Letteratura dell’Italia unita (1861-1968) di Gianfranco Contini:
un’antologia tra canone e innovazione, di Alfredo Luzi
Literatura Italiana Traduzida ISSN 2675-4363 ALFREDO LUZIGIANFRANCO CONTINIRESENHA em agosto 14, 2020
Unità d'Italia - Stefania Piras
I mutamenti del canone novecentesco in Italia sono stati spesso scanditi, più che dalle storie
letterarie o dagli interventi critici, dalle antologie che, per la loro configurazione di
“bilancio-campionario” attraverso una periodizzazione più o meno vasta, presuppongono due
parametri operativi: il riferimento ad un modello canonico da confermare o contestare e
l’applicazione del giudizio di valore o di opzione stilistica che presiede agli inserimenti o alle
omissioni di certi autori nel corpus antologico.
Nell’aprile del 1968, nella fase più acuta della contestazione studentesca in Europa, che
denunciava fra l’altro il distacco tra insegnamento della letteratura e società (a cui due anni dopo
cercava di ovviare il volume collettaneo Le littéraire et le social: éléments pour une sociologie de la littérature, curato da Robert Escarpit) [1], Gianfranco Contini pubblica da Sansoni una antologia Letteratura dell’Italia unita (1861-1968), espressamente “progettata per gli studenti dell’ultimo
corso delle scuole secondarie, senza escludere altri lettori, di cultura sempre non specialistica”[2].
Il dichiarato intento pedagogico-scolastico trova la sua motivazione nell’offrire un quadro di
insieme, amplificando il concetto di cultura, dell’ unificazione politica dell’Italia, e del suo lento
Il riferimento socio-culturale al centenario dell’unità d’Italia è esplicitato ad apertura della Avvertenza:
La formazione dell’unità statale non è qui presa, nonché per la storia letteraria e culturale,
ma neppure per la storia civile e politica, né come uni inizio assoluto né come una soluzione
di continuità: quello dell’Italia unita è a tutti gli effetti solo un capitolo, non forse dei più
fulgidi, ma nemmeno da sottovalutare, nella storia della società italiana.[3]
Peraltro la dilatazione cronologica di sette anni può assumere il 1968 come termine ad quem
di un processo avviato dal riconoscimento della autoctoritas manzoniana e leopardiana in fase
post-risorgimentale e, sul piano teoretico,caratterizzato da una persistente fede nella autonomia del
letterario, messa in crisi dalle “cosiddette “industrie culturali” e “società del benessere”[4].
Il bilancio di un secolo della letteratura italiana, da Pascoli a Montale, dal futurismo
all’ermetismo, è inserito in un contesto di progressiva internazionalizzazione attraverso note su
movimenti di pensiero italiani e stranieri, mentre i singoli profili degli autori costituiscono sequenze
di una storia letteraria documentata sui testi selezionati.
La complessa dinamica sincronia/diacronia che costituisce la binarietà epistemologica del
canone letterario è ben presente nell’illustrazione del metodo da parte dell’antologista.
Nell’Avvertenza una isotopia enucleata su lemmi come “bilancio, campionario, crestomazia,
monografie, storicizzazione, storiografia” si incrocia, senza confliggere, con quella impostata su
“commento elementare”[5], “valutazione critica del compilatore”[6], “revisione del paesaggio
delineato”[7], “analisi cronologica e topografica dei dati linguistici”[8].
Contini, forse consapevole della maggiore tenuta formale e stilistica della poesia rispetto alla
narrativa, recupera, per giustificare alcune omissioni in quest’ambito, addirittura la valenza euristica
della bergsoniana “durata”, fino alla esplicita dichiarazione di apertura ermeneutica: “a interpretare
ci sarà sempre tempo”[9].
Ma l’attenzione ai caratteri formali e stilistici e al plurilinguismo non deve indurre,
ammonisce l’autore, a considerare l’antologia come “una raccolta di bello scrivere o, a livello
d’un’altra retorica, una collezione di schegge o frammenti di poesia”[10].
Contrario all’estetismo dell’“arte per l’arte” e all’individualistica opposizione crociana
poesia/non poesia, egli si attiene alla concezione desanctisiana della letteratura come “ideale storia
Significativamente l’antologia si apre con una intera sezione dedicata unicamente a Francesco De Sanctis, di cui si sottolinea l’impegno civile e politico e di magistero didattico unito all’attività di critico militante e di potenziale filologo.
E che De Sanctis sia uno dei punti di riferimento dell’impostazione continiana della
antologia è confermato dal fatto che al critico napoletano sono dedicate 55 pagine con l’inserimento
di tre brani, uno sulla scuola del Puoti, uno su L’uomo del Guicciardini, e un terzo sui Promessi
Sposi, tutti venati di forte valenza etico-civile.
L’altro modello di metodo è Graziadio Isaia Ascoli, il padre della dialettologia, a cui Contini riconosce “qualità di stile, tali da meritargli l’ascrizione al canone della storia letteraria” [12] e il
ruolo di “storico della lingua nazionale e precisamente difensore della sua storicità”[13].
Grande spazio nella prospettiva di monumento canonico di poeta civile, insieme alle altre due
corone, Pascoli e d’Annunzio, è offerto a Giosue Carducci (poco meno di 50 pagine), di cui però si
evidenzia un aspetto che nel corso dell’antologia assumerà i caratteri di una costante tematica a cui
Contini farà spesso ricorso per motivare le sue scelte: l’autobiografia.
Alcuni studiosi, in particolare Carlo De Matteis[14], hanno
individuato nella marcata morsura etico- civile di alcune pagine
dellaLetteratura dell’Italia unita la presenza di una sotterranea vena
esistenziale alimentata dalla partecipazione di Contini alla lotta
politica del suo tempo, dalla sua presenza nella Repubblica
dell’Ossola, dalla adesione al Partito d’Azione e dall’impegno
diretto presso il CNL.
Strutturalmente l’antologia presenta una costruzione eclettica sia sul piano della selezione degli autori sia sul piano della classificazione delle sezioni.
Paragrafi interamente monografici (De Sanctis, Carducci, Pascoli,
d’Annunzio, Croce), quasi a conferma che il canone della letteratura
italiana moderna e contemporanea affonda le sue radici ed ha una sua continuità nei monumenti
della fine ottocento e del primo novecento, si alternano a classificazioni basate su movimenti e ismi
ormai codificati ed omologati dalla critica (Giovanni Verga e il naturalismo, scapigliati,
crepuscolari, futurismo e vociani, rondisti, aura poetica e solariani, ermetici, neorealisti) o su
parametri genericamente storiografico-cronologici (i poeti del Novecento, narratori e drammaturghi
dialettali del Novecento), fino a accorpamenti occasionati da una procedura di tipo residuale (altri prosatori, altri autori di prosa scientifica, critici, politici).
Sono passati 45 anni dalla pubblicazione della Letteratura e l’antologia continiana è
divenuta essa stessa un monumento canonico ma certo nella definizione dei valori e nelle dinamiche
delle riletture il canone letterario italiano del 20° e 21° secolo a cui facciamo oggi riferimento, pur
nella sua variabilità autoriale e di gusto, ha subito notevoli mutamenti.Basta entrare nelle stanze
dell’edificio costruito da Contini per rendersene conto.
Sul piano didattico Contini aveva probabilmente ben presenti le indicazioni fornite dal
DPR122 del 1961 che apportava, dopo quarant’anni dalla riforma Gentile, in cui erano compresi
autori ancora viventi o morti da poco, modifiche radicali ai programmi ministeriali per
l’insegnamento letterario, suggerendo un metodo scolastico basato sul
sincronismo, in via di massima, della trattazione della storia letteraria e della storia politica e
civile, e reciproca integrazione dei due insegnamenti, alo scopo di ottenere una maggior
organicità di cultura e una visione più unitaria e più vasta dello svolgimento della civiltà.[15]
In questa prospettiva la valorizzazione novecentesca della poesia di Pascoli come “discesa
della percezione sotto la soglia della coscienza comune[16] attraverso il plurilinguismo, e la
rivalutazione storiografica di d’Annunzio [17] verso la cui produzione, segnata dalla “autocoscienza
narrativa”, “i procedimenti selettivi sembrano i meno appropriati” [18], sono funzionali ad una
revisione del canone letterario il cui ampiamento è affidato all’innesto di testi saggistici su
tematiche politiche, scientifiche, artistiche, esemplari di una scrittura in equilibrio tra stile e
conoscenza.Nell’antologia sono presenti autori come Einaudi, Salvemini, Gramsci, Gobetti, Longhi.
Nel contempo la pratica di critica militante orientata sulla dignità formale della pagina è
confermata dalla presenza di scrittori non del tutto omologati dal canone letterario allora dominante
come Ascoli, Padula, Betteloni, Santucci, Ciotti, Guerra, Pierro, Pizzuto e critici come De Lollis,
Petrini, Gargiulo.
Innovativo è anche l’ingresso dei dialettali nel canone novecentesco, motivato dalla
constatazione da parte di Contini che siano “cadute in diritto e in fatto le barriere fra lingua e
dialetto, e in generale fra tono e tono linguistico”. [19]E tuttavia alcune scelte e collocazioni
A parte opzioni che sanno di snobismo letterario ma che comunque possono essere
apprezzate come affermazioni della soggettività del “gusto” (Riccardi di Lantosca, Barilli, Lisi,
Santucci, Pea, De Libero, Giotti ) non sembra oggi condivisibile l’inserimento di Borgese nella
sezione dei crepuscolari, motivato dalla antologizzazione del brano critico che ha dato il nome al
movimento, così come resta priva di ragioni critiche la classificazione di «aura poetica» accanto al
gruppo dei «solariani», ripresa poi occasionalmente come giudizio stilistico per Agostino di
Moravia.
Né si intravvedono i punti di contatto, a livello di teorie letterarie e di ideologie, che possano
giustificare il titolo di una sezione come Futurismo e «vociani». Riduttiva sul piano critico risulta
anche la sezione La narrativa toscana, la cui selezione di autori è ristretta in una spazialità
regionale.
Già altri studiosi hanno osservato che, se Contini ha avuto il merito di valorizzare le novità
stilistico-espressive della poesia del primo Novecento, per quanto riguarda il periodo successivo
egli colloca accanto a quella di Ungaretti e Montale la poesia di Saba, la cui ricezione oggi risulta
molto differenziata. Sottovalutati sono anche Quasimodo e Calvino di cui viene inserito un solo
testo dal Sentiero dei nidi di ragno, sebbene l’antologia venga compilata e pubblicata in anni
successivi alla trilogia dei Nostri antenati e alle Cosmicomiche.
Se, nelle sue unità discrete: commento, selezione, note ( uso il termine nella sua accezione
matematica), l’antologia della Letteratura dell’Italia unita presenta un sapiente ed equilibrato
utilizzo di una visione binaria tra telescopio e microscopio, sul piano strutturale la focalizzazione
storiografica è affetta da una sorta di strabismo ( Ilaria Crotti [20]ha individuato nella prospettiva
metodologica di Contini una attitudine alla diplopia ) per cui il bachtiniano “ viso rivolto al
passato” dell’ Angelus Novus favorisce il riconoscimento e una soggettiva, anche se autoriale e
autorevole, revisione della tradizione, proponendo un’idea di storia letteraria come cantiere di lavori
in corso, mentre non riesce ad offrire un’ampia messa a fuoco della modernità e della processo
canonico della contemporaneità.
E’ indubbiamente da riconoscere a Contini l’originalità euristica, in termini di metodo e di
valutazione, di quelle che oggi chiamamo la “funzione Gadda” e la “funzione Longhi” [21] (la
riscoperta di Pizzuto e di Pierro non sembra avere la stessa efficacia critica ), ma, nella prospettiva
della ricezione della contemporaneità e del suo stratificarsi in canone storiografico, le
“dis-attenzioni”, come le chiama Ilaria Crotti, sono davvero molte e di notevole valenza critica. Si può essere d’accordo con Angelo Pupino quando scrive che
le presunte torsioni dell’Italia unita sono connaturate al genere. […] Ogni antologia
(antho-logia, “scelta di fiori”) implica un scelta, e ogni scelta avviene tra potenzialità
diverse, tra le quali alcune trapassano all’atto, e altre no.[22]
Ma se, per dirla con Eco, facciamo qualche “passeggiata” nel fitto bosco della antologia
costituito sul modello crociano da 100 autori, non possiamo non constatare, se non un disaccordo
sulla selezione, certo una distanza percettiva del canone della modernità, registrata sull’assenza di
autori che, nella variare del valore letterario e delle scelte formali, oggi hanno ottenuto dalla critica
e dai lettori un riconoscimento di quella che Luperini chiama “memorabilità oggettiva”, primo
passo verso la omologazione canonica. Mi limito ad un breve elenco.
Nella narrativa non c’è traccia di Buzzati, Brancati, Bernari, Bontempelli, Bassani, De
Roberto, Deledda, La Capria, Primo Levi, Morante, Ortese, Rea, Sciascia, Volponi.
Nella poesia del Novecento ci sono vuoti, che lasciano insoddisfatto e talvolta interdetto il
lettore di oggi, pur nella libertà delle opzioni di gusto: Bigongiari, Bertolucci, Caproni, Fortini,
Penna, Parronchi. Rosselli, Zanzotto, l’intero gruppo ’63.
Nelle schede dedicate agli autori è invece possibile individuare l’adozione di categorie
critiche, tematiche e stilistiche, che, nel loro utilizzo ripetuto per commentare la produzione di
scrittori molto diversi tra loro, costituiscono una sorta di griglia ermeneutica unitaria.
Il punto di partenza è sempre la dinamica tra contenuto e forma, derivata da De Sanctis e Croce e riveduta e corretta alla luce delle suggestioni spitzeriane e auerbachiane.
Una prima invariante è quella della dimensione autobiografica, rilevata da Contini nel 20 %
degli autori antologizzati, modulata in varie tonalità, dall’ “autobiografismo” di Svevo,da quello
“trascendentale” di Jahier e dei vociani, a quello “esclusivamente morale” di Bacchelli, fino all’
“autoritratto intimo” di Cardarelli e ai “versi autobiografici” di Saba, alla “presenza autobiografica”
di Landolfi, alla “storia autobiografica” di Tozzi, alla “evidente proiezione dell’autore “ in Tomasi
di Lampedusa o, nella critica, alla “occasione autobiografica” dei saggi di Bo.
Un’altra linea, di più marcata impronta etico-stilistica, è tracciata dalla categoria
dell’“espressionismo”, mutuata per via pittorica, e attribuita per la prima volta nell’antologia al
”gusto espressionistico” dei dipinti di Carlo Levi.
Così Pirandello è associato “all’opera caricaturale dell’espressionismo europeo”, l’opera della
espressionistica in senso proprio” mentre la narrativa di Tozzi presenta un “espressionismo […] da ragguagliare, sia pur solo per metafora, a quelle pittoriche o filmiche degli espressionisti tedeschi”.
Su quest’asse psicologico-linguistico si esplica la “funzione Gadda”, la cui produzione viene
paragonata a quella di Teofilo Folengo per il passato e di James Joyce per il presente, “suoi colleghi
(scrive Contini) di alta statura nel tipo formale che si potrebbe definire di manierismo
espressionistico”.
In posizione oppositiva, ma con minor frequenza e con ridotta ampiezza si intravvede la
linea dell’”impressionismo”, così come alla attenzione al realismo corrisponde l’ipotesi di un
“surrealismo” italiano rappresentato da De Libero, Gatto e, forse l’interpretazione può sorprendere,
dai romanzi di Moravia.
Ma anche la “funzione Longhi” ha in qualche modo condizionato le scelte interpretative di
Contini.
Nella sezione La narrativa toscana , ad esempio, affiora la categoria del “primitivo”, mutuata
dalla storia dell’arte e in particolare dagli studi di Toesca, maestro di Longhi, e da quelli dello stesso Longhi.
L’elemento aggregante che motiva l’accorpamento e unisce scrittori come Tozzi, Lisi, Tobino,
viene individuato appunto nel loro stile “primitivo”.
Bisogna riconoscere a Contini il merito di aver in qualche modo aperto e dinamizzato, con
l’inserimento di elementi in apparenza “altri”, l’idea di canone, proponendo, come scrive Ilaria
Crotti, “una concezione del campo del letterario quale spazio plurivocale e plurimodale”.[23]
Peraltro, due anni prima della pubblicazione della antologia, per via non linguistica ma
sociologica, Bourdieu aveva già individuato, ( nel saggio Champ intellectuel et projet créateur in
«Les temps modernes», n. 246, novembre 1966, pp. 865-906), le linee sistemiche di forza che si
intrecciano tra letteratura e società, tra produzione letteraria e potere politico.
Oggi, tuttavia, tra il lettore odierno e la scrittura continiana, “una distanza ci divide”, prendendo in prestito il verso montaliano.
Lo stile del grande critico, fatto di crasi logico-concettuali, di citazioni colte, di connotazioni la
cui carica allusiva ci risulta oscura, si presenta con una patina certo raffinata ma certo opacizzante
del filo conduttore pensiero-espressione, il segno di una έποχή che attribuisce alla Letteratura
dell’Italia unita il ruolo di un monumento canonico, ma di scarsa efficacia per aiutarci a storicizzare il nostro passato prossimo letterario.
Como citar: LUZI, Alfredo. "Letteratura dell’Italia unita (1861-1968) di Gianfranco Contini:
un’antologia tra canone e innovazione". In Literatura Italiana Taduzida, v. 1, n. 8, ago. 2020.