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Breve dialogo con Maurizio Cucchi su il male è nelle cose Autor(es):

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Academic year: 2022

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Breve dialogo con Maurizio Cucchi su il male è nelle cose Autor(es): Miraglia, Gianluca

Publicado por: Imprensa da Universidade de Coimbra URL

persistente: URI:http://hdl.handle.net/10316.2/42667 Accessed : 30-Oct-2022 01:24:33

digitalis.uc.pt impactum.uc.pt

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Estudos

Italianos em Portugal

Instituto

Italiano

de Cultura

de Lisboa

Nova Série

Nº2

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BReVe DIALOGO cOn MAURIzIO cUccHI sU IL MALE È NELLE COSE

Maurizio Cucchi, nato a Milano nel 1945, si è affermato come una delle voci più interessanti della poesia italiana degli ultimi decenni del XX secolo sin dal libro d’esordio Il disperso (1976), a cui hanno fatto seguito 8 raccolte di versi. Nel 2005 è uscito il suo primo romanzo, il male è nelle cose. Con Stefano Giovanardi, ha curato l’antologia Poeti italiani del secondo novecento (1994, nuova edizione 2004). Ha collaborato in vari giornali e riviste, e attualmente tiene una rubrica, Dialogo in versi, sul quotidiano La stampa. Il 10 maggio del 2007, nell’ambito del ciclo encontros com a Poesia, promosso dall’Istituto Italiano di Cultura in collaborazione con il programma Lisboa cidade do Livro, ha tenuto una conferenza sulla poesia italiana del secondo Novecento presso la casa Fernando Pessoa.

In ogni libro stampato vi sono degli elementi materiali, il cui insieme definiamo bibliographical code, che possono influire sulla lettura e interpretazione del testo che esso veicola. L’autoritratto con garofano di Otto Dix, nella sovraccoperta del suo libro, ha profondamente con- dizionato la mia lettura del romanzo, perché l’immagine pittorica si è sin dall’inizio imposta come unica ed esclusiva rappresentazione mentale del protagonista. La scelta del dipinto è avvenuta a romanzo concluso o ha avuto un qualque peso nella sua stesura.

L’immagine di copertina è una scelta mia, fatta dopo vari ten- tativi infruttuosi. Avevo anche trovato un bellissimo quadro di

est.Ital.Port., n.s., 2, 2007: 489-492

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Freud, ma non si poteva usare. Poi mi è capitata questa, da un libro di autoritratti, e l’ho trovata adattissima. Mi pare che lo sia. In ogni caso non mi era mai capitato di occuparmi di mie copertine, anche perché in Mondadori c’è gente che se la cava molto meglio di me…

comunque, le copertine non sono che una veste, un accidente che può essere utile, ma che rimane esterno e in parte estraneo al libro.

La prosa sempre molto sorvegliata, l’uso della terza persona, il tono distanziato quasi impassibile del narratore, oserei dire alla Flaubert o alla Maupassant, raccontano una storia che la penna di un altro scrit- tore avrebbe forse trasformato in un’ennesima variazione del realismo psicotico di moda negli anni ‘90. A cosa si deve questa scelta stilistica?

C’è un’influsso della lunga pratica del verso?

Intanto il libro, in una sua prima stesura imperfetta ma completa, è stato scritto nel 1965, quando avevo vent’anni e anche meno.

Una parte (quella finale, che è rimasta tale e quale) risale addirittura al ’63. Lo stile di allora era forse meno essenziale; gli strumenti di cui disponevo erano quelli di un ragazzo che molto aveva letto, ma che era pur sempre un ragazzo. e proprio per questo avevo lasciato tutto nel cassetto, per riprenderlo dopo quasi quarant’anni. Oggi mi interessa una scrittura economica (come in poesia, ma è tutt’altra cosa), una scrittura in cui prevalga la misura e nulla ci sia (almeno nelle intenzioni…) di gratuito e fungibile, di sottolineato o di enfa- tico. Può semmai avere influito la traduzione di tutta l’opera nar- rativa di stendhal, che ho fatto in questi anni. Ma può essere più semplicemente una mia idea di tono, registro e scrittura a cui non voglio rinunciare.

Pietro sembra non aver mai rimosso o superato quel peculiare sentimento di vergogna e profonda inquietudine che l’adolescente prova quando i genitori si comportano in un modo che, secondo lui, li rende ridicoli agli occhi del mondo. La comprensione e compassione per le debolezze e fragilità di amici e amanti si scontra con la volontà di proteggerli dal

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Actualidade   491  

dileggio degli altri. Alla fine, com’è inevitabile, finisce per punire se stesso, ma sarà possibile conciliare verità e tolleranza?

non è un problema di verità e tolleranza, ma di profondissima pietà per l’essere umano nella sua condizione inerme e priva di mas- chere, che è quella più autentica, alla quale siamo sempre meno abi- tuati. Una pietà profondissima, lacerante come una ferita, quella di Pietro, che di continuo si ripresenta e non si rimargina. Una pietà che porta solidarietà, quasi amore, ma che si rivolta nel suo opposto, nella più spietata crudeltà, che, ovviamente, finisce per fare più male a chi offende che all’offeso. Per questo Pietro arriva a quel gesto finale: è il vertice del suo percorso. Pietro non vuole dire la verità:

ma va persino oltre. nella natura umana, quando l’autocontrollo non riesce più a esercitarsi, c’è la crudeltà animale che porta ad aggredire il debole.

Dietro alle parole o ai gesti inconsulti di Pietro c’è l’atto gratuito, di Dostoievsky e Gide, o la perverseness di cui parla E. A. Poe?

Poe è uno scrittore che amo e che amavo già allora, ma qui c’entra poco. Forse l’esempio più importante è camus, con Lo straniero. Ma devo anche dire che quando ho sentito la necessità di raccontare questa storia di pietà crudele ero troppo giovane per pensare di entrare in una tradizione letteraria. ero troppo preso dalla cosa, da quel tipo di sentimento e di rapporto di un soggetto nei confronti di altri soggetti.

L’uccisione del topolino, da parte del protagonista, anticipata dalle sue letture serali di Renard e Tozzi, mi fa venire in mente Of mice and men, può dirmi qualcosa sulla creazione di questo episodio centrale del romanzo?

e’ un altro esempio, tra i peggiori, di crudeltà incontrollabile di fronte al debole, all’inerme che per di più mostra fiducia e neanche cerca di difendersi. La letteratura, anche qui, è solo un pretesto. Posso

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solo dire che nella prima stesura, quella del ’65, c’erano solo episodi di aggressione verbale. Dando al testo la sua versione definitiva, oltre a portare il tutto ai nostri giorni, ho sentito che occorreva andare oltre, e che era necessario spostare ancora più gravemente in avanti la crudeltà del protagonista, fino a farlo passare dalla parola all’azione diretta.

Intervista raccolta da Gianluca Miraglia

Referências

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