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[PENDING] Fugienda petimus : la Phaedra di Seneca come sistema complesso di antitesi

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Academic year: 2024

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Molte altre sono legate a questa antitesi spaziale: in primo luogo, quella che vede l’interiorità che possiamo definire radicale di Fedra si scontra con l’esternalità altrettanto radicale di Ippolito. Tutte queste antitesi sono così strutturate dalla monodia di Ippolito e dal successivo monologo di Fedra, in un complicato miscuglio che finirà per permeare il dramma e attraversarlo completamente.

Artemide e Afrodite: contrapposizioni tra le dee

Fedra tra colpa e innocenza: i tormenti di eros e la perdita dell'aidos L' aidos – di cui Fedra individua due tipologie: una non malvagia e una causa di

Lo scontro tra queste due forze sembra davvero titanico nell'animo di Fedra, così come nel suo corpo. Lo studioso legge nel comportamento di Fedra il desiderio di educare il giovane alla modestia, alla temperanza e a quei valori dai quali sembra molto lontano.

Ippolito: l'ideale del ἁγνὸς e la συνουσία con Artemide

Ippolito, infatti, afferma di vivere con la dea (usando il verbo ξύνειμι) e di poter udire le sue parole anche se non può vederla. Poi, nel momento dell'esilio, il giovane, invocando la dea, la chiama (v. 1092 ss.) φιλτάτη κόρη, σύνθακε e συγκύναγν, il più possibile, il più possibile sotto di lei, il più possibile sotto la sillaba. vicinanza con lei.

Punti di contatto

Ma anche lei è costretta a fare i conti con la dimensione più fisica del suo essere quando il suo corpo, ribellandosi a tanto abbandono, risponde provocando il dolore e la sofferenza descritti dal coro in parodo76. Fedra e Ippolito si incontrano, pur non essendosi mai visti, e si scontrano, impegnati in una battaglia tra due mondi diversi, battaglia che a volte, però, sembra svolgersi più che altro a livello divino, perché anche al di là di desideri e dettami. dal .

L'antitesi selva-palazzo

87 Numerosi sono gli studi che si sono occupati dell'importanza della retorica e della declamazione nell'età dell'argento, che spesso stabiliscono anche un collegamento con l'opera di Senecano. Nell'ambito di questa introduzione, abbiamo scelto di fare riferimento in particolare ad alcuni lavori abbastanza recenti che hanno trattato questi argomenti.

La Dispositio: strutturazione antitetica degli argomenti

All'interno di questo genere di opere, la sezione dedicata all'argumentatio occupa lo spazio più ampio. Le sententiae di questo genere furono chiamate translaticiae per la loro duttilità e capacità di adattamento.

LO SCONTRO FRA DIVINITÀ: L'ANTITESI FRA DIANA E VENERE

Cenni sul confronto con il modello euripideo e sull'utilizzo dell'elemento religioso-cultuale nelle tragedie di Seneca

La problematica religiosa, che era stata così fondamentale in Coronato - come in tante altre opere euripidee - e, con essa, la presenza stessa della divinità sulla scena, in Seneca viene completamente cancellata. 36 diceva: «l'unica divergenza [tra Euripide e Seneca] sta nell'estrazione del motivo del dramma: in Euripide esso si delinea nello scontro tra la divinità (Afrodite) e l'uomo (Ippolito), provocato da una rivalità superiore tra i celesti. (Afrodite e Artemide), in Seneca nel contrasto umano tra due concezioni della vita, nella natura antitetica di due creature mortali". Più recentemente Nuzzo 2006 ha riletto in chiave molto moderna il conflitto tra le dee all'interno di Fedra, arrivando a dire che “nell'Ippolito di Euripide due dee, Afrodite e Artemide, giocano a distanza il loro gioco eterno utilizzando i mortali. come pedine su una scacchiera crudele; in Seneca le due divinità sono assenti perché convivono in Fedra, perché combattono dentro di lei la loro eterna battaglia» Anche Petrone 2008, p.

234 fa al riguardo qualche osservazione più superficiale dicendo che «in Seneca l'elemento tragico opera in una lotta quasi tutta interna, una lotta contro le passioni piuttosto che contro le potenze divine».

Nell'ode I, 30, Orazio costruisce un inno dedicato a Venere, modellato sugli stessi personaggi dei precedenti: dopo aver fatto riferimento alla linea di discendenza e all'isola che generò la dea, il poeta menziona, anche in questo caso, l'inno luoghi favoriti e onorati dalla divinità. Anche in questa poesia, come abbiamo già osservato, ad esempio, in altre composizioni appartenenti a questo genere. Dovremo però affrontarlo più da vicino in questo capitolo, in connessione con la discussione del dibattito sulla divinità dell'amore.

Quanto alla prex finale, è presente nelle due invocazioni rivolte a Diana, ma manca del tutto nel canto che il primo coro offre a Venere, che sembra quindi presentare le caratteristiche di un ros in honorem deorum più vicino al concetto di l'inno stesso piuttosto che alla precatio155.

Impalcature antitetiche nelle invocazioni alle dee

Diversa è però la funzione dei due stasimi: il corale di Antigone è più propriamente un inno ed esaltazione, mentre quello di Ippolito è più propriamente una preghiera con spunti apotropaici. 66, sostiene invece che si tratta di un'unica preghiera pronunciata con un unico carattere, quindi sostiene che lo sia. IV e sostiene che: "L'affermazione di Fedra, iam mihi prima dea est..Delia configura, sia pur brevemente, la speciale venerazione di Fedra per Diana e potrebbe forse essere un indizio della mediazione di Ovidio tra Euripide e Seneca".

95 parla in questo contesto di “una rigorosa dialettica eidetica e concettuale tra parti dialogiche e sezioni corali all'interno della tragedia”.

L'invocatio alla divinità: Diana regina nemorum e Venere generata ponto

In particolare, vi sono una serie di versetti della preghiera a Diana (vv. 66-72) in cui questo aspetto riceve un'enfasi insolitamente forte e un'ampia gamma di ripetizioni. Possiamo infatti notare in questi versi un uso estensivo di quel lessico della silva che aveva avuto una parte così importante nel canticum del figlio di Teseo. Sono proprio quelle silvae ad essere costantemente presenti nella monodia di Ippolito, i monti (montes, montibus, vv. 406-407) e le radure (lucos, v. 409).

Il ricercatore individua la presenza di ricorsi molto simili all'interno dei cori tragici di Seneca in: Herc.

La pars epica: le silvae e le ferae di Diana e di Venere

È proprio questo elenco ad attirare la nostra attenzione, perché si pone in una posizione doppiamente antitetica, con la prima parte della monodia e con il primo ritornello. In ogni caso, il Coro sembra voler sottolineare con forza l'immensità del regno dell'Amore, che si estende a tutti gli angoli della terra e a tutti i regni176. Il coro fa un paragone quasi diretto con la monodia e quindi affronta lo stesso argomento affrontato da Ippolito, ma espande notevolmente la sfera di influenza della dea dell'amore.

Il coro si muove ancora in modo molto simile a quello di Ippolito, quando dopo aver dichiarato nei vv.

Le preces a Diana: in iura Veneris

Sia Ippolito che la nutrice si rivolgono alla dea utilizzando una forma convenzionale che presenta chiari punti di contatto. Secondo uno schema innologico canonico, entrambi i personaggi si rivolgono alla dea ed esprimono una richiesta; tuttavia, l’obiettivo che l’infermiera si prefigge è completamente opposto a quanto chiaramente espresso da Ippolito. Sembra a dir poco bizzarro che la nutrice non preghi una dea qualunque, ma la dea della castitas e della purezza, che la sua protetta ceda al potere della dea che possiede esattamente le qualità caratteristiche a lei opposte: la dea della passione e amore ardente.

Ritornando al testo della Fedra, è da notare che la strutturazione del contrasto riguardo alla divinità dell'amore si basa sul recupero, ora contrapposizione e ora analogia, di alcuni elementi chiave legati principalmente a tre aspetti notevoli: la caratterizzazione convenzionale della L'amore, i suoi attributi abituali e l'elenco delle divinità a lui subordinate.

Eros potens deus o numen falsum?

La regina, pur riconoscendo la ragionevolezza delle richieste della nutrice (quae memoras/ scio vera esse, nutrix, v. 177 s.), dichiara di non poterle soddisfare, poiché le sue mestruazioni sono già irrimediabilmente preda di furore (sed furor cogit sequi / peiora , v. 178 ss.). Dapprima paragona la sua condizione a quella di una barca in balia delle onde, e poi inizia a descrivere la vera essenza della potenza che la domina, con l'obiettivo di convincere il profondo dell'impossibilità di resistere a una forza che non è semplicemente potente, ma anche divino. Il primo elemento che Fedra vuole evidenziare è quindi proprio quello che riguarda l'essenza divina dell'Amore206, tanto da aprire il suo discorso dicendo, in relazione al potere di Cupido, che.

34; questi sono i deliri di una mente selvaggia che ha immaginato la potenza di Venere e l'arco divino").

Gli attributi di Amore

  • Apollo e Admeto
  • Gli amori di Zeus
  • Eracle ed Onfale

337, in cui il ritornello afferma che nemmeno il mare è in grado di spegnere la fiamma dell'amore e, infine, nell'ultimissimo verso pronunciato dal ritornello (359),. Seneca non lascia nulla al caso, lasciando parlare il Coro così da stabilire un collegamento con la parte iniziale del secondo atto in cui si inserisce. Sono quattro i personaggi divini di cui il coro narra gli amori: Febo, Zeus, la Luna ed infine Ercole.

In questi versi il ritornello stabilisce in un colpo solo due spazi di confronto contrastanti, giocando entrambi sull'elemento dei capelli.

ANTITESI SPAZIALI

Meccanismi di strutturazione dell'antitesi fra selva e palazzo: l'apertura e la chiusura delle porte della reggia

Per questi motivi, il fatto che le porte del palazzo vengano aperte ha due significati importanti: rappresenta il desiderio della regina di riavvicinarsi al figliastro, e soprattutto simboleggia l'imminenza della rivelazione del terribile segreto di Fedra. Ancor prima che la porta si apra e le due donne trasmettano al re la falsa verità, Teseo si ritrova, in limine ipso, davanti alla propria porta chiusa. La richiesta di Teseo di aprire le porte del palazzo è a questo punto in continuità sia con l'apertura delle porte avvenuta all'inizio del secondo atto, sia con l'azione che si svolge invece alla fine dello stesso. l'atto di riportare Fedra al palazzo.

Come quel gesto aveva lo scopo di nascondere i crimini della regina dietro le porte della città corrotta, così ora l'apertura delle porte del palazzo reale non può che essere un preludio alla rivelazione finale della colpevolezza della sposa, alla sua confessione forzata, prima . da tutto.

Silva e aula nella monodia di Ippolito e nel monologo di Fedra

Nella prima parte del prologo, Ippolito dedica i primi trenta versi all'elenco dei luoghi verso cui i cacciatori devono mirare, facendo un lungo elenco di località famose dell'Attica e accompagnando ciascuna di esse con un elemento caratteristico del mondo silvano280. Gli ultimi versi della prima parte del prologo contengono infine la descrizione delle armi che portano. Gli ultimi dieci versi del prologo riprendono poi brevemente, in ordine inverso, i restanti due temi della prima parte.

Seneca affronta anche, soprattutto nella prima parte del prologo, l'intero campo semantico relativo alla foresta, dove si ritrovano termini come: montis (v. 2).

Il discorso di Ippolito nel II atto: aula e silva a confronto

  • La silva come spazio della caccia nella monodia
  • Il primo stravolgimento ad opera dei Cori: la silva come regno di Amore e territorio di conquista
  • Lo stravolgimento finale: la silva come locus horridus e scenario della morte di Ippolito
  • Huc cecidit decor? Trasformazioni parallele: l'abbrutimento della silva e lo scempio del corpo di Ippolito

A questo elogio della bellezza di Ippolito il coro unisce poi alcune considerazioni puramente moralistiche. La terribile morte di Ippolito avviene sullo sfondo della descrizione dettagliata di un personaggio che già aveva fatto da sfondo alla vita del giovane. La bellezza di Ippolito fu ampiamente celebrata da Fedra come parte della sua dichiarazione d'amore.

Su questo paragone contraddittorio riguardo alla perdita di bellezza di Ippolito si veda Suleimano 1986, p.

Presenza e sviluppo del motivo antitetico nel confronto fra la monodia di Ippolito e il monologo di Fedra

Presenza e sviluppo del motivo antitetico nel confronto tra la monodia di Ippolito e il monologo di Fedra. Ma ciò che gioca un ruolo dominante nelle parole di Fedra non è solo il mare, bensì l'isola di Creta. Fedra sembra voler mettersi in competizione con il marito e, soprattutto, stabilire un confronto implicito tra la propria terra e il regno in cui si trova, che non riesce a sentire come la propria casa, il proprio mondo, ma che percepisce piuttosto come una prigione327.

Fedra continua quindi a credere nella superiorità dell'isola che le ha dato i natali rispetto al potente regno in cui Teseo l'ha condotta329.

Alla luce degli eventi che si svolgeranno al termine della tragica storia, queste parole della nutrice suonano come una sorta di involontaria profezia, poiché la natura ancora una volta, proprio a causa dell'amore perverso di una donna cretese, va contro i propri leggi, che fanno emergere il mostruoso dal mare. Nei ricorsi al padre, il re tende a sottolineare costantemente questo aspetto, e talvolta lo chiama genitor aquoreus (v. 942), talvolta regnator freti (v. 945) e chiede addirittura una punizione per il figlio che non cede la terra. non viene, ma dal mare:. nunc atra ventis nubila impellentibus subtexe noctem, sidera et caelum eripe, effunde pontum, vulgus aquoreum cie fluctusque ab ipso tumidus Oceano voca333. La morte proveniente dal mare si materializza dapprima – fugacemente – nella figura di un animale simile a una grande balena che inghiotte o squarcia le navi più veloci (v.

1048p); In modo molto più completo, Seneca si concentra sulle caratteristiche marine del mostro invocato da Teseo (vv sottolineando retoricamente che è proprio dal mare che arriva la fine di Ippolito (v.

NATURAM SEQUERE” E VITA CONTRO NATURA

Referências

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