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Metalinguaggio, forma e indicibile: la traduzione italiana di A Paixão segundo G.H. di Clarice Lispector

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Academic year: 2021

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la traduzione italiana di A Paixão segundo G.H. di Clarice Lispector

Ivana Librici Università degli Studi di Genova

L’insieme dell’opera di Clarice Lispector propone una serie di riflessioni sul rapporto parola/cosa e sul ruolo del linguaggio. In particolare il romanzo A Paixão segundo G.H. pone l’accento sulla frattura tra il linguaggio e la realtà, a favore di una poetica dell’indicibile. In un passaggio cruciale dell’opera, infatti l’autrice afferma:

Eu tenho à medida que designo - e este é o esplendor de se ter uma linguagem. Mas eu tenho muito mais à medida que não consigo designar. A realidade é a matéria-prima, a linguagem é o modo como vou buscá-la - e como não acho. [...] A linguagem é o meu esforço humano. Por destino tenho que ir buscar e por destino volto com as mãos vazias. Mas volto com o indizível. (Lispector: 113)

A questo proposito l’autrice ha scritto una prosa brevissima dal titolo “A pesca milagrosa”, apparsa nella raccolta Para Não Esquecer, sull’importanza dello spazio tra le parole:

Então escrever é o modo de quem tem a palavra como isca: a palavra pescando o que não é palavra. Quando essa não palavra morde a isca, alguma coisa se escreveu. Uma vez que se pescou a entrelinha, podia-se com alívio jogar a palavra fora. Mas aí cessa a analogia: a não palavra, ao morder a isca, incorporou-a. O que salva então é ler ‘distraidamente’. (Lispector 1992: 34)

Questo breve testo pone l’accento sul valore del silenzio, del vuoto ma è anche una riflessione sul metalinguaggio. La parola, unendosi a ciò che parola non è, “pesca” l’interlinea, incorporando sia l’oggetto che quel qualcos’altro che la scrittrice definisce “l’esca”, estende il proprio senso anche al territorio del metalinguaggio. L’importanza di quel senso altro che viene enfatizzato permette idealmente di “gettare via”la parola una volta che viene afferrato il vuoto e il silenzio dell’interlinea. Lo stesso concetto viene espresso in una prosa ancora più breve della stessa raccolta dal titolo “Mas já que se há de escrever...”: “Mas já que se há de escrever, que ao menos não se esmaguem com palavras as entrelinhas”. (Idem: 20)

Da queste citazioni si può già osservare come nella riflessione sul metalinguaggio venga data la precedenza all’importanza del silenzio, a favore di una poetica dell’indicibile più chiaramente espressa nel romanzo citato. Il linguaggio come sforzo umano di designare la realtà e il suo inevitabile insuccesso, che porta con sé l’indicibile, è un’idea che nello stesso testo viene accomunata al concetto di neutro. Il silenzio e il vuoto presenti nell’indicibile del linguaggio umano si possono accostare a ciò che Lispector definisce “la vita neutra”. L’intero testo è il tentativo, lo sforzo umano, di esprimere l’essenza neutra della materia vivente, personificata nell’indifferenza della blatta. Il concetto di neutro, che attraversa l’intero romanzo e oggetto di analisi di

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numerosi testi critici1, permea gran parte delle immagini, anche secondarie, a cui viene affiancata la descrizione dell’essenza silenziosa della blatta, a partire dal mistero e dal silenzio colti negli occhi fotografati della protagonista stessa, replica involontaria della natura “insossa” dello sguardo animale:

Às vezes, olhando um instantâneo tirado na praia ou numa festa, percebia com leve apreensão irônica o que aquele rosto sorridente e oscurecido me rivelava: um silêncio. Um silêncio e um destino que me escapavam, eu, fragmento hieroglífico de um império morto ou vivo. Ao olhar o retrato eu via o mistério. […]. A surspresa me tomava de leve […]; é que nos olhos sorridentes havia um silêncio que eu só vi em lagos, e como só ouvi no silêncio mesmo. (Lispector: 18)

Lo sguardo inespressivo e silenzioso esprime la vita primaria, a cui appartiene l’essere umano, e aiuta a definire la categoria clariceana del neutro, reiterata nel romanzo in una serie di immagini affini a partire dalla descrizione degli occhi dell’insetto. Questi ultimi, riflessi negli occhi di G.H. stessa, nell’immagine delle sue ovaie, nello specchio che riflette ad infinitum l’immagine del nulla, nella sfera di mercurio che si rifrange in innumerevoli sfere minori ed identiche sono medesime immagini di ciò che l’autrice definisce “il neutro” e che corrisponde allo sforzo umano del linguaggio di esprimere l’indicibile. L’accostamento degli occhi della blatta alle ovaie della protagonista è il tentativo di rendere omologhi la capacità mimetica dello sguardo o dello specchio o della fotografia (o dell’arte stessa nella sua facoltà di riprodurre una realtà) alla capacità riproduttiva del personaggio. Lo sguardo animale riflette la capacità neutra della riproduzione sessuata:

Seus olhos continuavam monotamente a me olhar, os dois ovários neutros e férteis. Neles eu reconhecia meus dois anônimos ovários neutros.

[…] E reconhecia na barata o insosso da vez em que eu estivera grávida.

[…] Durante as intermináveis horas em que andara pelas ruas resolvendo sobre o aborto, que no entanto já estava resolvido com o senhor, doutor, durante essas horas meus olhos também deviam estar insossos. Na rua eu também não passava de milhares de cílios de protozoário neutro batendo, eu já conhecia em mim mesma o olhar brilhante de uma barata que foi tomada pela cintura.

[…] O neutro era a minha raiz mais profunda e mais viva – eu olhei a barata e sabia. (Lispector 1988: 59-60)

Gli occhi neutri della blatta specchiano l’inespressività degli organi sessuali femminili e il mistero che G.H. legge nei suoi occhi fotografati2, a loro volta specchio del mondo: “Olhava de relance o rosto fotografado e, por um segundo, naquele rosto inexpressivo o mundo me olhava de volta também inespressivo” (Lispector 1988: 18).

Lo specchio stesso è uno strumento di meditazione verso il silenzio e l’infinito, così come viene espresso nella prosa breve “Os espelhos”:

O que é um espelho? Não existe a palavra espelho - só espelhos, pois um único é uma infinidade de espelhos. [...] Não são precisos muitos para se ter a mina

1

Si veda, per citare un esempio italiano, il saggio di Ettore Finazzi Agrò, Apocalypsis H.G., in cui lo studioso affianca il concetto di neutro clariceano alla categoria di Blanchot.

2

Il riferimento alla fotografia ricorda il pensiero espresso da Roland Barthes secondo cui il mistero dell’immagine riprodotta consiste nel “ripetersi infinite volte di ciò che ha avuto luogo una sola volta” (Barthes: 6)

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faiscante e sonambúlica: bastam dois, e um reflete o reflexo do que o outro refletiu, num tremor que se transmite em mensagem intensa e insistente, ad infinitum [...]. Como a bola de cristal dos videntes, ele me arrasta para o vazio que no vidente é o seu campo de meditação, e em mim o campo de silêncios e silêncios. - Esse vazio cristalizado que tem dentro de si espaço para se ir para sempre em frente sem parar: pois espelho é o espaço mais fundo que existe. (Lispector 1992 : 7)

Le immagini assimilabili al concetto di neutro che si sono cercate di delineare, come lo specchio, l’occhio o le ovaie sono elementi privilegiati della poetica clariceana e vanno interpretati come la forma più compiuta del metalinguaggio dell’autrice qui teso ad esprimere l’indicibile. In effetti, Olga de Sá indica, alla fine del suo saggio A

escritura de Clarice Lispector, come contributo innovatore dell’opera dell’autrice nelle

lettere brasiliane, l’aver reso la lingua portoghese più flessibile e più sensibile alla metafisica attraverso la finzione. In particolare il pensiero clariceano, secondo la critica, presenterebbe una metafisica sotto forma di geroglifici3. Olga de Sá propone di interpretare la blatta come un’icona, alla maniera dei pittogrammi e ideogrammi orientali, così come gli altri oggetti e animali che popolano l’universo letterario della scrittrice, in modo da leggere la sua opera per osmosi, abbandonando la lettura dei significati e diventando lettori di icone. Nel romanzo Perto do Coração Selvagem si imporrebbero due icone: la vipera e il cavallo, nelle quali dobbiamo leggere la vita che si afferma attraverso la malvagità e la libertà. Nel secondo romanzo, O Lustre, la grande icona è il ragno incandescente, il lampadario del titolo. Un’altre icona è la mela di A

Maçã no Escuro e di Uma Aprendizagem ou O Livro dos Prazeres. Tra i vari elementi

elencati la critica ne indica due che assurgerebbero a icone che meglio rappresentano il movimento tormentato della scrittrice tra il linguaggio e la vita: lo specchio e l’uovo. Lo specchio è visto come icona e metafora metonimizzata dell’atto di scrivere, non per la sua capacità di riflettere il mondo, ma in quanto profondità vuota nel momento in cui viene immaginato di fronte al nulla o di fronte al riflesso di un altro specchio. La critica coglie in questa immagine clariceana non tanto la natura mimetica dello specchio, ma piuttosto la successione di spazi sdoppiati che esso crea nel momento in cui si riesce a ottenere che non rifletta nessun oggetto. Lo specchio è profondità vuota, trasparenza pura, successione di spazi che si moltiplicano in direzione del vuoto, del neutro, dell’inespressivo; del silenzio della scrittura. Ed è proprio questo ciò a cui tende la scrittura di Clarice Lispector e per questa ragione Olga de Sá indica nello specchio la grande metafora e la grande icona della sua opera; esso diventa un oggetto sostitutivo della scrittura dell’indicibile, dell’interlinea, del non detto. (de Sá : 334-338)4

Il neutro, il vuoto, l’indicibile sono legati al mistero del neutro e dell’inespressivo che G.H. riconosce nei propri occhi fotografati. Un mistero analogo a quello della creazione della vita e della scrittura. Infatti lo specchio è omologo dell’occhio (superficie che riflette le immagini reali e potenziali) mentre l’uovo è omologo delle ovaie (oggetto e organo di riproduzione ed emblema del mistero della nascita della vita). Il concetto di neutro si esemplifica anche nel mercurio, un’altra icona del mistero della vita e della morte a causa della sua capacità di unirsi, sdoppiarsi e rifrarsi in innumerevoli altre gocce, senza che nessuna di esse perda la sua natura di nucleo

3

Non a caso il personaggio di G.H. si definisce come “un frammento di geroglifico” quando accenna alla propria immagine fotografata.

4

In particolare è da me ripreso il concetto di neutro e di indicibile a cui la critica lega l'icona dello specchio, accennato nella nota 7 a p. 345.

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integro e irriducibile. Ad esso sono dedicati alcuni testi brevi raccolti nelle cronache da cui è tratto il seguente passaggio :

(o mercúrio) não se pode pegar: no momento em que eu penso que o peguei ele se estilhaça mudo nos meus dedos como mudos fogos de artifícios, como o que dizem que nos acontece depois da morte - o espírito vivo se espalha em energia solta, pelo ar, pelo cosmo. Que impossibilidade de capturar a gota sensível. Ela simplesmente não deixa e guarda a sua integridade, mesmo quando repartida em inúmeras bolinhas esparsas: mas cada bolinha é um ser à parte, íntegro, separado (Lispector 1999 : 424)

Il mistero, l’indicibile, la vita, il doppio trovano un’icona perfetta nel mercurio che rappresenta quel “nucleo irradiante” simbolo del mistero della vita neutra, concetto centrale nell’opera dell’autrice brasiliana, la cui scrittura è il tentativo di mettere in parole quel nucleo impalpabile. Al mercurio viene fatto accenno anche nel romanzo A

Paixão segundo G.H., riconoscendo nella sua tendenza ad unirsi un’espressione della

“carenza” degli esseri viventi:

Como eu, não terás medo de agregar-te à extrema doçura enérgica do Deus. Solidão é ter apenas o destino humano.

(...) Ah, precisar não isola a pessoa, a coisa precisa da coisa: basta ver o pinto andando para ver que seu destino será aquilo que a carência fizer dele, seu destino é juntar-se como gotas de mercúrio a outras gotas de mercúrio, mesmo que, como cada gota de mercúrio, ele tenha em si próprio uma existência toda completa e redonda. (Lispector 1988 : 109)

L’interesse mostrato nella crônica citata e nel romanzo A Paixão segundo G.H. per il mercurio, rivela, per lo meno a livello intuitivo, un’attrazione verso l’universo magico dell’alchimia. Non a caso G.H. riconosce che il suo cammino mistico è analogo ad una trasformazione alchemica: “ sta per prodursi in me un’alchimia profonda, ed è stato appunto nel fuoco dell’inferno che si è forgiata”. (Lispector 1988 : 94) Il mercurio, l’unico metallo allo stato liquido, è infatti un elemento alchemico. Si tratta di una delle tre sostanze di cui è fatto il mondo secondo il pensiero ermetico, accanto allo zolfo e al sale. Corrisponde alla Luna, e in effetti Clarice Lispector lo definisce “materia lunare”, è femminile, passivo, freddo e di essenza dualista; caratteristiche che spiegano il motivo dell’attrazione da parte dell’autrice per questa sostanza che, accanto all’essenza animale, compendia la sua poetica. L’acquisizione del mercurio da parte dell’adepto nell’opera alchemica è legata all’acquisizione della grazia tramite il Fuoco, ma significa la scoperta della sostanza stessa della vita, quel “nucleo irriducibile e irradiante”, fluido e aereo, che nutre ogni cosa, coordina, suscita. Si tratta di una forza cosmica che informa l’alchimista e la sua opera.

Secondo Bachelard il mercurio si trova all’interno di un processo di trasformazione i cui elementi di passaggio sono tutti importanti presenze nel mondo poetico di Clarice Lispector:

ventre → sein → utérus → eau → mercure →

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assimilation → humidité

Il presente schema si trova nel testo di Bachelard dedicato alla rêverie della terra e del riposo (Bachelard : 82) e pare avere forti corrispondenze con la poetica clariceana. I primi tre elementi sono legati al corpo femminile e alla simbologia della terra-madre in quanto, paradossalmente, la presenza assidua del neutro nelle opere di Clarice è fortemente declinata al femminile. Si è visto come la vita della blatta, animale femmina, sia neutra, così come neutra è la pasta bianca che fuoriesce dal suo corpo e il latte della madre a cui viene accostata la materia dell’animale. Nel romanzo, infatti, troviamo una definizione del neutro a cui appartiene il latte materno: “E il latte materno, che è umano, il latte materno è molto prima dell’umano, e non ha sapore, non è nulla, già ho avuto modo di provarlo - è come l’occhio scolpito di una statua che è vuoto e non ha espressione, perché quando l’arte è bella tocca l’inespressivo” (Lispector 1988 : 92). L’accenno all’occhio della statua conferma quanto detto precedentemente a proposito della categoria clariceana del neutro come sguardo inespressivo sul mondo. Il personaggio di G.H., in quanto scultrice, elegge espressamente questa forma d’arte come sguardo sulla realtà affiancandola però alla scrittura in quanto decide di narrare il suo percorso mistico sotto forma di dialogo. La scrittura, più che la scultura, diviene dunque il mezzo più adeguato a cogliere l’indicibile dell’esperienza mistica. Possiamo quindi considerare la materia della blatta assimilata dalla protagonista come l’icona del linguaggio.

Vi è tuttavia un altro aspetto da sottolineare a questo proposito, ossia l’accento posto dall’autrice sullo sforzo da parte umana nel produrre un metalinguaggio in grado di esprimere il neutro e l’indicibile. Lo sforzo linguistico è la forma in cui si traduce la penosa ed abbietta difficoltà dell’esperienza mistica di G.H. e trova la propria espressione nella ricerca linguistica del romanzo. Telma Maria Vieira, in un suo saggio sul metalinguaggio di Clarice Lispector, sottolinea la crucialità del linguaggio nel persorso mistico di G.H. :

O longo percurso desenvolvido por G.H., da experiência a desistência de narrar, tem como base a linguagem. A consciência de que a linguagem dá ao homem sua caracterização humana faz com que G.H. desista de narrar sua experiência que, no seu entender, ultrapassou o nível da linguagem. Porém acaba por narrá-la.

A narrativa é construída pelas reflexões a respeito do narrar. Desse modo, a personagem principal, G.H., em alguns momentos, tem seus conflitos superados por questões próprias do narrar.

Enquanto personagem-narradora, G.H. incorpora ao texto a problemática que há em desenvolver una narrativa utilizando a linguagem. (Vieira : 70)

La problematica a cui accenna la critica brasiliana si riflette in una forma che eccede quella che viene considerata una scrittura canonica. Nel romanzo non sono rari i neologismi né un uso volutamente scorretto delle forme grammaticali e sintattiche. E’ opportuno notare a questo proposito che la traduzione italiana del romanzo eseguita da Adelina Aletti, sebbene si debba considerare una buona ed accurata traduzione, tenda a non tener conto di questo aspetto e dunque, di conseguenza, a normalizzare il registro linguistico. Ad esempio, nel romanzo A Paixão segundo G.H. l’autrice usa il termine

sentimentalização che non esiste in portoghese e che lei intende come la capacità di

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traduzione “sentimentalismo”, un termine che ha il proprio equivalente in portoghese e che l’autrice non usa, preferendo inventarne uno nuovo. Anche l’aggettivo

sentimentizada è un neologismo che viene tradotto con “sentimentalizzata”.

Infine il romanzo termina con un’espressione verbale insolita: a vida se me é. La traduzione italiana viene parzialmente normalizzata, “la vita mi è”, eliminando la forma riflessiva del verbo che suona insolita sia in italiano che in portoghese. In generale la traduzione del romanzo, sebbene molto accurata, tende a normalizzare in un italiano standard le forme e i termini “scorretti”. Viene operata una sorta di correzione che rende la versione italiana più aulica e meno cruda dell’originale. La ricerca, da parte dell’autrice, di termini e forme grammaticali e sintattiche scorrette riflette l’incapacità umana a dire l’indicibile dell’esperienza mistica, un’idea fondamentale nel romanzo.

Tornando al passaggio testuale sulla descrizione degli occhi fotografati di G.H. da cui siamo partiti in questa analisi sul metalinguaggio, la forma e l’indicibile nel romanzo clariceano, si trova, nel paragrafo successivo, il tentativo di stabilire il tono dell’esperienza mistica ricercata :

Só meus retratos é que fotografavam um abismo? um abismo. Um abismo de nada: Só essa coisa grande e vazia: um abismo.

Ajo como o que se chama de pessoa realizada. Ter feito escultura durante um tempo indeterminado e intermitente também me dava um passado e um presente que fazia com que os outros me situassem [...].

Talvez tenha sido esse tom de pré-climax o que eu via na sorridente fotografia mal-assombrada de um rosto cuja palavra é um silêncio inexpressivo, todos os retratos de pessoas são retratos de Mona Lisa. (Lispector 1988 : 19)

La traduzione italiana di questo passaggio conferma il tentativo da parte della traduttrice di evitare le espressioni insolite sparse nel testo :

Erano quindi le mie fotografie che fotografavano un abisso? un abisso. Un abisso di nulla. Solamente quella cosa grande e vuota: un abisso. Mi comporto come si suol dire da persona realizzata. Anche l’aver fatto scultura per un periodo determinato e discontinuo mi dava un passato e un presente che facevano sì che gli altri mi ubicassero [...]. E’ forse stato proprio quel tono di tensione ciò che io vedevo nella fotografia sorridente e sfocata di un volto la cui parola è un silenzio inespressivo, ma, d’altronde, ogni ritratto è un ritratto di Monna Lisa. (Lispector 1982 : 20)

Il termine tensione, a mio parere, è fuorviante rispetto a “pre-climax”, che lascerei invariato. Questo passaggio è importante perché descrive il tono di uno stadio che si trova immediatamente prima del climax: è il tono che caratterizza il percorso di G.H. prima dell’assimilazione della blatta, nonché il tono del romanzo. Il termine tradotto con “tensione” è un ulteriore tentativo di normalizzazione del registro linguistico, e dunque anche del tono dell’opera.

Il linguaggio del romanzo, con i suoi neologismi e le sue eccedenze grammaticali e sintattiche risulta parte integrante del percorso espresso e il tentativo di normalizzazione operato nella traduzione svia il lettore verso una percezione aulica e letteraria dell’universo della finzione clariceana, facendo della lingua un mero supporto della narrazione. Al contrario quest’ultima presenta una travagliata riflessione metalinguistica sul rapporto parola-cosa e sulla complessa relazione tra le parti della finzione, tra autore, lettore, narratore, personaggi e testo stesso. La traduzione proposta

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da Adelina Aletti opera una parziale normalizzazione linguistica in modo da rendere meno straniante la lettura al pubblico italiano e cercando una sorta di equilibrio tra l’innovativo linguaggio dell’originale e una standardizzazione del registro. Se questa scelta porta con sé l’indubbio vantaggio di rendere più fruibile l’opera e al contempo di non “tradirne” eccessivamente il tono, tuttavia toglie al testo una delle sue più importanti, sebbene meno evidenti, funzioni.

Bibliografia

Bachelard, Gaston, 1994, La terra e il riposo. Le immagini dell’intimità, Red Edizioni. De Sá, Olga, 1979, A Escritura de Clarice Lispector, Petrópolis, Editora Vozes. Finazzi Agrò, Ettore, 1984, Apocalypsis H.G., Roma, Bulzoni.

Lispector, Clarice, 1982, La Passione secondo G.H., trad. Adelina Aletti, Torino, La Rosa. Lispector, Clarice, A Paixão segundo G.H. [1964], 1988, Edição Crítica, Coleção Arquivos,

Florianópolis, Editora da UFSC.

Lispector, Clarice, Para Não Esquecer [1978], 1992, São Paulo, Editora Siciliano. Lispector, Clarice, A Descoberta do Mundo [1984], 1999, Rio de Janeiro, Rocco.

Referências

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