María, la madre de Jesús...” (Hech

1,12-14).

Para vivir esta dimensión social de nuestra identidad relacionada, en el día a día, nos apoyamos en el Voto de Castidad, entendido como disponibilidad para salir de nosotros mismos e ir al encuentro de los otros o para dejarnos encontrar, revisión permanente de nuestra dinámica afectiva y libertad para amar, para crear fraternidad local y universal.

Con el mundo-ambiente: los cristianos han identificado a María con esa Mujer “vestida de sol, con la luna bajo sus pies y una corona de doce estrellas sobre la cabeza”, que en Ap 12 viene presentada como “signo” del pueblo de Dios que, confiado en la providencia divina, sufre y padece los dolores de parto de cada día,

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en la dura tarea de dar a luz un mundo en el cual reine el amor. Los cristianos amerindios han percibido en ella la dimensión femenina de la divinidad y la han identificado con la Pachamama, expresión aymara y quechua de la fuerza vivificante de Dios madre, que cuida de sus hijos y sufre cuando es maltratada y explotada. Así viene venerada como la Virgen del Cerro en Potosi – Bolivia, como la Morenita del Tepeyac mejicano, Virgen de Guadalupe que visitó la Patria Grande latinoamericana, con el Sol de la conSOLación en su vientre: “¿Por qué tienes miedo, acaso no estoy yo aquí que soy tu Madre?” (Nican Mopohua).

Para vivir esta dimensión económica y laboral de nuestra identidad relacionada, en el día a día, nos apoyamos en el Voto de Pobreza, entendido como “cuidado” de toda la creación, laboriosidad con los “dones” que el Padre Dios nos ofrece a través de la Madre tierra, administración trasparente de los bienes y del dinero, libertad para el uso y la solidaridad con los más pobre y necesitados.

Conclusión

María, bajo el nombre de Consolata, inspira la vida y, de manera especial, la vida consagrada para la misión de Dios entre los pueblos de la tierra. Nos ofrece elementos para vivir como testigos del Dios Trinidad, para ser “sacramento”, señal e instrumento, de las relaciones nuevas que brotan del Evangelio. Gracias María por tu testimonio inspirador.

SI de María a la relacionalidad

Mujer de Nazaret, tu nombre es María: ¡Bendita tú eres entre todas las mujeres! El Espíritu de Dios habita y obra en ti,

mujer amada, joven amable: María Consolada.

Aprendemos de ti el don de la armonía y la integridad personal

Hija de Sión, integrante activa del resto fiel Virgen preparada para la nueva creación: ¡Hágase en mí tu divina acción!

El Dios de la vida asumió tu carne: María Consolada.

Aprendemos de ti la obediencia libre para la obra de Dios

Esposa del Dios bueno y del justo José: vuestro Hijo es el Emmanuel.

Madre del discípulo amado al pie de la cruz, animadora del diaconado en la boda de Caná.

Aprendemos de ti la presencia en la vía de la cruz y en la fiesta de la humanidad

Discípula orante en el cenáculo de Jerusalén: animada por el fuego y llevada por el viento. Fuiste al mundo y viniste a América

¡Gracias por el SOL de Consolación-Liberación!

Aprendemos de ti, oh María la santidad y la misión.

(31)

CASA GENERALIZIA

P. Renzo Marcolongo, IMC

MARZO 2017

Il mese di marzo è iniziato con il mercoledì delle ceneri che ha aperto il tempo di Quaresima. In comunità e nelle varie cappellanie la cerimonia delle imposizione delle ceneri è stata vissuta con fede e come segno di conversione. In casa generalizia abbiamo voluto esprimere comunitariamente questa conversione astenendoci nei venerdì di Quaresima dal mangiare carne, frutta e bere vino. Il frutto ‘finanziario’ di questa astinenza sarà poi offerto ai bisognosi.

Abbiamo dato anche il benvenuto alla nostra comunità ai padri Safato Tamene Asaro e Minora Alberto. Il primo si impegna ad imparare un po’ di italiano per poter partecipare al prossimo capitolo generale senza bisogno di traduttori. Il secondo sta facendo un periodo sabbatico partecipando a vari corsi biblici e teologici offerti dalle varie istituzioni accademiche presenti in Roma.

Il consiglio generale è stato impegnato costantemente in riunioni, sia del consiglio stesso che di altro genere, come quelle dell’incontro dei missionari giovani operanti in Europa.

Si è svolto infatti dal 21 al 23 febbraio scorso un incontro di riflessione sulla realtà del continente europeo organizzato dal Consiglio Continentale dell’Europa. Hanno partecipato i missionari “giovani”, con meno di dieci anni di ordinazione sacerdotale, attualmente impegnati in varie

Referências

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