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da Casa Madre ISTITUTO MISSIONI CONSOLATA Anno 96 N.07/08 Luglio/Agosto 2016 Jean Michel Folon, UN MONDE.

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Perstiterunt in Amore Fraternitatis

ISTITUT

O MISSIONI CONSOL

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Anno 96–N.07/08 Luglio/Agosto–2016

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“Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me”

(Cantico dei Cantici 6,3)

BUONE VACANZE

“Giacere qualche volta sull’erba in un giorno d’estate ascoltando il mormorio

dell’acqua, o guardando le nuvole fluttuare nel cielo, è difficilmente uno

spreco di tempo”

(John Lubbock)

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TI AUGURO TEMPO

Nel DCM di gennaio 2011, come riflessione di Buon Anno, avevamo pubblicato una poesia di Anonimo indiano. Il 3 giugno 2016 la signora Barbara Michel ci ha scritto da Heilbronn (Germania) facendoci sapere che detta poesia è di sua madre, recentemente scomparsa, e ci chiede di ripubblicarla col testo integrale e il nome esatto. I contenuti, rimeditati, daranno più frutti.

Ti auguro tempo

Non ti auguro un dono qualsiasi,

ti auguro soltanto quello che i più non hanno. Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere; se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa. Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri. Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,

ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perché te ne resti:

tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio. Ti auguro tempo per guardare le stelle e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare. Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,

per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono. Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo per la vita.

Elli Michler www.ellimichler.de © Don Bosco Medien GmbH (casa editrice), Monaco di Baviera

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FRAMMENTI DI LUCE

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P. Giuseppe Ronco, IMC

“UNA SOLA COSA PUO’ SODDISFARE L’AMORE:

DIO SOLO”. L’ESPERIENZA DI THOMAS MERTON

2 dicembre 1968. Davanti alle grandi sculture dei Buddha di Polonnaruwa a Ceylon, Thomas Merton ebbe una visione estatica.

“Riesco ad avvicinarmi ai Buddha a piedi nudi. Tra l’erba e la sabbia umide, indisturbato. Poi il silenzio di quei volti straordinari. I grandi sorrisi. Enormi e nello stesso tempo sottili. Tutto è vuoto e tutto è compassione. Io non so se nella mia vita non abbia mai provato un senso tale di bellezza e di validità spirituale sfocianti in una illuminazione estetica. Non so che cosa altro rimane oltre quello che oscuramente stavo cercando” (Diario asiatico).

Sono riflessioni scritte pochi giorni prima della sua morte, avvenuta il 10 dicembre dello stesso anno all’Oriental Hotel di Bangkok in Thailandia. Nel primo pomeriggio, infatti, cadde a terra fulminato da un ventilatore mal funzionante, dopo aver concluso la sua relazione su Marxismo e prospettive monastiche al Convegno Internazionale degli Abati dell’Asia. Aveva 58 anni.

Cercare di capire il significato profondo dell’esperienza di Polonnaruwa significa cercare la chiave per interpretare l’ultimo tratto della vita di Merton e dare senso pieno a tutta la sua esistenza. Chi ne è interessato potrà dedicare a

questa ricerca il tempo necessario, e certamente non ne sarà deluso.

In questo breve articolo io vorrei semplicemente far emergere soltanto alcuni tratti salienti della vita di questo grande monaco scrittore e testimone, ad utilità dei missionari che vogliono trovare in lui principi ispiratori e atteggiamenti concreti per la loro opera.

“Per Merton il luogo autentico della spiritualità non è più stato uno spazio sacro, ma il vissuto umano a tutto tondo, fatto di corpo, di affetti, di risate, di piccoli piaceri, di convivenza quotidiana, di partecipazione alle vicende della storia. Come se tra mondo e monastero non ci fosse un muro, ma un canale di comunicazione” (R. Sciamplicotti, Il segreto del monachesimo di

Thomas Merton).

“Sarò monaco fino alla morte”

un bisogno di solitudine mai appagato

Chi ha letto l’autobiografia di Merton, La montagna dalle sette balze, si è reso conto di come la sua vita sia stata una ricerca continua e inappagata di solitudine, di Dio e di contemplazione.

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battesimo, sbocciato durante la visita alla basilica

di S. Sabina a Roma e ricevuto dopo un lungo e travagliato cammino personale, il 16 novembre 1938, all'età di 23 anni.

Descrisse, in seguito, la sua conversione usando ad arte la metafora del Purgatorio dantesco, La montagna dalle sette balze.

Venne poi il desiderio di diventare monaco. Lo percepì in un ritiro alla trappa di Gethsemani nella Pasqua del 1941, e fu come un riportare alla luce l’esperienza di bellezza e di solitudine, sperimentata alla trappa delle Tre Fontane di Roma, durante una visita giovanile.

Il 28 novembre 1941, dopo una preghiera rivolta a santa Teresa di Gesù Bambino, risentì e gustò nella memoria il suono di una campana misteriosa, quella della trappa, e “Pareva che la campana mi dicesse qual era il mio posto, pareva che mi chiamasse a casa”.

Entrò nell'Abbazia trappista di Nostra Signora di Gethsemani, nel Kentucky, il 10 dicembre 1941. Aveva quasi 27 anni e lì vi sarebbe stato esattamente altri 27 anni.

Si sottopose subito ad una severa ascesi, s'immerse nello studio, nella preghiera e nella meditazione. E in questa salita al monte della perfezione scoprì l'autentica libertà spirituale.

La vita trappista, troppo idealizzata all’inizio, gli si manifesterà col tempo nella sua dura realtà, e con accenti critici scriverà: “Mi sembra che i nostri monasteri producano ben pochi contemplativi puri. La nostra è una vita troppo attiva. C'è troppo movimento, troppo da fare”. Abitava in lui un conflitto permanente tra bisogno di solitudine e innato bisogno di scrivere e diventare scrittore.

Cercava l’eremo e si chiedeva: “Qual è il mio nuovo deserto? Si chiama compassione. Non c'è luogo desertico così tremendo, così bello, arido e fecondo come il deserto della compassione. (Scrivere è pensare).

Nell'autunno del 1952 gli venne concesso di vivere nel vecchio capanno degli attrezzi di St.

Anne, ma questo non gli bastò.

Elaborò il progetto di un piccolo monastero diverso da Gethsemani. Un monastero solo per vivere, senza un programma, nascosto, senza indossare abiti speciali, senza edifici giganteschi. “Mi chiedo fino alla nausea: «Per che cosa sono qui?». La sola risposta soddisfacente è «per niente». Io sono qui gratis, senza uno scopo o un piano speciali. Sono qui perché sono qui e non da un'altra parte”.

Pensò di ritirarsi nel monastero fondato da dom Gregorio Lemercier, dedicato a Nostra Signora della Resurrezione, nella diocesi di Cuernavaca in Messico, e fece richiesta ufficiale di lasciare la propria comunità per entrare in questa Chiesa dei poveri. Ma la risposta, firmata dai Cardinali Valerio Valeri e Arcadio Larraona della Congregazione per i religiosi, fu negativa e pose fine al sogno.

Si accontentò di vivere da eremita all’interno del suo monastero, in uno spazio chiamato Monte Oliveto, concessogli dall’ abate James Fox nel 1960.

“Se desideri possedere una vita spirituale, devi unificare la tua vita. La vita è spirituale per

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davvero o non lo è affatto. La tua vita viene forgiata dal fine per cui tu vivi. Tu sei fatto a immagine di ciò che desideri. Per unificare la tua vita, unifica i tuoi desideri. Per spiritualizzarla, spiritualizza i tuoi desideri. Per spiritualizzarli bisogna che tu desideri di non aver desideri” (Aspetti della vita spirituale).

Era convinto e amava la sua vocazione. “Sarò monaco fino alla morte”. È in queste parole il senso della sua vita.

Quando intraprese il viaggio in Oriente, nell’ultimo anno della sua vita, circolarono voci maligne sulla sua vita e dubbi sull’autenticità della sua fede. Rispose in modo chiaro: “Sono sempre in monastero e ho l'intenzione di rimanervi. Non ho mai avuto il minimo dubbio riguardo alla mia vocazione monastica. Se mai ho avuto un desiderio di cambiamento, andava nel senso di una vita ancor più solitaria, ancor più monastica”. (Testo riportato in J. E. Bamberger,

Qui fut Thomas Merton?).

Osò paragonare il monaco a figure marginali della società, come “i poeti, gli hippies, tutte le persone inutili di cui il mondo potrebbe benissimo fare a meno, a scapito però del gusto della vita, della ricchezza della gratuità, della leggerezza propria della libertà interiore”.

“Sento che la mia vita è in modo particolare sigillata col grande segno — il segno di Giona — che il battesimo, la professione monastica e l'ordinazione sacerdotale hanno impresso a fuoco nelle radici del mio essere, poiché, come Giona, anch'io mi trovo a viaggiare verso il mio

destino nel ventre di un paradosso”. (T. Merton,

Il segno di Giona, Garzanti, Milano 1953)

Nel tempo della fragilità e della debolezza. La ricerca della libertà.

“Ho scritto la mia vita invece di viverla”. Basterebbe solo questa frase a mettere in evidenza la coscienza che Thomas aveva di essere peccatore.

E’ nota a tutti la sua difficile relazione con l’abate dom James Fox durante tutto l’arco della sua vita. Arrivò a dire: “Spesso mi convinco che non ho nulla in comune attualmente con dom James e con gli ideali dell'Ordine”. Eppure non sgarrò mai dall’obbedienza devota, sia alla regola, sia all’abate.

A causa dei suoi svariati interessi e degli scritti che pubblicò, conobbe ostracismi da parte di confratelli secondo i quali un monaco non avrebbe dovuto occuparsi di politica.

Per Merton, invece, la spiritualità è politica, perché tende alla verità e al bene comune.

“Merton contestava l’alienazione in una sfera religiosa e sacra, distinta da quella profana, e i condizionamenti ideologici della cultura occidentale di cui la religione diventa proiezione e giustificazione” (Christian Albini, Sentinella ed

avanguardia nel XX secolo).

Debolezza e fragilità si rivelarono in lui anche nella sfera affettiva, quando nell’aprile del 1966, ricoverato all’ospedale Saint Joseph di Louisville si innamorò di Margie Smith, un’infermiera che lo accudiva. Tornato in monastero, Thomas si rese conto che il pensiero della donna non lo abbandonava. Si scrissero numerose lettere, ci furono chiamate telefoniche e incontri a tu per tu.

Scrisse nel suo Diario di mezza estate per Merton che “si sentiva tormentato dalla graduale consapevolezza che si amavano e non sapevo come avrei potuto vivere senza di lei”. Ne venne però fuori, aiutato sia dal suo abate, sia dal voto di castità che aveva fatto, sia dalla convinzione che la santità andava vissuta anche in queste difficili situazioni.

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Una strada in salita, che lo portò a una liberazione

interiore e gli diede un nuovo senso di certezza, fiducia, sicurezza, nella sua vocazione e nel profondo di sé.

Bisognerebbe rileggere queste esperienze di debolezza e di fragilità alla luce della libertà interiore che sempre lo animava e che ricercava più di ogni altra cosa. Per Merton libertà significava responsabilità e non libero arbitrio. “Una volta penetrati attraverso il distacco e la purezza del cuore nel segreto più profondo della nostra comune esperienza si raggiunge una libertà che nessuno può toccarci. Da qualche parte, dietro al nostro monachesimo come dietro al monachesimo buddista, c’è la certezza che questo genere di libertà e di trascendenza è raggiungibile”.

Nessun uomo è un’isola

“L'amore è il nostro vero destino. Non troviamo il significato della vita da soli. Lo troviamo insieme a qualcun altro”.

In Nessun uomo è un’isola, Thomas Merton afferma: «Nulla, proprio nulla ha senso se non ammettiamo, con John Donne, che: “Nessun uomo è un’isola, in sé completa: ognuno è un pezzo di un continente, una parte di un tutto”». Ogni uomo, spiega, “è una parte di me, perché io sono parte e membro del genere umano. Ogni

cristiano fa parte del mio stesso corpo, perché noi tutti siamo membra di Cristo. Quello che faccio viene dunque fatto per gli altri, con loro e da loro: quello che essi fanno è fatto in me, da me e per me. Ma ad ognuno di noi rimane la responsabilità della parte che egli ha nella vita dell’intero corpo”.

Sono parole che ricordano la sua esperienza estatica di Louisville. All’angolo tra la Quarta Avenue e Walnut, nel centro della zona con i migliori negozi della città, il 19 marzo del 1958 ebbe come un’illuminazione a proposito della gente che vedeva, che non lo abbondonò più. “Fui d’un tratto preso dall’idea che io amavo tutta quella gente, che mi apparteneva come io appartenevo a loro, che non potevamo essere estraniati gli uni dagli altri anche se di razze diverse”.

Era lo stupore di scoprirsi membro dell’unica umanità, e del cosmo intero, con l’unico scopo di alleviare le sofferenze di chiunque incontrava.

Uomo del dialogo, della pace, della benevolenza verso tutti

Thomas Merton fu l’uomo del dialogo. Pur nella solitudine severa del monastero, ha avuto corrispondenza e parlato con numerose persone di religioni differenti, di visioni politiche diverse e anche con atei e agnostici della società americana. Citarne i nomi diventa impossibile.

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Concepì il dialogo interreligioso come un pellegrinaggio e una ricerca spirituale. Il suo fu un dialogo di tipo esplorativo, basato sull’apertura vicendevole e sull’incontro personale.

Scrive in Mistici e maestri zen: “Finché il dialogo procede soltanto sul piano della ricerca e dello studio oggettivo dei documenti, esso perderà la sua dimensione più essenziale”. Per Thomas comunicare vuol dire entrare in comunione, stabilire con l’altro una relazione profonda, che va al di là del piano verbale e concettuale. Ne deriva un rapporto aperto con le altre religioni, inclusivo. “Più io sono capace di affermare gli altri, dire sì a loro dentro di me, scoprendoli in me e me in loro, più io sono reale. Sarò un cattolico migliore non se riesco a confutare ogni ombra di protestantesimo, ma se riesco ad affermare la verità che esiste in esso e ad andare oltre: lo stesso con i musulmani, gli indù, i buddisti. Se affermo di essere cattolico solamente con il negare tutto ciò che è musulmano, ebreo, protestante, indù, buddista, alla fine troverò che non mi è rimasto molto da affermare per dimostrare che sono cattolico. Certamente non avrò il soffio dello Spirito con cui affermarlo”.

“L’Asia, lo Zen, l’Islam: tutte queste cose stanno insieme nella mia vita. Sarebbe una follia, per me, tentare di creare una vita monastica per me stesso escludendole. Sarei meno monaco. Io non cerco solamente di saperne di più in fatto di religione o di vita monastica, ma di fare di me stesso un monaco migliore e più illuminato”.

Fu l’uomo della pace. Voce isolata e incompresa, nella Chiesa cattolica, ha denunciato la follia delle armi nucleari e della guerra, anticipando la Pacem in terris. Giovanni XXIII aveva voluto consultare Thomas Merton quando stava redigendo la Pacem in terris e gli aveva regalato una sua stola. Anche con Paolo VI il monaco ebbe una nutrita corrispondenza, durata vent’anni. "Signore mio Dio, non ho idea di dove sto andando. Non conosco la strada che mi sta in fronte. Non posso sapere con certezza dove mi porterà. Del resto non conosco completamente nemmeno me stesso, e il fatto che dico di seguirti non vuol di...re necessariamente che lo stia facendo. Però credo che a te piaccia il mio desiderio di piacerti, E spero di mettere questo desiderio in tutto ciò che faccio.

Spero di poter non far nulla al di fuori di questo desiderio, e so che se lo farò tu mi guiderai per la strada giusta, anche se io proprio non ne so nulla. Per questo mi fido sempre di te, anche se a volte mi sento perso nell''ombra della morte'. Non avrò paura perché tu sei sempre con me, e non mi lascerai mai solo di fronte ai miei nemici. Amen". (Thomas Merton).

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BEATA IRENE STEFANI

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Othaya e Joseph Macharia

TESTIMONIANZE

Testimonianza di OTHAYA

Suor Irene mi prendeva volentieri con sé quando andava ai villaggi ed io andavo altrettanto volentieri con lei. Qualche volta mi mettevo a correre davanti a lei, e lei benché camminasse molto in fretta, non riusciva a starmi dietro. Per la strada mi parlava di Dio, mi incoraggiava a essere buono. Oppure mi faceva dire il rosario con lei e poi stava zitta. Però se incontrava qualcuno, salutava tutti lei per prima. I bambini le correvano incontro; tutti l'accoglievano con gioia, perché lei era sempre "mokeni" (lieta) degli incontri per parlare di Dio alla gente.

Quando c'erano contrasti tra marito e moglie nelle case, mandavano a chiamare lei e non padre Gillio, perché sapeva comporre i dissidi. Però, quando arrivava, mandava via i bambini perché non perdessero di rispetto ai genitori vedendoli in litigio.

Ci insegnava le cose di Dio (io ero tra i suoi allievi) ma ci insegnava anche le regole della buona educazione (per es. mettersi la mano davanti alla bocca quando si sbadiglia, non origliare per sentire ciò che dicono gli altri, non calpestare i campi altrui e tante altre cose). Agghindava le spose per il matrimonio; preparava e metteva loro in capo la corona di fi ori. Si recava a casa loro alle nozze per fare gli auguri agli sposi

e coglieva le occasioni per parlare a tutti delle benedizioni di Dio sul matrimonio cristiano (perché alla festa quasi tutti erano pagani).

Ci diceva che la "cuka" (cotonata) che indossavamo (e sotto eravamo nudi) non doveva sventolare (ossia non dovevamo farla sventolare) come una bandiera. Ci faceva fare una cintura di foglie che mettevamo sotto per non rimanere nudi quando la cotonata volava via mentre facevamo le corse.

Ciò che ho visto di suor Margherita Maria e dì altre suore è molto, ma quello che ho visto di suor Irene è superiore ad ogni confronto.

In quei tempi la gente si ungeva di ocra o di altre sostanze che ripugnavano agli stranieri. Ma suor Irene avvicinava e dava la mano a tutti e non aveva schifo di niente e di nessuno, come non aveva timore di prendersi lei dei mali soccorrendo gli infermi...

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Il suo contegno in chiesa era sempre devoto e raccolto, anche quando passeggiava in mezzo alle due fila di banchi durante le funzioni per tenere l'ordine. Se c'era chi dormiva alle prediche (lunghe) di padre Gillio, lei lo svegliava con un lieve tocco sulla spalla; se c'era chi parlava, gli faceva cenno di zittire portando l'indice sulla bocca. Ma sempre con bel garbo per rispetto alla casa di Dio e anche per rispetto a chi veniva rimproverato e richiamato all'ordine.

Preparava in antecedenza la traduzione del vangelo domenicale e a turno, sceglieva uno di noi e ce lo faceva leggere forte in chiesa, dopo che il sacerdote l'aveva letto in latino... Ciò le costava tempo, perché noi non sapevamo leggere ancora bene, ma lei ci faceva ripetere finché ognuno poteva leggere scioltamente.

Ci preparava alla confessione e ci metteva in fila un dopo l'altro avendo cura che stessimo un po' lontano dal confessionale per non sentire ciò che gli altri dicevano al padre.

Testimonianza di JOSEPH MACHARIA DI GICHURU

Età: 62 anni. Figlio di Leone Gichuru. Agricoltore.

Kiawamururu Out Parish Kaheti, 5 luglio 1983 Fui battezzato il 9-11-1921 alla missione di Gikondi da padre Gillio. Conobbi suor Irene quando lavorava a Gikondi dal 5927 al I93o.

Molto volentieri do la mia testimonianza.

1. Suor Irene fu la mia amata maestra, quella che mi istruì durante il tempo di sua vita alla missione di Gikondi quando ero bambino. La conobbi verso i sette anni perché allora coi miei genitori stavamo alla missione dì Gìkondi. Ella era chiamata "Mwari (sorella) Irene" o "NYAATHA" perché la gente usava dire che mwari Irene era Nyaatha, ossia la madre di tutte le misericordie.

2. Essendo maestra ella ci insegnava il lavoro di classe, la conoscenza della religione, e a scrivere nella nostra lingua, il kikuyu, ecc.

3. Suor Irene era amata da tutti, dappertutto dove ella poteva giungere a visitare i malati, i poveri, quelli che abitavano in tuguri, perché parlava il kikuyu molto bene. Ella accettava e mangiava qualunque cosa la gente dei villaggi mangiasse, senza badare che cibo stesse mangiando.

4. Visitare gli ammalati, i poveri, battezzare i malati e curarli era il suo lavoro giornaliero. Infatti ella era solita percorrere lunghe distanze andando su e giù per sentieri scoscesi cercando questi poveretti. Ella non si prendeva neppure un solo minuto di riposo perché si era completamente dedicata a questo popolo.

5. Suor Irene aveva da camminare a piedi lunghi percorsi dalla missione di Gikondi per visitare le scuole-cappelle di kanunga, Karuthi, Igana, Iruri e anche Gathukimundo, per far conoscere alla gente la parola di Dio.

6. Questa suora era solita andare dappertutto dove le era possibile col suo rosario tra le mani, pregando. Proprio per quanto suor Irene faceva, molti pagani si radunavano insieme per ascoltare la Prola di Dio e molti divennero cristiani.

7. Suor Irene si ammalò da un maestro di Gathukimundo che era stato colpito dalla peste. Il maestro era conosciuto come Julius Ngari, e morì tra le braccia della cara suor Irene.

8. Siccome suor Irene, madre di misericordia, ebbe un grande ruolo nella missione di Gikondi, io spero che Dio l'abbia premiata per la sua dedizione in questo mondo .

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L’ALLAMANO

NELLE SUE LETTERE

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P. Francesco Pavese, IMC

RICHIAMI PATERNI

Il metodo educativo dell'Allamano era forte e delicato, ma quando occorreva, egli non temeva di richiamare i suoi fi gli e fi glie, sia in pubblico che in privato. Degli sbagli non si preoccupava più del necessario, anzi sapeva comprenderli, perché conosceva le persone, ma li correggeva. C'è un particolare che non va dimenticato. Per quanto abbia cercato, non ho mai trovato una “sgridata” del Fondatore che non terminasse in un incoraggiamento a riprendersi e migliorare. Non lasciava mai i “cocci rotti”. I suoi richiami erano davvero “paterni”, e un padre vuole migliorare i suoi fi gli, non umiliarli inutilmente, tanto meno frenarli nella loro crescita.

Nelle lettere questo atteggiamento del Fondatore appare molto evidente. Riporto alcuni casi tra i più famosi e forse i più conosciuti.

Il primo per importanza, lo si trova in una lettera a P. T. Gays nel 1903. Si deve tenere presente che il Fondatore lo aveva scelto come responsabile del primo gruppo inviato in Kenya ed egli aveva accettato di buon grado. L'esperienza, però, gli fece presto capire che P. F. Perlo, incaricato economo, aveva un'altra marcia nell'aff rontare i problemi della prima evangelizzazione. Non si può parlare di “gelosia” da parte del P. Gays, ma di una certa soggezione. Si rendeva conto che P. Perlo infl iva di più sul gruppo. Tanto che ben

presto chiese al Fondatore di affi dare la prima responsabilità a P. Perlo. Il Fondatore, ovviamente, lo incoraggiava a continuare, perché pensava che fosse davvero adatto per quel compito. Non riuscendo a convincere il Fondatore, P. Gays fece sapere ai confratelli che aveva dato le dimissioni e che il Fondatore le aveva accettate, il che non era vero. In concreto, aveva messo il Fondatore davanti al fatto compiuto.

Con questa premessa si può capire meglio la lettera del 30 ottobre 1903 giunta da Torino: «La sua lettera del 19 passato settembre mi sorprese grandemente. Mentre tenevo per certo che V. S. dopo le replicate mie conferme ed incoraggiamenti sarebbe stata salda nell'ubbidienza affi datale, ecco che d'un tratto, dopo altra lettera del 5 stesso mese tutta serena, ritorna alla prima domanda, e ciò ch'è più grave mi scrive che procede a comunicare il mio

favorevole consenso a tutti e singoli i confratelli

senza aspettare di averlo ricevuto.

Certamente V. S. non considerò tutta la gravità dell'atto che stava per compiere in riguardo al voto fatto, né la posizione diffi cile in cui poneva tutta la missione tenendola sino all'arrivo delle mie lettere senza capo. Così facendo pose me in vero imbarazzo e compromise la mia libertà di deliberare su cosa di tanta importanza,

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obbligandomi in certo modo ad accettare senz'altro la sua rinunzia. E così la pensò pure S. E. il Cardinale a cui riferii la cosa, motivandola però soltanto sulla di lei eccessiva umiltà e che concluse coll'approvare la scelta del T. Perlo. […]. Le ripeto il mio rincrescimento per questa sua decisione, nondimeno ella non dubiti che le sia diminuito il mio affetto e stima come sono sempre certo del suo per me e per l'Opera intrapresa. E di questo mi darà prova coll'aiutare cordialmente coi suoi consigli e colla sua cooperazione il Teologo acciocché viribus unitis e sempre cor unum et anima una [unite le forze e un cuor solo e un'anima sola] promuoviate l'incremento delle missioni ed il profitto spirituale di tutti i cari missionari. Le mando

una speciale benedizione» (III, 665-666).

P. Gays era già stato richiamato in antecedenza, con lettera del 18 settembre 1903, mentre era ancora il responsabile dei missionari, perché scriveva troppo di rado, mentre al Fondatore interessavano le sue notizie: «V. S. mi scriva più sovente e più a lungo. […]. In ogni cosa non dobbiamo

che cercare il maggio bene e la gloria di Dio. […]. Mi scriva in proposito le sue e altrui idee in dettaglio sul tenore di vita interno spirituale e corporale e sulle opere di ministero da incominciare, come scuole, cure mediche, lavori e predicazioni, ecc.» (III, 647).

Richiamo sicuramente più forte fu quello ricevuto dal ch. G. Cattaneo il 27 novembre 1903 , che l'anno seguente venne dimesso dall'Istituto diventando poi sacerdote nella diocesi di Torino: «Dall'arrivo in Africa sino ad oggi non ho ricevuto alcun tuo scritto. Perché mai questo tuo silenzio mentre il regolamento dice di scrivermi almeno ogni tre mesi? Mentre attendo una tua lettera ed

il diario, quale superiore e padre in N. S. G. C. ti faccio alcune ammonizioni, che certamente riceverai in buona parte. So per esperienza fatta in casa madre che hai un carattere irascibile ed anche violento, il quale cercavi di vincere e perciò ti assoggettavi di buon grado anche a pubbliche penitenze. Ora questo carattere, fatto più vivo dal mutamento del clima e di altre circostanze ti trasporta a frequenti mancanze di carità e mansuetudine verso i confratelli e specialmente verso cotesti poveri africani. Tu, in momenti di esaltazione nervosa, li minacci e anche li percuoti. Per amor di Dio desisti da tali atti. […]. Io spero che accetterai in bene queste mie osservazioni dettatemi dal cuore per il bene tuo e delle nostre missioni e colla tua

pieghevolezza in tutto al T.

Perlo, superiore generale ed al superiore locale mi consolerai delle fatiche ed affanni

che sopporto continuamente

per voi. Ricevi la mia speciale b e n e d i z i o n e ed abbimi in Domino aff.mo» (III, 682). P. G. Balbo, in Kenya dal 1907, era un cultore di scienze naturali. Tra lui e l'Allamano si verificò un equivoco a proposito di un libro che trattava di questa materia, che lui aveva richiesto a Torino. Siccome l'Allamano, pur accontentandolo in altre cose, gli fece notare che il libro costava troppo, il Balbo rispose in modo piuttosto secco, concludendo che avrebbe smesso di interessarsi di quella scienza. Questa fu la risposta che ricevette da Torino il 29 marzo 1909: «La tua lettera me la scrivesti certamente in un cattivo momento. Non mi aspettavo da te certe espressioni, che spero ti siano cadute per sbaglio dalla penna. Rileggi la mia lettera e vedrai che essa non ti dà ragione di rispondere a quel modo. […]. Non sono pronto io a pagare tale libro se fosse conveniente? È naturale che tu

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devi avere l'intenzione di ubbidire, ma lo scrivere

seccamente che hai cominciato per ubbidienza e

lasci per ubbidienza è troppo duro. Così il dire che per non avere avuto il libro, né materie chimiche stimi inutile anzi perditempo lo studio del suolo, è

troppo assoluto. Io non intendo che tu vada agli eccessi: o tutto o nulla. […]. Mi pare che avrai capito, e che da buon religioso ti assoggetterai toto corde [di tutto cuore] al desiderio dei tuoi superiori, i quali come fecero per il passato ti agevoleranno i mezzi di fare il bene che da te vuole il Signore. […]. Ti parlai con amore di padre e tu accetta il mio scritto con buon animo» (V, 207-208).

Il carattere tradì non una sola volta questo missionario, che comunque lavorò sempre con generosità e anche retto fine, pure affezionato al Fondatore, tanto da essere nominato dalla Santa Sede primo Prefetto Apostolico del Meru, nel marzo del 1926. Già dal 1919, egli si fece paladino della richiesta che fosse indetto un capitolo generale per regolare il governo dell'Istituto, scrivendo addirittura al Card. G. van Rossum, Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide (cf. VIII, nota 6). In concreto si richiedeva che il Fondatore fosse affiancato da un regolare consiglio scelto tra i missionari. Di per sé, questo era anche il desiderio del Fondatore, che però non gradì i “maneggi” sotterranei di P. Balbo sia presso alcuni confratelli che presso Propaganda. Il suo metodo di azione era più trasparente e non gradiva interventi appositamente nascosti.

Venendo a conoscere questo stato di cose, il Fondatore si confidò con P. A. Rosso nella lettera del 2 luglio 1919: «Ti dico subito che mi fece

pena il tuo scritto ispirato forse da un solo che tenta in ciò come in altro di disturbare l'istituto e le Missioni. Ma l'opera è di Dio e nulla può contro di essa anche un padre Balbo. Sta attento, mio caro, a non perdere lo spirito ed i meriti dell'Apostolato. […]. Dà pure comunicazione di questa mia a chi ne abbisogna, in particolare a P. Balbo (VIII, 400-401 e nota 6).

Lette le parole che lo riguardavano, il P. G. Balbo scrisse subito al Fondatore, il 5 novembre 1919: «La stima e l'affezione, che ho sempre nutrito verso la venerata Sua Persona, mi spingono oggi a scriverle questa mia. Mi dolse non poco la sua lettera, indirizzata al R. P. Rosso, del luglio scorso, non per le espressioni risentite sul mio conto ed a mio riguardo, ma a riguardo di V. S. Rev.ma, che si rattrista per me, come per un figlio perduto e scapestrato» (VIII, 479). La lettera conclude chiedendo implicitamente scusa e con parole di stima e di affetto per l'Allamano. Non c'è dubbio che erano parole sincere.

Il 18 gennaio 1920 il Fondatore scrisse a P. G. Balbo: «Non nego il tuo affetto per la mia povera persona; e credo pure di non mai averlo demeritato. Ti accolsi nell'istituto chierico, ti trattai sempre quale figlio carissimo, procurando di arricchirti di virtù e scienza. Ed è perciò che mi fece viva pena la tua condotta costi, ed il tuo sobillare i compagni per tirarli ad un partito secondo le tue antiche idealità. Ben ricordo ciò che dicesti un giorno alla Consolatina quando ammonito prorompesti in queste parole: Verrà il

tempo in cui comanderemo noi. Dovevi pur sapere

che era mio vero desiderio da tempo di costituire il regolare governo dell'istituto; e questo già vi

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sarebbe se le debite Autorità e le nostre speciali circostanze l'avessero consentito. Perché erigerti a giudice, e fare passi inconsiderati e strani? Sarebbe stato meglio e più prudente, se mosso da vero zelo, ti fossi prima rivolto a me; invece in ciò come in tutto sei sempre stato parco di lettere e di confidenze. Solamente non ascoltato potevi prendere altre vie, non mai quella della insubordinazione. […]. Ma basti di ogni cosa passata. Accetto il tuo ravvicinamento formale, che toglierà tra noi ogni equivoco in avvenire. […]. Ai piedi della nostra SS. Consolata ti benedico... aff.mo in G. C.» (VIII, 544-545).

Ho insistito a raccontare questa situazione, perché significò un momento storico molto particolare dell'Istituto e al Fondatore procurò una sofferenza del cuore, che non manifestò se non per richiamare i suoi giovani missionari sulla via che da sempre indicava loro.

Non si può tralasciare il fatto di P. T. Gays, quando intendeva dare le dimissioni da superiore di casa madre perché il Fondatore aveva dimesso un allievo senza preavvisarlo, mentre lui era assente. Ecco la lettera che gli fu inviata il 21 giugno 1923: «Non poteva V. S. peggio attristarmi la Festa della nostra Consolata. Compatisco la di Lei suscettibilità, e come mi scrisse il 15 corrente, un inconsiderato timore. V. S. deve

considerare davanti a Dio che se procedetti ad un pronto licenziamento di un postulante, ciò feci per vera urgenza, trattandosi di moralità che in sé gravissima già trapelava in Comunità, con immenso danno del bene comune. […]. Un po' di umiltà e spirito di Dio e tutto si aggiusterà. Devo partire lunedì per S. Ignazio e V. S. abbia la carità di lasciarmi quel po' di quiete prescrittami dal medico. Meglio ancora che subito mi annunziasse che la sua lettera è nulla. Che la SS. Consolata ci consoli e per la sua gloria ci tenga superiori a certe miserie. Aff.mo in G. C.» (IX/2, 123-124).

Non vorrei dare l'impressione che i richiami erano riservati ai soli Padri Gays, Rosso e Balbo. Dalle lettere ne emergono altri. Concludo con quello a Mons. G. Barlassina, designato Prefetto Apostolico del Kaffa sin dall'8 maggio 1913, e scelto dalla Santa Sede come Superiore Generale dopo la Visita Apostolica all'Istituto. Il 3 novembre 1915 egli ricevette questa lettera: «[...] e ci siamo subito rallegrati che non fosse più una delle molto rare e brevissime tue lettere, ma che tu abbia finalmente cominciato a scrivere più ampiamente e dirci aperto il tuo pensiero come dovrai fare e sovente d'or innanzi, giacché sarà poi soprattutto da te che dovremo sapere l'andamento delle tue future missioni. Venendo al contenuto della tua lettera ti diciamo anzitutto che non hai ragione di lasciarci intravvedere un po' di disgusto perché non ti abbiamo, mentre eri a Torino, informato minutamente di quanto si progettava e che poi si fece per mezzo di P. Dalcanton e Compagni. […]. Ti ripeto di scriverci sovente, in lungo ed in dettaglio, quanto farai, le idee e le proposte; noi ti risponderemo e ti consiglieremo. Uno solo è lo scopo comune, fare il bene, il maggior bene a sola gloria di Dio. Ti benedico coi compagni » (VII, 232 e 237). La vita del Fondatore non fu tutta “rose e fiori”, ma come “Santo” seppe volare sopra quelle che usava chiamare “miserie” umane, mantenendo sempre i suoi figli uniti a sé, nel vero spirito. Tutti i confratelli che ho citato in questo articolo e che il Fondatore richiamò per qualche motivo, furono degli eccellenti missionari della Consolata sino alla fine della loro vita.

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ATTIVITÀ DELLA DIREZIONE GENERALE

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Missionari carissimi, mi trovo nell’ultima tappa della visita all’America Latina, dopo il “grande” Brasile ora la “lunga” Argentina, un grande paese che occupa la metà orientale della coda affusolata dell'America meridionale, l'ottavo del mondo e il secondo del continente sudamericano in ordine di grandezza. Come Missionari della Consolata siamo arrivati in Argentina nel maggio del 1948, invitati dal vescovo di Formosa Monsignor Nicola De Carlo, per la missione nel Chaco che per ben più di 50 anni ha caratterizzato la nostra presenza in questo paese. Attualmente la Regione ha operato altre scelte ed altre presenza al Nord in territori lontani, bisognosi e sfidanti. Concretamente la nostra presenza è di pastorale parrocchiale vicina alla gente in modo semplice e familiare.

A Mendoza proprio nella Parrocchia è iniziata un’esperienza formativa con tre giovani che inseriti nella vita parrocchiale studiano la teologia e lavorano nella parrocchia stessa. Questa esperienza è molto apprezzata e positiva, in quanto permette ai giovani di formarsi alla missione di domani vivendo già da missionari toccando già con mano le gioie, le speranze e le difficoltà della missione.

Rimanendo sempre nell’ambito formativo, mi piace spendere una parola per il Noviziato Latino Americano che da diversi anni, precisamente dal 1995, si realizza qui a Buenos Aires. I giovani

sono inseriti in un quartiere popolare e svolgono la loro missione anche in zone povere periferiche della città. I novizi accompagnati dal loro maestro cercano di confrontarsi sulle scelte della vocazione missionaria a cui si sentono chiamati e di verificare sul terreno del quotidiano quanto questo orientamento possa essere realmente vita della loro vita. La Regione tiene una buona tradizione missionaria caratterizzata dalla vicinanza alla gente, stile di vita e di strutture sobrie e essenziali, cammino di comunione con la Chiesa locale. Buono è lo spirito e la relazione tra i missionari. I missionari lavorano e s’impegnano con dedizione nelle diverse comunità di appartenenza. La Regione è caratterizzata da una certa calma e serenità sia nei rapporti reciproci che nella missione. Ora, guardando al futuro, credo che la Regione debba avere il coraggio di aprirsi ad altre presenze missionarie oltre a quelle pastorali – parrocchiali già presenti.

P. Stefano Camerlengo, IMC

ARGENTINA: UNA CONDIVISIONE

SUL PAESE E LA NOSTRA PRESENZA!

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Leggendo qua e là per capire un pochino il paese e la sua gente!

L’Argentina è un paese interessante, un composto di estremi che si toccano e si spingono in avanti. Come per esempio la capitale Buenos Aires, una città in cui la vita quotidiana e la letteratura si mescolano semplicemente. Una città aperta come un libro. Ogni sera a Buenos Aires vanno in scena trecento spettacoli teatrali, più che a New York, più che a Parigi. Capitale macrocefala di un’Argentina che produce cibo per 400 milioni di persone e non riesce a sfamare tutti i suoi 40 milioni di abitanti. Sempre in bilico tra salvezza e default, nel suo passato glorioso è stato un Paese di riferimento. Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura, racconta che nella sua infanzia boliviana e nella sua adolescenza peruviana, i giovani sognavano di studiare e affermarsi in Argentina, non negli Stati Uniti e neppure in Europa. Quell’Argentina che oggi è considerata uno dei Paesi latinoamericani meno invitanti per gli investimenti e più incerti per il futuro di chi ci abita.

Uno dei libri più originali è, “Dolor Pais”, pubblicato nel 2002 da Silvia Bleichmar, psicoanalista argentina. L’autrice identifica il dolore come motore della medicina di tutti i tempi e di tutte le culture. Dolore più temuto della morte, quello fisico e quello psicologico. Nella vita affettiva il dolore può essere devastante

e precipitare verso la morte oppure prostrare l’individuo in un tale abisso di sofferenza da paralizzarlo o incatenarlo a una vita miserevole. L’Argentina, tra altri primati, ha quello, secondo Bleichmar, di esprimere un’altra tipologia di dolore. «C’è una dimensione del dolore che, seppure intimamente personale, è localizzata nel corpo degli ideali sociali del gruppo o comunità di appartenenza. È proprio evidente che, alla maggior parte degli argentini, il proprio Paese provochi dolore». Questo è il risultato dell’incidenza della realtà economica sulla sfera psichica degli cittadini: la traccia, la cicatrice lasciata dal saccheggio del Paese, perpetrato dalle corporazioni (finanziaria e politica), che hanno depredato grandi ricchezze.

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Gli abitanti sono rimasti inermi, immalinconiti

dalla propria impotenza, demotivati dalla mancanza di risposte della classe politica. Un libro, Dolor Pais, che si è trasformato in emblema di resistenza anche perché Silvia Bleichmar lo ha ultimato quindici giorni prima di morire. La storia dell’Argentina è costellata di tracolli ma anche di expertise, un Paese-laboratorio.

“L’abitudine a pensare in termini economico-finanziari senza però accarezzare l’idea di un avanzamento della dimensione collettiva. Un futuro migliore pensato solo in termini individuali che finisce per abbracciare la spaccatura della società in modo bipolare, due parti, vincitori e perdenti” (Il sole 24 ore).

Come uscirne? Solo con la ri-umanizzazione di una società devastata. Che Borges, in Evaristo Carriego, tratteggia con inarrivabile maestria. «L’argentino non si identifica con lo Stato. Per lui lo Stato è una inconcepibile astrazione. Sì perché l’argentino è un individuo e non un cittadino. Frasi come quella di Hegel, “Lo Stato è la realtà dell’idea morale “gli sembrano scherzi sinistri». Pochi mesi fa si è insediato il neo presidente Mauricio Macri, che si proclama liberista. Le aspettative di cambio, in un Paese ancora in mezzo al guado, sono alte. Sette tassi di cambio, un’inflazione al 25% e un’economia poco aperta e sprofondata in recessione sono i principali fattori di criticità. Una sfida titanica, quella di Macri.

L’unica capace di detonare la dimensione affettiva degli argentini: la passione!

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CASA GENERALIZIA

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P. Renzo Marcolongo, IMC

GIUGNO

Il mese di giugno si caratterizza per la celebrazione della nostra festa: la CONSOLATA a cui la nostra comunità si è preparata con la novena: la stessa che il nostro fondatore aveva ideato all'inizio del suo mandato al santuario della Consolata. Il linguaggio della novena è un po' arcaico ma ci lega con un filo di identità alle nostre origini. La festa la celebriamo in diverse date: sabato 18 giugno a Bravetta con amici e simpatizzanti. Domenica 19 alcuni partecipano alla festa a Nepi con le nostre sorelle, altri vanno alla nostra comunità della Nomentana mentre che alcuni viaggiano a Torino per celebrarla lì dove la nostra famiglia missionaria è nata. Il giorno 20, noi missionari di Roma, la celebriamo qui in casa generalizia condividendo la Messa e la mensa. Ogni anno la nostra festa diventa un momento di richiamare alla memoria le nostre radici e rinnovare il nostro impegno per la missione, ovunque il Signore ci voglia presenti. AUGURI a TUTTI.

Un'altra caratteristica del mese di giugno è data dagli esami scolastici dei nostri missionari studenti. C'è sempre un po' di tensione ma alla fine i risultati premiano l'impegno che è stato messo durante tutto l'anno accademico. Il padre Jacques Kuziala ha difeso la sua tesi di liturgia presso la pontificia università Sant'Anselmo dal titolo: “Praesens adest in verbo suo. La place e l’importance de la Parole de Dieu dans la célébration eucharistique à la lumière de Vatican

II”, con un ottimo risultato: summa cum laude. Felicitazioni caro Jacques e buon lavoro dove il Signore ti manderà.

La direzione generale è presente al completo: sono tornati tutti da varie parti del mondo dove si trovavano per visite. Questo è un tempo di riflessione, ammissioni e destinazioni. Il padre Juan Gabriel Acosta è stato nominato vice-superiore di casa generalizia: buon lavoro, Juan Gabriel, al servizio del confratelli che vi abitano e vi passano.

Sono anche continuate le visite di missionari, amici e parenti. In modo speciale vogliamo ricordare la mamma di padre Rinaldo che è venuta a celebrare il suo 80mo compleanno con suo figlio e con noi il 23 di maggio. Auguri per tanti anni pieni di salute.

Poi non sono mancate le accoglienze di vescovi, in particolare alcuni vescovi del Piemonte, venuti qui a Roma per l'assemblea della CEI e mons. Anthony Mukobo nostro missionario in Kenya.

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La nostra casa è anche casa di accoglienza che

molti scelgono per la sua vicinanza al Vaticano, come un gruppo di sacerdoti Portoghesi e Siciliani che sono venuti per il ritiro che il papa Francesco ha voluto predicare ai sacerdoti. Anche alcuni di noi vi hanno preso parte e quello che papa Francesco ha detto, ha toccato il cuore di tutti, presenti e no

CRONACA DEL GIUBILEO

Nelle scorse settimane hanno avuto luogo il “Giubileo dei diaconi” (27-29 maggio) e il “Giubileo dei sacerdoti” (1-3 giugno). Papa Francesco il 2 giugno ha tenuto tre meditazioni nelle tre basiliche di S. Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e S. Paolo Fuori le Mura davanti a una platea di oltre 6000 sacerdoti, parlando del sacerdote come ministro della misericordia.

Domenica 12 giugno ha avuto luogo il giubileo dei malati e dei disabili. Durante la messa presieduta dal Papa, per la prima volta in Piazza san Pietro, la lettura del vangelo è stata anche drammatizzata da un gruppo di persone disabili intellettive per permettere la totale comprensione del testo.

Nel corso della s. Messa è stato esposto il quadro della Madonna Salus infirmorum, custodito nella chiesa di Santa Maria Maddalena in Campo Marzio a Roma. Questo prezioso dipinto cinquecentesco, di autore ignoto, fu donato alla chiesa della Maddalena da una nobile romana nel 1619, dopo che le sue preghiere di guarigione dalla malattia di fronte al dipinto furono miracolosamente esaudite. Da allora è venerata e invocata come aiuto di tutte le persone che sono afflitte da malattia.

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VITA NELLE CIRCOSCRIZIONI

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P. Stephen Ngari, IMC

ASSEMBLEIA REGIONAL

NA CONCLUSÃO DA VISITA CANÔNICA

Na conclusão da visita canônica feita por Pe Stefano Camerlengo, Superior Geral e Pe Salvador Medina, Conselheiro Geral responsável do Continente das Américas, na região da Amazônia, os missionários da Consolata se reuniram em assembleia, na casa regional em Calungà, Boa Vista-RR. O evento aconteceu nos dias 22 e 23 de abril e serviu para os missionários da região refletir junto com o padre superior e o conselheiro sobre a vida dos missionários e a missão na região.

O primeiro momento da assembleia foi uma manhã de espiritualidade. Pe Camerlengo fez uma reflexão sobre o discipulado autêntico baseado no texto da cura do cego Bartimeu, (Mc 10, 46-52). Mesmo sem enxergar, Bartimeu construiu uma intimidade com Jesus que levou a sua salvação. O discípulo missionário de Jesus precisa construir uma intimidade com Ele mesmo diante de desafios e dificuldades. O momento da espiritualidade continuou com adoração e reflexão individual até meio dia quando se encerrou com a oração da hora média e benção solene com o Santíssimo.

Na tarde, desse primeiro dia, o superior geral fez a sua partilha sobre a visita canônica se referindo à carta que ele mandou aos missionários da região no final da última visita canônica, (15 de agosto 2013). Reforçou a continuação com a

paixão missionaria pelos povos indígenas como a opção primária da região e o projeto missionário da região para guiar nas opções missionárias e também como um caminho da conversão. Esse caminho se faz junto com o da humanização baseado no cuidar de relacionamento interpessoal, tender a uma amizade autêntica e madura, encontro comunitário semanal, encontrar tempo para o outro e acompanhamento dos novos missionários que entram na região.

O Pe Stefano recomendou a região a continuar avaliando e requalificando as suas presenças na área indígena, em Manaus e em Boa Vista. A configuração das comunidades deve ser feita para o bem dos missionários e da missão.

O superior regional Pe Manolo explicou sobre área missionaria que o arcebispo de Manaus, Dom Sergio Castrian, tinha pedido o Instituto assumir e que a equipe visitante tinha ido para conhecer junto com o arcebispo. Embora a área qualifique como uma área “ad gente” para o Instituto, o número reduzido dos missionários na região impede abertura de uma nova presença. No final do dia o Pe Corrado e Pe Stephen partilharam com os missionários sobre seus estudos realizados em São Paulo nos últimos dois anos.

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Missão

Na partilha sobre a missão, os missionários destacaram a necessidade de ter tempo para fazer partilhar e reflexão sobre os trabalhos sendo realizados na região. Além de somente relatar as atividades e programas de missão, os missionários numa assembleia regional fariam reflexão e discussão sobre a missão numa das áreas pastorais. Essa dinâmica de partilha dos missionários das suas experiências pastorais facilitará que todos os missionários na região conheçam a realidade dos outros e dos trabalhos missionários acontecendo na região numa maneira mais profunda.

O padre Salvador apresentou brevemente o que está sendo feito na animação e organização enquanto a continentalidade. Ele destacou o projeto da Rede Eclesial Pan-amazônica (REPAM) que foi construído em comunhão com as igrejas locais e organizações sociais presentes na Amazônia. A REPAM tem como objetivo pensar e refletir sobre os desafios da grande Amazônica por meio de dialogo, articulação e colaboração no testemunho profético e evangelização na região. Uma rede parecida existe na região do Congo, África para mesmos motivos na região. Na economia, mais uma vez o superior reforçou a importância do caixa comum e do uso consciente dos bens materiais. As estruturas presentes em Boa Vista e Manaus precisam ser estudas para discernir o melhor meios de utilizá-las para não ser mais um peso para região.

O Pe Denis, responsável da Animação Missionaria Vocacional (AMV), apresentou o projeto do seu trabalho. Segundo o esquema, a AMV está sendo realizada em quatro áreas; pastoral da juventude, acompanhamento vocacional missionária, apostolado dos leigos e serviços religiosos na igreja local. O animador pediu que todos os membros da religião se sintam responsáveis pela animação nas áreas onde trabalham. Enquanto a formação, houve uma sugestão de mandar os candidatos a formação para região do Brasil depois do acompanhamento vocacional e de uma experiência missionária com os missionários da Consolata onde trabalham.

A Assembleia, devido a brevidade do tempo, não tomou decisões conclusivas sobre as sugestões e propostas levantadas. Ficou para o conselho regional, a ser eleito mais tarde, a ajudar a região na concretização e na implementação dessas propostas.

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LMC, Amazônia

APOSTOLADO LEIGO MISSIONARIO DA CONSOLATA

ENCONTRA UM PAI NA PESSOA DO SUPERIOR GERAL

O grupo dos Leigos Missionários da Consolata (LMC) da Região Amazônia-Brasil é composto atualmente por 23 pessoas, provenientes das diversas Paróquias da Arquidiocese de Manaus. Apostolado Leigo Missionário da Consolata, assim gostamos de nos identificar, existe desde o ano de 2014 sob a orientação e o acompanhamento espiritual do Padre Denis, imc o grupo já passou por diversas fases como todo grupo iniciante, teve seus altos e baixos e milagrosamente vem se firmando e sendo gestado cada vez mais no Carisma da Consolata.

No dia 24 de abril do corrente ano, o grupo vivenciou um momento histórico ímpar na sua caminhada, um encontro com o superior geral do Instituto Consolata em um bate-papo fraterno e descontraído na casa da Consolata em Manaus– Amazonas. Pe. Stefano Camerlengo. Acolheu nossas interpelações e nos esclareceu pontos importantes acerca da identidade e missão dos leigos (as) no Instituto.

Após uma alegre acolhida o padre Stefano iniciou nos motivando a sempre perseverar mesmo perante as inevitáveis dificuldades da caminhada..., nos relatou como e onde se dá à presença do Instituto Consolata pelo mundo

afora, inclusive nos informou dos diversos grupos de leigos (as) já constituídos no Instituto, nos esclareceu muitas questões em relação a nossa caminhada enquanto leigos (as) dentro do Instituto, ressaltou que os leigos (as) como os demais membros (Padres, Irmãs e Irmãos) do Instituto são desejo e sonho do Fundador Beato Jose Allamano.

Maravilhosa experiência que nasce do encontrar o outro nos caminhos da vida...!

Pe. Stefano falou-nos da maravilhosa experiência que nasce dos encontros no campo da nossa breve existência humana, a partir dos quais somos impulsionados a sairmos de nós mesmos para acolher o outro como um irmão no coração, na vida, na prática do amor fraternal e da solidariedade tão necessária em nosso mundo marcado por tantos egoísmos e indiferença humana..., "Assim, nos ensina nossa Mãe Maria que ao receber o anuncio pelo anjo Gabriel da concepção do Filho divino e que sua prima Izabel já estava no sexto mês de gravidez.... Maria parte apressadamente ao encontro da parenta Izabel e logo que se encontram, Izabel exclama: como posso merecer que a mãe do meu senhor me venha visitar... logo que a ouvi, a criança

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estremeceu de alegria em meu ventre...," (cfr. Lc 1, 26-56) frisou o padre.

Também nós exclamamos quanta alegria sentimos em nosso ser ao encontrarmos Pe. Stefano, sendo ele o superior geral e de nos acolher como um pai e nos fazer sentir a alegria de que não estamos sozinhos no caminho, somos parte de uma família maior de missionários (as) do Instituto Consolata!

Pe. Stefano, disse-nos ainda da sua grande alegria em saber que após 50 anos de presença do Instituto Consolata na Amazônia (arquidiocese de Manaus), nosso grupo aparece como uma sementinha de esperança regada pelo amor e suor de tantos missionários (as) que por aqui passaram e ainda hoje estão presentes e doam suas vidas testemunhando que Deus é amor, e que vale a pena viver uma vida comprometida com seu Reino de Justiça e de Paz.

O grupo Apostolado Leigo Missionário da Consolata na Amazônia agradece de coração ao Instituto Missões Consolata na pessoa do querido Pe. Stefano por sua gentil atenção e por permitir a alegria desse nosso encontro fraterno, por acolher nós leigos da Amazônia terra profética e por possibilitar esperança aos nossos sonhos. Ao querido Pe. Bernard Denis Ofwono IMC por nos acompanhar como filhos (as) espirituais com tanto zelo e carinho, Deus em seu infinito amor os retribua por tanta generosidade, a mãe Consolata seja sempre nossa mestra nos ajude a trilhar e a permanecer sempre nos caminhos do seu Filho divino Mestre e Senhor das missões e do discipulado Missionário!

CRESCIMENTO ESPIRITUAL

Ao exemplo dos discípulos de Jesus, que às vezes eram convidados pelo Senhor a retirarem-se para lugares distante das multidões dando uma pausa nas exaustivas jornadas do Reino a respirar ares de renovação humana e espiritual e a estarem a sós com o Mestre. Assim o grupo Apostolado Leigo da Consolata Região Amazônia, mais uma vez realizou seu retiro grupal do primeiro semestre de 2016, sempre com uma proposta de temas que sirvam ao crescimento humano e espiritual do grupo que respira o cheiro do carisma Consolata.

O retiro foi propositadamente realizado no Santuário de Nossa Senhora Rainha do Rosário e da Paz de Itapiranga cidade que fica localizada a cerca de 300 quilômetros da capital Manaus– Amazonas. O retiro foi realizado nos dias 13, 14 e 15 de maio de 2016, no decorrer tivemos no dia 14 a festa de 99 anos das aparições de Nossa Senhora de Fátima, 22 anos das aparições em Itapiranga e no dia 15 a grande festa de Pentecostes que enriqueceu e fundamentou ainda mais nosso retiro.

Dessa vez fomos convidados pelo nosso diretor espiritual Pe. Denis, imc a refletir as pegadas de nossa Senhora Mãe, Mestra, Formadora e Educadora desde a manjedoura até pentecostes... Maria Mãe Consolata, nossa fundadora, educadora e consoladora..., Pe. Denis nos conduziu com maestria na reflexão acerca da humilde e postura de Nossa Senhora enquanto mãe e discípula do seu divino Filho Jesus. Maria foi sempre humilde e silenciosa, dificilmente aparece nos momentos de “glórias terrestres” do seu filho, mas sempre está presente nos momentos de sofrimento e de dor, na cruz estava ela ao lado do discípulo amado enquanto o Filho divino sofre a terrível dor do martírio e entrega do Espírito ao Pai, em tantos momentos de sofrimento da vida do Filho divino e dos filhos terrenos.

Nossa Senhora é presença marcante, serena e humilde; em pentecostes no cenáculo em oração aí estava ela junto aos apóstolos aguardando a vinda do paráclito, o Espírito Santo consolador,

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santificador e doador dos dons prometidos pelo divino Filho que após a ressurreição voltou ao Pai Eterno, mas prometeu permanecer sempre nos corações daqueles e daquelas, que como Ela, sabem acolher, aceitar e viver a vontade de Deus em suas vidas, no seu dia-a-dia, sendo mensageiros da misericórdia e da consolação. Esse foi o pano de fundo do nosso retiro do primeiro semestre de 2016. E o padre finalizou dizendo: “Sim, Ela é Nossa mãe, nossa mestra, educadora, formadora, no horizonte da imagem profética, há de nos guiar e acompanhar nossos passos de amor, misericórdia e Consolo. Que com ela os leigos (as) Missionários (as) da Consolata na Amazônia mantenham a luz e o propósito da evangelização viva nas famílias, através do discipulado-missionário; a paixão pelo reino e; a consagração única e exclusiva ao Deus da vida. Vinde Espírito Santo e renovai a Face da terra! Salve Maria! Mãe da eterna consolação! ”

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Os missionários da Consolata que atuam no Brasil se reuniram em Assembleia para avaliar suas atividades e eleger a nova direção para os próximos três anos. Realizado na casa regional da congregação, na zona Norte de São Paulo, dias 16 a 21 de maio, o encontro reuniu mais de 50 padres e seminaristas que trabalham nos estados do Paraná, Rio de Janeiro, Bahia, São Paulo e no Distrito Federal.

Em visita canônica ao Brasil, o superior Geral do Instituto Missões Consolata (IMC), padre Stefano Camerlengo, acompanhou os trabalhos e insistiu sobre a revitalização e restruturação da Congregação. “O mundo está mudando, a missão muda. Precisamos primeiramente sonhar a instituição que queremos. Depois, se perguntar como realizar este sonho. O coração de tudo é a missão. Se perdermos a missão não haverá mais razão de existir”, disse o padre Geral. “Essa revitalização visa qualificar a missão, valorizar os missionários e descentralizar a Congregação por meio de uma organização continental”. Padre Stefano visitou todas as comunidades IMC, conversou com os missionários, e ao defender a identidade e o carisma, questionou sobre as presenças e atividades de evangelização. No início, o objetivo do Fundador era claro: “Nós somos para a missão ad gentes. Hoje, assumimos uma série de atividades que podem descaracterizar a ideia original”.

Para iluminar os trabalhos da Assembleia houve

uma reflexão sobre a “Missão e Cooperação missionária”, tendo como base o documento de estudo da CNBB sobre o tema. (Doc. Estudo 108). A reflexão contou com a assessoria do secretário da Pontifícia União Missionária, padre Jaime Carlos Patias, IMC.

Considerando que o Instituto Missões Consolata foi fundado pelo Bem-aventurado José Allamano, sacerdote diocesano de Turim na Itália, para a missão ad gentes (os não cristãos), cabe perguntar se a Congregação hoje, é fiel ao seu carisma. Padre Patias recordou que “a Igreja é por sua natureza missionária” (AG 2). Por isso, “ela é chamada a ser testemunha de Cristo no mundo e na história, até os confins da terra e o final dos tempos”. A Igreja local é a principal responsável pela missão universal e as congregações, em especial as de carisma ad gentes, devem ser corresponsáveis nessa tarefa. Hoje podemos distinguir três âmbitos de missão: a Pastoral (nas comunidades cristãs); a Nova Evangelização (na sociedade), e a Missão ad gentes (aos povos). O desafio é, nas dioceses e paróquias, articular estas três dimensões, considerando que a missão é uma só tanto na comunidade quanto na sociedade e no meio dos povos.

Eleição da nova Direção

No dia 19 a Assembleia elegeu o padre Aquiléo Fiorentini (no centro da foto), novo superior

P. Paulo Mzé e P.Jaime C. Patias, IMC

MISSIONÁRIOS ELEGEM NOVO

SUPERIOR E CONSELHO REGIONAL

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Provincial do IMC no Brasil. Natural do Rio Grande do Sul, padre Aquiléo cursou teologia em Roma e trabalhou em Moçambique. Fez parte da Direção Geral em Roma por 12 anos: seis como conselheiro e seis como superior. Foram eleitos também como conselheiros, os padres Lírio Girardi (vice superior), Jaime Carlos Patias, Stephen Murungi e Paulo Mzé.

Dom Sérgio de Deus Borges, bispo auxiliar da arquidiocese de São Paulo, Região Santana, visitou a Assembleia onde presidiu missa. O bispo gradeceu o trabalho realizado pelos missionários em todo mundo e sobretudo na arquidiocese de São Paulo onde a Consolata é responsável por três paróquias, um Centro de Animação Missionária, um seminário teológico, além de ter sua casa regional. “A Igreja precisa de missionários com coragem de sair e ir ao encontro dos que mais necessitam. Para isso, é necessária fidelidade ao primeiro amor, Jesus Cristo e à consagração para a missão”, afirmou dom Sérgio.

Além de fundar, em 1901, a Congregação dos missionários da Consolata com padres e irmãos, o Bem-aventurado José Allamano fundou, em 1910, as Irmãs missionárias da Consolata. Juntas, as duas congregações estão presentes em 26 países da África, Ásia, Europa e América. No Brasil atuam 51 padres, um Irmão, quatro diáconos, três bispos e 16 seminaristas professos. O trabalho se desenvolve em 11 paróquias, três seminários e três centros de animação missionária.

A superiora Regional das Irmãs da Consolata no Brasil, Irmã Anair Voltolini, também esteve na Assembleia e partilhou o caminho de revitalização que elas realizam desde 2011. “O objetivo é dar mais qualidade de vida e melhor responder aos atuais desafios da missão”, explicou a religiosa. Na congregação, cerca de 70 irmãs brasileiras trabalham além-fronteiras.

Os missionários da Consolata no mundo somam hoje, mais de mil membros e as missionárias cerca de 600. Uma das missões mais ousadas é a presença, há 50 anos, entre os indígenas Yanomami na Amazônia brasileira. Na Ásia, chama a atenção o trabalho na Mongólia e em Taiwan, na porta da China. Na África, as missões Consolata se desenvolvem em 10 países.

A Assembleia concluiu com uma missa em ação de graças pelo jubileu dos padres que, este ano, completam 50 anos de ordenação (Adriano Prado, Lírio Girardi e João Monteiro da Felícia), 25 anos de ordenação (Olivando Lima) e 50 anos de profissão religiosa (Sabino Mariga). Para festejar, a paróquia Nossa Senhora Consolata ofereceu um almoço de confraternização.

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vorio

Depuis le 29/01/2016, en présence du Père Général, nous avons eu l’opportunité d’inaugurer et de bénir notre séminaire philosophique d’Abidjan. En ce jour historique de notre Institut, une messe solennelle a été célébrée en présence de nos trois séminaristes en philosophie et le soir on a clôturé par un repas fraternel. Depuis le 1er Mai, ils y habitent avec leur formateur le Père Martin.

Notre délégation a été bénie de deux nouveaux prêtres : le Père Raphael et le Père Jean-Baptiste (tous deux Kenyans) qui ont fait leur année de service en Côte d’Ivoire et qui ont été ordonnés au Kenya le 20 Février 2016. Ils ont été destinés en Côte d’Ivoire et retournent ici en leur terre de mission le 31 Mars 2016. Nous leur souhaitons un bon et fructueux ministère.

Pendant la deuxième semaine du mois de Février, nous avons accueilli notre confrère GREGORY de nationalité Tanzanienne qui vient de joindre notre mission en Côte d’Ivoire. Il était bien arrivé et le supérieur lui a demandé de vivre dans la communauté d’Abidjan au séminaire. Il y est depuis lors et a déjà commencé à apprendre la langue française à l’école de langue de Jésuites. A lui aussi nous disons AKWABA (welcome).

P. Lazaro Esnaola, IMC

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P. Michelangelo Piovano, IMC

COMUNICAZIONE N° 17

“Prendi il largo”

Nei giorni scorsi Papa Francesco nel suo Discorso introduttivo all’apertura dei lavori della 69ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.) ha citato una meditazione di dom Helder Camara dal titolo “Prendi il largo” che vorrei riportare qui per la nostra riflessione e meditazione perché è significativa anche per noi. Quando il tuo battello ancorato

da molto tempo nel porto

ti lascerà l’impressione ingannatrice di essere una casa,

quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell’immobilità del molo,

prendi il largo.

È necessario salvare a qualunque prezzo l’anima viaggiatrice del tuo battello

e la tua anima di pellegrino. E parti...

Partire è anzitutto partire da sé. Rompere quella crosta di egoismo

che tenta di imprigionarci nel nostro “io”.

Partire è non lasciarci chiudere negli angusti problemi

del piccolo mondo cui apparteniamo.

Qualunque sia l’importanza di questo nostro mondo,

l’umanità è più grande

ed è solo essa che dobbiamo servire. Partire: non divorare chilometri, attraversare mari, volare

a velocità supersoniche.

Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Partire è aprirci alle idee,

comprese quelle contrarie alle nostre. Significa mettersi in marcia

e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire

un mondo più giusto e più umano.

(Dom Helder Camara, Mille ragioni per vivere) Partire e prendere il largo vincendo la tentazione di fermarci pensando che non ce la facciamo, che non ne abbiamo le forze o che ormai non ne vale più la pena.

La Visita Canonica che abbiamo avuto all’inizio di quest’anno è stata per ognuno e per ogni comunità uno stimolo in questa direzione invitandoci a guardare al futuro con speranza. Speranza sono i nostri giovani in formazione e i giovani missionari che vogliamo accompagnare con amore e con i quali vogliamo anche trovare cammini formativi più autentici e pastorali dove la vera specializzazione è quella dell’incontro con gli altri nel dono di sé e nel servizio.

Speranza è il cammino che stiamo facendo come continente europeo con le altre circoscrizioni per rispondere alle sfide della missione in Europa mettendo insieme le nostre forze, i nostri doni e la ricchezza dell’esperienza missionaria di ognuno.

Speranza è sapere che non siamo soli in questo prendere il largo e che nella misura in cui ci apriamo agli altri, ai giovani , ai laici e facciamo loro spazio nel nostro cuore, nei nostri progetti e nelle nostre comunità allora la missione diventa più bella, più ricca, più completa.

Preghiamo e chiediamo allo Spirito la capacità di discernimento, chiediamo la grazia di aprirci

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e non di chiuderci, di partire e non di fermarci. Preghiamo e chiediamo la capacità di spogliarci e staccarci da tutto ciò che ci è di peso e ci impedisce di vivere con semplicità e autenticità la nostra vita personale e comunitaria.

Preghiamo e chiediamo alla Divina Provvidenza che metta nelle nostre mani solo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare ciò che è conforme alla volontà del Signore per il bene degli altri.

Grazie ai confratelli ammalati e anziani che pur nella sofferenza ci stanno dando un esempio di disponibilità, di amore all’Istituto, di vita di preghiera e di servizio con le capacità e le forze che ancora hanno.

Con questa premessa e in quest’ottica presento ciò che abbiamo trattato e deciso nella riunione del Consiglio Regionale del 10 e 12 maggio 2016.

1. Formazione di base

Nella riunione del Consiglio Continentale tenutosi a Varsavia sono state date alcune indicazioni per coloro che dovranno fare l’anno di servizio e per coloro che lo stanno facendo in questo momento: dovranno concludere gli studi intrapresi di specializzazione prima dell'ordinazione sacerdotale.

Le varie attività estive vedranno i nostri seminaristi impegnati nelle nostre comunità a Nervesa, Certosa, Parrocchia della Speranza, Platì, Galatina, Martina Franca e Bevera.

Si sta lavorando ad un progetto formativo per l'Europa. Facendo seguito alla riflessione fatta nel Consiglio Continentale e alle indicazioni della Visita Canonica alla RI, si stanno ripensando forme e stili di presenze formative nuove nel Continente e nella Regione.

2. Attività della Direzione–formazione permanente

Polonia – La Direzione Generale in marzo ha inviato il Decreto di incorporazione della Polonia alla RI. I missionari della comunità in Polonia ufficialmente fanno già parte della Regione. A

Padre Luca, Padre Ashenafi e P. Natanaele diamo il benvenuto nella nostra comunità regionale. Durante il Consiglio Continentale tenutosi a Varsavia Padre Michelangelo insieme con P. Ugo ha avuto un incontro con loro e si sono ribaditi quegli aspetti già indicati dalla DG per l’inserimento nella regione nel rispetto del cammino fatto e delle caratteristiche di questa nostra presenza. Si condividono anche alcuni aspetti pratici che saranno valutati insieme con la DG.

3. Consiglio Continentale Europeo

Progetto Continentale – il consiglio continentale si è incontrato a Varsavia per portare avanti la riflessione e stesura del documento sul Progetto Missionario Continentale. Per la Festa della Consolata, si manderà la bozza per una ulteriore sintesi da fare a livello regionale e da presentare entro il 31 ottobre 2016. Alcune domande, semplici, sono state suggerite a completamento del documento per aiutare nella riflessione ed ulteriori perfezionamenti.

Incontro ad gentes di Madrid – si è appena concluso il terzo incontro di riflessione sul nostro Ad Gentes in Europa dove hanno partecipato

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