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Scrittori e città: voci, sguardi, ricordi.

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Scrittori e città: voci, sguardi, ricordi.

Enrico Martines

Scrivani di bordo di una metaforica nave-città, come nell’ultimo libro di Cardoso Pires, Lisboa,

livro de bordo: vozes, olhares, memorações

1

; pellegrini anonimi, di passaggio per la capitale di un

paese la cui geografia corrisponde ad una mappa interiore, come il viajante saramaghiano

protagonista di Viagem a Portugal

2

; passeggeri di una automobile modernista, come il frettoloso

turista guidato da Fernando Pessoa in Lisbon: what the tourist should see

3

; sostanzialmente

viandanti, come il Piéton de Paris di Léon-Paul Fargue

4

. Sono solo alcuni esempi – quelli che

abbiamo preso in considerazione – di scrittori che hanno dedicato alla propria città (di nascita o di

adozione più o meno profonda) testi non di finzione in cui l’universo urbano non serve da scenario

per lo svolgimento di un intreccio narrativo, ma è esso stesso intreccio, rete di segni e personaggio

alla pari di chi, come lo scrittore, è impegnato a tracciare il proprio personalissimo percorso, fatto di

memoria e sentimento.

Lo scrittore è un testimone privilegiato della propria città, perché più di altri sensibile a luci,

colori, suoni e soprattutto all’aspetto umano di uno spazio che diviene eminentemente soggettivo.

Egli cerca di dare una possibile lettura a ciò che il mondo contemporaneo ha reso illeggibile, in

quanto estremamente confuso e complesso. Leggere il testo cittadino, la sua trama di significanti in

relazione dinamica, per restituirlo al lettore, trasformato e trasfigurato in discorso letterario, in un

testo in cui allo spazio reale vengano associati valori immaginari e in cui si realizzi e si proponga

quella che Pierre Sansot ha definito la «poétique de la ville», la forma più felice di integrazione

psicologica dello spazio cittadino

5

.

Per riuscire in questo intento, lo scrittore non può limitarsi all’immagine stereotipata della

città. Il rapporto di profonda complicità che egli intrattiene con lo spazio urbano gli consente di

ricercarvi un significato più profondo. Perché la ricerca abbia un senso è necessario che il segreto si

celi dietro l’apparente oggettività degli elementi cittadini e che sia raggiungibile solo grazie ad una

esperienza personale, ad un vissuto

6

.

Il viaggiatore della propria città – lo sottolinea Saramago – è diverso dal turista che «vai,

olha, faz que entende, tira fotografias»

7

e, entusiasta, pensa di conoscere. Conoscere è un processo

molto più graduale, significa raggiungere una intimità che consente – come suggeriva Barthes – di

abitare la dimensione erotica del discorso urbano, di riconoscere la sua natura infinitamente

metaforica

8

.

Lo scrittore si fa allora soggetto errante, viaggia senza mappe o itinerari prestabiliti – lui è

del posto e non ne ha bisogno – non cerca una rassicurante conferma di un’immagine predefinita ma

si perde volutamente nella rete di segni, disponendosi a decodificare il loro messaggio recondito

9

.

Nel suo Livro de bordo Cardoso Pires afferma che «ninguém poderá conhecer uma cidade se não a

souber interrogar, interrogando-se a si mesmo»

10

. Commentando il suo lavoro in una intervista al

Jornal de Letras andrà oltre, smentendosi parzialmente: per capire la realtà urbana, per viverla,

1 Cardoso Pires 1997. 2 Saramago 1981. 3 Pessoa 1992. 4 Fargue 1939. 5 Sansot 1973. 6 Ibid., pp. 47-53.

7 Trad.: «gira, guarda, fa finta di capire, scatta fotografie». Saramago1981,p. 299.

8 Vedi Isabel Margato, «Movimentos de escrita e a arte de habitar as cidades» in Lepecki (a cura di) 1987, p. 115. 9 Margato [2000].

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2

bisogna essere capaci non solo di porle delle domande – «isso qualquer turista faz»

11

, dice Cardoso

Pires – ma occorre sentirsi interrogati dalla città, messi in discussione, interagire con essa ed essere

parte del suo tessuto: «nas cidades de que gosto […] sinto-me interrogado. Em toda a parte há

bocados de mim»

12

.

Viaggiare nel proprio paese, nella propria città, significa – come sottolinea Saramago –

viaggiare all’interno di se stessi, riflettendo dentro di sé le immagini della propria identità

culturale

13

. Sicuramente Cardoso Pires non ignora la sua cultura quando sceglie di definire il suo

testo «livro de bordo»: l’immagine che presiede la descrizione dei meandri più intimi della Lisbona

piresiana è quella della città-nave che guarda l’Oceano, con cui ha un millenario rapporto di

attrazione-dipendenza, e si lascia alle spalle l’Europa

14

, è un luogo di frontiera, zattera di pietra in

miniatura rispetto a quella saramaghiana, che includeva l’intera penisola iberica

15

:

Logo a abrir, apareces-me pousada sobre o Tejo como uma cidade de navegar. Não me admiro:

sempre que me sinto em alturas de abranger o mundo, no pico dum miradouro ou sentado numa

nuvem, vejo-te em cidade-nave, barca com ruas e jardins por dentro e até a brisa que corre me sabe a

sal. Há ondas de mar aberto desenhadas nas tuas calçadas; há âncoras, há sereias. O convés, em

praça larga com uma rosa dos ventos bordada no empedrado, tem a comandá-la duas colunas saídas

das águas que fazem guarda de honra à partida para o oceano. Ladeiam a proa ou figuram como tal, é

a ideia que dão; um pouco atrás, está um rei-menino montado num cavalo verde a olhar, por entre

elas, para o outro lado da Terra e a seus pés vêem-se nomes de navegadores e datas de

descobrimentos anotados a basalto no terreiro batido pelo sol. Em frente é o rio que corre para os

meridianos do paraíso. O tal Tejo de que falam os cronistas enlouquecidos, povoando-o de tritões a

cavalo de golfinhos

16

.

Ma in quell’immagine iniziale di città-nave c’è evidentemente una veduta d’insieme

dell’oggetto della sua posteriore attività decifratrice, un condensato di simboli, un’allegoria

preliminare che implica un distanziamento, unico modo di ottenere una visione complessiva; presa

di distanza indispensabile per ritrovare un senso nei luoghi della città, altrimenti svuotati dalla loro

costante esibizione, dalla quotidianità dell’uso; la distanza di chi però ha già una confidenza

estrema con il tessuto cittadino e rifiuta esplicitamente di accontentarsi delle immagini panoramiche

11 Trad.: «questo lo fa qualsiasi turista». Rodrigues da Silva 1997, p. 18.

12 Trad.: «nelle città che mi piacciono [...] mi sento interrogato. Dappertutto ci sono pezzi di me». Ibid.

13 «O viajante viajou no seu país. Isto significa que viajou por dentro de si mesmo, pela cultura que o formou e está

formando, significa que foi, durante muitas semanas, um espelho reflector das imagens exteriores, uma vidraça transparente que luzes e sombras atravessaram, uma placa sensível que registou, em trânsito e processo, as impressões, as vozes, o murmúrio infindável de um povo». [Trad.: «Il viaggiatore ha viaggiato nel proprio paese. Il che significa che ha viaggiato all’interno di se stesso, per la cultura che lo ha educato e lo sta educando, significa che per molte settimane è stato riflettore delle immagini esterne, un vetro trasparente attraversato da luci e ombre, una faccia sensibile che ha registrato, in transito e progresso, le impressioni, le voci, il mormorio interminabile di un popolo»]. Saramago 1981, pp. 13-14.

14 Più avanti l’autore scriverà proprio: «Tal como estou tenho a cidade pelas costas. Comércio, multidão, Europa, fica

tudo para trás». [Trad.: «Nella posizione in cui mi trovo, ho la città alle mie spalle. Commerci, moltitudini, l’Europa, tutto rimane alle mie spalle»].

15 Il riferimento è al romanzo di José Saramago, A Jangada de Pedra, (La zattera di pietra), del 1986.

16 Cardoso Pires 1997, p. 7. [Trad.: «Da subito mi appari posata sul Tago come una città che sta navigando. Non mi

sorprende: ogni volta che mi sento in vena di acchiappare il mondo, dall’alto di un belvedere o adagiato su una nuvola, ti vedo come una città-nave, un’imbarcazione con strade e giardini al suo interno e persino la brezza che soffia sa di sale. Ci sono onde di mare aperto disegnate nei tuoi marciapiedi; ci sono ancore, ci sono sirene. Il ponte, una larga piazza con una rosa dei venti ricamata sul selciato, è comandato da due colonne affiorate dalle acque che fanno il picchetto d’onore alla partenza per l’oceano. Fiancheggiano la prua, o così almeno sembra, è l’idea che danno; un po’ più indietro, sta un re-bambino montato su un cavallo verde a guardare, in mezzo ad esse, verso l’altro lato della Terra e ai suoi piedi si vedono nomi di navigatori e date di scoperte annotati in basalto nello spiazzo battuto dal sole. Di fronte c’è il fiume che scorre verso i meridiani del paradiso. Quel Tago di cui parlano i cronisti impazziti, popolandolo di tritoni a cavallo di delfini»].

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3

– «para mim, panorâmicas e vistas gerais são quase sempre frases feitas ou cenários de catálogo»

17

– per accingersi ad esplorare i suoi percorsi più misteriosi perché, in fondo, «a distância inventa

cidades»

18

, ne dà un’immagine falsa.

Se viaggiare nella città è anche un viaggio all’interno di se stessi, non è un caso che la

deambulazione inizi con il quartiere della propria infanzia: José Cardoso Pires comincia da Arroios,

così come Fargue, nel suo Piéton de Paris, intitola il primo capitolo «Mon quartier», la Chapelle,

microcosmo più vicino e più noto, sorta di porto sicuro cui tornare per cominciare il proprio

itinerario di pedone:

Il y a des années que je rêve d’écrire un «Plan de Paris» pour personnes de tout repos, c’est-à-dire

pour des promeneurs qui ont du temps à perdre et qui aiment Paris. Et il y a des années que je me

promets de commencer ce voyage par un examen de mon quartier à moi, de la gare du Nord et de la

gare de l’Est à la Chapelle, et non pas seulement parce que nous ne nous quittons plus depuis

quelque trente-cinq ans, mais parce qu’il a une physionomie particulière, et qu’il gagne à être

connu.

19

Come ha scritto lo stesso Cardoso Pires:

O que faz com que uma cidade seja habitada, não é a população que deambula nas suas ruas sem

dialogar com a paisagem por onde ela caminha. O que faz com que uma cidade seja habitada, que ela

tenha uma alma, é o seu engajamento cultural com relação ao traçado que a configura e aos

habitantes que a fazem viver.

Mais ainda: são também, com sua permissão, a cor e voz que os artistas e escritores descobrem

pouco a pouco nela, e que permitem melhor vê-la e sublinhar-lhe a singularidade

20

.

Sono proprio questi gli elementi che più rivivono nel diario piresiano: quanto al colore, il

nostro scrivano di bordo rigetta – in modo abbastanza risentito – il cliché posticcio della «Ville

blanche», applicato da Alain Tanner nel suo film su Lisbona e abbraccia l’immagine pessoana di

una «Lisboa, com suas casas de várias cores», colori contrastanti e mutevoli:

Cor. De Lisboa è caso para dizer que até os daltónicos lhe discutem a cor. Veja lá, de preferência o

ocre pombalino, recomenda un byroniano de passagem. O verde, o verde, contrapõe alguém logo a

seguir, com os olhos no Terreiro do Paço, «até o cavalo de D. José vai ficando verde, comido de

mar», já lá dizia Cecília Meireles. Ou o branco, o branco lembra espumas de oceano, cal de muros,

Mediterrâneo, «sente-se uma nostalgia branca...», escreveu Mary McCarthy numa Carta de Portugal

e Alain Tanner, cineasta civilizado, não esteve com mais aquelas e chamou a isto Cidade Branca.

Cidade Branca, que cegueira a deste Tanner lumière. É cor, o branco do filme dele ou é metáfora?

Interroga as impetuosidades duma luz que no mesmo lugar, no mesmo instante e na mesma cor

nunca se repete? Pergunto

21

.

17 Cardoso Pires 1997, p. 10. [Trad.: «per me, panoramiche e vedute globali sono quasi sempre frasi fatte o scenari da

catalogo»].

18 Cardoso Pires 1997, p. 11. [Trad.: «la distanza inventa le città»].

19 Fargue 1939, p. 17. [Trad.: «Sono anni che sogno di scrivere una «Guida di Parigi» per persone di tutto riposo, ossia

per passeggiatori che hanno del tempo da perdere e che amano Parigi. E sono anni che mi riprometto di cominciare questo viaggio con un’analisi del mio quartiere, dalla Gare du Nord e dalla Gare de l’Est alla Chapelle, e non solo perché noi non ci siamo più lasciati da circa trentacinque anni, ma perché esso ha una fisionomia particolare, e perché merita di essere conosciuto»].

20 José Cardoso Pires, «Lisboa sem alma» in Público, Lisboa, 24-1-1993, citato in Lepecki (a cura di) 2003, p. 101.

[Trad.: «Ciò che fa sì che una città sia abitata non è la popolazione che deambula nelle sue strade senza entrare in dialogo con il paesaggio in cui cammina. Ciò che fa sì che una città sia abitata, che abbia un’anima, è la relazione culturale messa in atto tra il tracciato che la configura e gli abitanti che la fanno vivere. Ancor di più: sono anche, se mi permette, il colore e la voce che gli artisti e gli scrittori vi scoprono poco a poco, e che permettono di vederla meglio e di sottolinearne la singolarità»].

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4

Quanto alle voci, Cardoso Pires dimostra una straordinaria capacità di cogliere l’aspetto

fonico e prosodico del linguaggio cittadino, la particolare sintassi di ogni quartiere, come segno

rivelatore dello spirito del luogo e di chi vi abita. La strada ha infatti il potere di realizzare una

liberazione del linguaggio, una parola viva e creativa che rompe le barriere imposte dal sistema e

tende a trasformarsi all’interno dello spazio fisico che la rende udibile, caricandosi dell’esperienza

del suo uso quotidiano

22

. Il valore aggiunto del parlare lisbonense non risiede solo nel lessico

gergale o nella costruzione della frase, tratti di per sé rivelatori della particolare ironia degli abitanti

di Lisbona: questi elementi, diversi di quartiere in quartiere, sono tipici di ogni grande città; la vera

peculiarità è rintracciata in quella che l’autore definisce la «sintassi vocale»

23

, il tono di una «acidità

quasi gutturale» ereditato dalla vecchia tradizione dei banditori di strada

24

, ed i puntelli espressivi –

il cuspir fininho

25

, il mandar vir

26

, il ponto mosca – con cui il vero lísbia

27

esprime il suo

colore. Guardi un po’, preferibilmente l’ocra pombalino, raccomanda un byroniano di passaggio. Il verde, il verde, ribatte qualcuno subito dopo, con gli occhi al Terreiro do Paço, “persino il cavallo di D. José sta diventando verde, mangiato dal mare”, diceva Cecília Meireles. O il bianco, il bianco ricorda schiume di oceano, calce di muri, Mediterraneo, “si sente una nostalgia bianca…”, ha scritto Mary McCarthy in una Lettera dal Portogallo e Alain Tanner, cineasta civilizzato, non c’è stato a pensar su tanto e ha chiamato questa la Città Bianca. Città Bianca, che cecità quella di questo Tanner lumière. È colore, il bianco del suo film o è metafora? Interroga le impetuosità di una luce che nello stesso posto, nello stesso istante e nello stesso colore non si ripete mai? Domando»].

Nella già citata intervista a Rodrigues da Silva (1997) pubblicata nel JL, n° 707, aggiunge: «O Tanner desembarcou cá como um janota da Suiça que veio ver o que é que se passa aqui com estes pobres rapazes do Sul, que não sei que língua falam ou se comem com os pés ou como é que é, esses trogloditas, coitados. E foi ao Casbah. O que é que o filme conta de Lisboa? Coisa nenhuma, rigorosamente nada. [...] Porque é que Tanner chamou branca a Lisboa? Porque é fácil, porque todo o sapateiro, todo o tipo de imagens rápidas chama-lhe branca. Há bocados de Lisboa que são brancos, mas há muitas cidades mais brancas que Lisboa. O que eu acho espantoso em Lisboa é o que Pessoa disse dela. E ele nunca disse que era branca, disse sempre que era a cidade das mil cores» (p. 18). [Trad.: «Tanner è sbarcato qui come un bellimbusto svizzero che è venuto a vedere cosa succede qua a questi poveri ragazzi del Sud, che chissà che lingua parlano o se mangiano con i piedi o come è che sono questi poveri trogloditi. Ed è andato alla Casbah. Cosa racconta il film di Lisbona? Nulla, assolutamente nulla. […] Perché Tanner ha detto che Lisbona è bianca? Perché è facile, perché qualsiasi calzolaio, ogni tipo di immagine sbrigativa la chiama bianca. Ci sono parti di Lisbona che sono bianche, ma ci sono molte città più bianche di Lisbona. Quello che io trovo sorprendente in Lisbona è ciò che Pessoa ha detto di lei. E lui non ha mai detto che era bianca, ha detto sempre che era la città dai mille colori»].

22 Sansot 1973, pp. 177-181.

23 Nell’intervista a JL, n° 707, Cardoso Pires dice: «Esse “espírito do lugar” revela-se, entre outras coisas, no discurso

lisboeta, já sabemos. Mas ao falar do discurso, não é o linguajar, nem o achado vocabular e, muito menos, o calão que eu aponto como mais-valia. Não, o que deslumbra é a sintaxe – outra sintaxe, esta agora da voz –, a sintaxe em que o lisboeta de raiz assenta a frase, os reforços expletivos, por exemplo, com que ele transmite um humor, e que não é mais do que uma outra expressão do seu “espírito do lugar”» (p. 17). [Trad.: «Questo “spirito del posto” si rivela, tra le altre cose, nel discorso lisbonense, come sappiamo. Ma quando parlo del discorso, non è la parlantina, né la ricercatezza lessicale e, ancor meno, il gergo che io segnalo come valore aggiunto. No, quello che sorprende è la sintassi – un’altra sintassi, quella della voce – la sintassi in cui il lisbonense puro costruisce la frase, i puntelli espressivi, per esempio, con cui egli trasmette un umore, e che non è altro che un’ennesima espressione del suo “spirito del posto”»].

24 «Na circunstância há uma acidez quase gutural a rematar a voz mas quem for de ouvido e preceito saberá que muitas

vezes não se trata de um espalhafato, duma arruaça. Que se resume a um travo natural que será talvez um resto dos antigos pregões da rua» (Cardoso Pires 1997, p. 35). [Trad.: «Nella circostanza c’è una acidità quasi gutturale che conclude la voce ma chi ha orecchio esperto saprà che molte volte non si tratta di una chiassata, di una piazzata. Che si riduce ad un imbarazzo naturale che sarà forse un resto degli antichi bandi di strada»].

25 Nell’edizione italiana, «sputacchiare acrobatico». La definizione che ne dà Cardoso Pires a p. 35 del suo Livro de

Bordo è: «Contestar com argúcia pelo avesso», ossia «Replicare con arguzia all’inverso».

26 Nell’edizione italiana, viene tradotto con il «come lei comanda». Cardoso Pires ce lo spiega come una generica

provocazione, scrivendo a p. 32 del suo Livro de Bordo: «Para já, ao discurso chama música e à provocação mandar-vir, quer-se melhor?».

27 Spiega l’autore a p. 32 del suo libro: «Desta sorte, se um lísbia da Madragoa, de Alcântara ou de Campo de Ourique –

um lísbia, pronto, um praticante vivido de Lisboa – me estivesse a ouvir falar para aqui de heresias e de assuntos ao desmando faria a tudo que sim e não acrescentaria mais nada. ‘Ponto-mosca’, é o termo com que se designa essa forma de pautar e, que me lembre, ainda não vi arte mais expedita para dar fio ao assunto e avaliar os intuitos». [Trad.: «Di modo che, se un lísbia di Madragoa, di Alcântara o di Campo de Ourique – un lísbia, un frequentatore vissuto di

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5

particolare umore. Un discorso, quello sulla sintassi cittadina, suggerito con i toni rapidi e vivaci

che caratterizzano questo diario di bordo – che è, secondo il suo stesso autore «uma coisa leve, um

ponto de partida para um dia aprofundar»

28

– ma che Cardoso Pires si riprometteva di sviscerare in

una successiva edizione del suo lavoro.

L’itinerario proposto dallo scrittore è, inevitabilmente, anche una rotta culturale della

propria città. Questo ci si aspetta da lui: che sappia evidenziare i luoghi in cui la cultura si è

manifestata, che sia in grado di legare ambienti e interpreti di quella letteratura di cui è egli stesso

un protagonista, con particolare riferimento agli scrittori che compongono il suo personale itinerario

sentimental-letterario. Dunque, la sua scrittura tende a rivisitare e ad attualizzare la scrittura altrui, a

sottolineare l’eredità, viva nel presente, della parola letteraria passata. Non solo la parola altrui ma

anche la propria: la Daisy cui Cardoso Pires si rivolge in un capitolo del Livro de Bordo, la

destinataria dei versi di Álvaro de Campos, il cui nome appare in mosaico nel marciapiede della

Avenida de Roma, riecheggia un precedente scritto piresiano, «O Viajante Anunciado», testo di

apertura della raccolta A Cavalo no Diabo. Analogamente, i leggendari corvi di São Vicente,

descritti dall’autore come appassionati frequentatori di osterie, rimandano al «Corvo Taberneiro»

protagonista della narrativa che apre il volume A República dos Corvos

29

.

In questa città di scrittori e di scrittura non è un caso che per Cardoso Pires sia lo Chiado –

dove tanta letteratura è stata ambientata e dove tanti movimenti sono sorti – il quartiere che può fare

di Lisbona una città-simbolo:

É possível definir Lisboa como um símbolo. Como a Praga de Kafka, como a Dublin de Joyce ou a

Buenos Aires de Borges. Sim, é possível. Mas, mais do que as cidades, é sempre um bairro ou um

lugar que caracterizam essa definição e a fidelidade tantas vezes inconsciente que lhes dedicamos. O

Chiado, neste caso. A sua geografia cultural, o seu resplendor diurno, a paz provinciana das suas

ruas à noite, tanta coisa, tanta coisa

30

.

E proprio perché lo Chiado meglio rappresenta l’ambiente di cui lo stesso autore fa parte, è

evidente il suo coinvolgimento personale nel commento all’incendio che sconvolse quel quartiere

nel 1988:

Hoje, quando atravesso esse rosto corrompido de Lisboa vejo-o como uma ferida aberta na nossa

memória colectiva. Mais ainda: é um pouco da memória de mim mesmo que ficou destroçada porque

também eu subi o Chiado em diferentes idades dos meus livros e com amigos de diferentes gerações.

Assim, por mais rápida que seja a cicatrização destas paredes fantasmas, sei que ficará para sempre

um fumo, uma sombra dolorosa a enevoar-me o passado

31

.

Lisbona – mi stesse ascoltando mentre parlo qui di eresie e di argomenti a vanvera, a tutto farebbe cenno di sì e non aggiungerebbe nient’altro. Ponto-mosca è il termine con cui di designa questo modo di comportarsi e, che mi ricordi, non ho ancora visto un’arte più efficace per portare avanti il discorso e valutare le intenzioni»].

28 Rodrigues da Silva 1997, p. 18. [Trad.: «una cosa lieve, un punto di partenza da approfondire un giorno»].

29 Vedi Carlos Reis, «José Cardoso Pires, A Cavalo no Diabo: aproximações e derivações», e Maria Fernanda de Abreu,

«De um Corvo e um Narrador con(v)iventes: a Lisboa de José Cardoso Pires», in Lepecki (org) 2003, pp. 9-23 e 129-137.

30 Cardoso Pires 1997, p. 74. [Trad.: «È possibile definire Lisbona un simbolo, come la Praga di Kafka, come la

Dublino di Joyce o la Buenos Aires di Borges? Sì, è possibile. Ma più che la città in sé, è sempre un quartiere o un luogo a caratterizzare questa definizione, e la fedeltà, molto spesso inconscia, che gli dedichiamo. Lo Chiado, in questo caso. La sua geografia culturale, il suo splendore diurno, la pace provinciale delle sue vie di notte, tante cose, tante cose»].

31 Ibid., p. 73. [Trad.: «Oggi, quando attraverso quel volto mutilato di Lisbona, lo vedo come una ferita aperta nella

nostra memoria collettiva. Ancora di più: è un po’ della memoria di me stesso che è andata distrutta, perché anch’io sono salito su per lo Chiado in differenti epoche dei miei libri e con amici di generazioni diverse. Così, per quanto rapida possa essere la cicatrizzazione di queste pareti fantastiche, io so che ci sarà sempre un fumo, un’ombra dolorosa ad annebbiarmi il passato»].

(6)

6

Ma il coinvolgimento si manifesta anche nell’appassionato ricordo del Largo do Carmo

come luogo della rivoluzione, cuore di una Lisbona finalmente nelle mani del popolo, che si

riappropria della strada per farne «o palco da hora que libertou um país»

32

:

Largo do Carmo do ano de 74, quem o pode esquecer? Era primavera e a capital proclamava a

Revolução dos Cravos diante dos donos da Ditadura encurralados num quartel

33

.

Cardoso Pires segue itinerari intimi, la sua città è rivisitata, detta e contraddetta «sempre em

amor sofrido»

34

. Ma fino ad un certo punto, se è vero, come dice in intervista, che la sua Lisbona

più vissuta – quella di Alvalade, di Praça do Chile, della Avenida Almirante Reis, della birreria

Portugália – non è inserita in questo libro ma vive, con i suoi personaggi-tipo, interpreti di una

marginalità molto ben connotata, nelle cronache raccolte in A Cavalo no Diabo

35

.

Lisbona è anche una città tatuata, fisicamente segnata da figure, simboli, date, che si

ripetono, nelle calçadas e negli azulejos

36

e che contribuiscono a creare l’identità complessiva di

una città che ricrea la propria unità plurale proponendo varianti dei suoi temi peculiari:

Em Lisboa, entre os desenhos de calçada e os azulejos decorativos há uma estranha relação. Ou pelo

menos parece. Uma pessoa pode um dia levantar os olhos do chão e ver numa parede à sua frente a

figura que acabou de ter aos pés mas agora tratada a cores vidradas e numa outra configuração. [...]

uma cidade capaz desta e de tantas variantes sobre cada tema, longe de se repetir, recria e ganha uma

unidade plural. Para mim, a Lisboa que se diz de mármore e granito é antes, uma capital de calçadas

em renda negra a espelharem-se nos azulejos que a enriquecem de cor e brilho

37

.

Una delle realizzazioni più recenti, la metropolitana delle stazioni artistiche lo conduce in

una suggestiva esplorazione sotterranea in cui si instaura una interessante dialettica tra il dentro ed

il fuori, tra il sopra e il sotto, che mette in evidenza la significativa rete di reciproci rimandi tra il

sottosuolo e la superficie:

Exacto. Uma cidade que se desdobra, espelhando-se. [...] Vou num comboio de estações de arte,

diz-me o olhar. [...] esta continuidade do exterior com o interior e do real com o figurativo dá uma

outra dimensão ao nosso olhar.

Depois da geometria das calçadas que se continua em geometria de mosaico nos corredores do

metropolitano, depois da versão subterrânea do Marquês de Pombal que acompanha a da estátua a

céu aberto da Rotunda, depois do Zoo Municipal seguido do Zoo imaginário de Júlio Resende,

depois dos empedrados decorativos que saem das ruas e se renovam, por exemplo, nas estações de

Sete Rios ou do Campo Grande, a cidade espelha-se, desdobra-se. De passagem em passagem, os

32 Ibid., p. 75. [Trad.: «il palco dell’ora che ha liberato un paese»].

33 Ibid. [Trad.: «Largo do Carmo dell’anno del 74, chi lo può dimenticare? Era primavera e la capitale proclamava la

Rivoluzione dei Garofani davanti ai padroni della Dittatura braccati in una caserma»].

34 Ibid, p. 13. [Trad.: «sempre con un amore sofferto, vissuto»].

35 Nella citata intervista a Rodrigues da Silva (p. 17) si legge: «JL – Esta sua “Lisboa” é uma geografia sentimental de

sítios. Pelos quais, curiosamente, a sua vida não passa. É por pudor?» «JCP – Talvez. Mas no meu livro A Cavalo no

Diabo falo nisso: na Avenida Almirante Reis, nos imperadores do Chile, nos bailes, na Lisboa nocturna, a minha vida».

[Trad.: «JL – Questa sua “Lisbona” è una geografia sentimentale di luoghi. Nei quali, curiosamente, la sua vita non passa. È per pudore?» «JCP – Probabilmente. Ma nel mio libro A Cavalo no Diabo parlo di questo: della Avenida Almirante Reis, degli imperatori del Chile, dei balli, della Lisbona notturna, la mia vita»].

36 Gli azulejos sono piastrelle di ceramica, dipinte generalmente in toni di azzurro, utilizzate per rivestire pareti e

facciate di edifici.

37 Cardoso Pires 1997, p. 95 e p. 98. [Trad.: «A Lisbona, tra i disegni dei marciapiedi e gli azulejos decorativi c’è una

strana relazione. O per lo meno così sembra. Una persona, un giorno, può sollevare gli occhi da terra e vedere nella parete che ha davanti la figura che aveva ai suoi piedi ma ora trattata con colori vetrificati e con un’altra configurazione. […] una città capace di questa e di tante altre varianti dello stesso tema, lungi dal ripetersi, ricrea e acquista una unità plurale. Per me, la Lisbona che si dice di marmo e granito è, piuttosto, una capitale di marciapiedi di merletto nero che si specchiano negli azulejos che la arricchiscono di colore e lucentezza»}.

(7)

7

murais e as esculturas que vou percorrendo aproximam-me cada vez mais da Lisboa que me está por

cima e da minha identificação com ela

38

.

Nel valutare testi come quelli che ho inizialmente citato occorre tener presente non solo la

particolare personalità dell’autore, ma anche le motivazioni che lo hanno portato a scrivere un

omaggio letterario alla propria città. Ci troviamo di fronte, nei casi presi in esame, a testi di

differente natura.

Cardoso Pires è stato in tutto il corso della sua opera il cronista di Lisbona, la città in cui non

nacque ma che è sua da quando aveva otto anni. Oltre alle citate cronache, gli ha dedicato un altro

testo Lisboa: vistas da cidade (incluso nel volume collettivo Um olhar português) in cui avviava la

sua attività interpretativa della capitale, vista come un «corpo para ler e decorar

39

». E lo statuto di

scrittore di Lisbona era accettato da Cardoso Pires con piacere ed orgoglio. Il Livro de Bordo fu

abbozzato in una prima versione allargata nel 1994, in coincidenza con la designazione di Lisbona

come Capitale Europea della Cultura e successivamente ripreso e pubblicato in occasione della

Expo ’98; si tratta del momento finale del suo appassionato rapporto con la città o, come dichiara lo

stesso autore, di «um ajuste de contas comigo mesmo para com uma cidade que eu me fartei de ver,

e vejo sempre interpretada de uma maneira um bocado convencional e que eu vejo de uma maneira

muito diferente»

40

. Questo libro è proprio questo: come dice in un’altra intervista, è «uma espécie

de levantamento que desse, com toda a sinceridade, o modo como sinto Lisboa»

41

. Un’opera

volutamente non esaustiva, pudicamente soggettiva, fatta di voci, di sguardi e di ricordi.

Se Pires rigetta l’approccio degli «eruditos em trânsito», quei viaggiatori che seguono

itinerari fatti di monumenti e di musei per stare a posto con la propria coscienza culturale e che

vanno su e giù per Alfama e Mouraria

42

, chissà che non abbia incluso in questa categoria anche il

viajante saramaghiano; colui che, per sua stessa ammissione, «gosta de museus»

43

e ama perdersi

38 Ibid., p. 99 e pp. 106-107. [Trad.: «Esatto. Una città che si duplica, specchiandosi. […] Vado in un treno dalle

stazioni artistiche, mi dice lo sguardo. […] questa continuità dell’esterno con l’interno e del reale con il figurativo dà un’altra dimensione al nostro sguardo. Dopo la geometria dei marciapiedi che continua nella geometria dei mosaici nei corridori della metropolitana, dopo la versione sotterranea del Marchese di Pombal che accompagna quella della statua a cielo aperto della Rotonda, dopo lo Zoo Municipale seguito dallo Zoo immaginario di Júlio Resende, dopo le pavimentazioni decorative che escono dalle strade e si rinnovano, per esempio, nelle stazioni di Sete Rios o di Campo Grande, la città si specchia, si duplica. Di passaggio in passaggio, i murali e le sculture che percorro mi avvicinano sempre di più alla Lisbona che sta sopra di me e alla mia identificazione con essa»].

39 Trad.: «un corpo da leggere e imparare a memoria».

40 Stralcio di intervista citata nel sito www.citi.pt/cultura/literatura/romance/cardoso_pires/exc_lisb_bordo.html. [Trad.:

«una resa dei conti con me stesso nei confronti di una città che sono stufo di vedere, e vedo sempre, interpretata in una maniera un po’ convenzionale e che io vedo in un modo molto differente»].

41 Rodrigues da Silva 1997, p. 17. [Trad.: «una specie di indagine che rendesse, con la massima sincerità, il modo come

io sento Lisbona».

42 «Há eruditos em trânsito que praticam as vias-sacras dos monumentos para ficarem de bem com a consciência

cultural, vi disso aos montes; há os romeiros de dança tarântula, Alfama abaixo, Mouraria acima, por amor aos labirintos de roteiro; há os viajantes de museu para os quais este mundo tem de andar sempre muito bem datado e arrumadinho; há de tudo» (Cardoso Pires 1997, p. 11). [Trad.: «Ci sono gli eruditi di passaggio che praticano le vie sacre dei monumenti per rimanere a posto con la coscienza culturale, ne ho visti a mucchi; ci sono i pellegrini tarantolati, giù per l’Alfama, su per la Muraria, per amore dei labirinti da itinerario; ci sono i viaggiatori da museo per i quali questo mondo deve essere sempre molto ben datato e catalogato; c’è di tutto»].

43 «O viajante gosta de museus, por nada deste mundo votaria a sua extinção em nome de critérios porventura

modernos, mas não se resignará nunca ao catálogo neutral que toma o objecto em si, o define e enquadra entre outros objectos, radicalmente cortado o cordão umbilical que os ligava ao seu construtor e ao seu utilizador» (Saramago 1981, p. 293). [«Il viaggiatore ama i musei, per nulla al mondo voterebbe la loro estinzione in nome di criteri più o meno moderni, ma non si rassegnerà mai al catalogo neutrale che prende l’oggetto in sé, lo definisce ed inquadra tra altri oggetti, tagliando radicalmente il cordone ombelicale che li legava al loro costruttore e al loro utilizzatore»].

E più avanti suggerisce (p. 294): «vivendo a sociedade portuguesa tão acentuada crise de gosto (particularmente na arquitectura e na escultura, no objecto de uso corrente, no envolvimento urbano), não faria mal nenhum aos árbitros e responsáveis dessa geral corrupção estética, e algum bem faria àqueles poucos ainda capazes de lutarem contra a corrente que nos vai asfixiando, irem passar umas tardes ao Museu de Arte Popular, olhando e reflectindo, procurando

(8)

8

proprio in Alfama e Mouraria, per percepire – senza pretendere di capire – «as primeiras palavras

deste discurso imenso de casas, de pessoas, de histórias, de risos e inevitáveis choros»

44

. Questo

viaggiatore è un erudito dalla spiccata e ironica coscienza critica, con una personalissima e spesso

caustica opinione sugli interventi urbanistici succedutisi negli anni, a cominciare dalla ricostruzione

pombalina che succedette il devastante terremoto del 1755, portatrice di un violento taglio culturale

tra la città e la sua gente:

O viajante […] vai imaginando que Lisboa haveria neste lugar se não tem vindo o terramoto.

Urbanisticamente, que foi que se perdeu? Que foi que se ganhou? Perdeu-se um centro histórico,

ganhou-se outro que, por força do tempo passado, histórico se tornaria. [...] o viajante, em seu pensar

vago, considera que a reconstrução pombalina foi um violento corte cultural de que a cidade não se

restabeleceu e que tem continuidade na confusa arquitectura que em marés desajustadas se derramou

pelo espaço urbano. O viajante não anseia por casas medievais ou ressurgências manuelinas. Verifica

que essas e outras ressuscitações só foram e são possíveis graças ao traumatismo violento provocado

pelo terramoto. Não caíram apenas casas e igrejas. Quebrou-se uma ligação cultural entre a cidade e

o povo dela

45

.

La sua sagace ironia non risparmia neanche scenari da cartolina come la Praça do Comércio,

(o Terreiro do Paço, com’è tradizionalmente designata), altro lascito della ricostruzione pombalina,

di cui, secondo il viajante, gli amministratori cittadini non hanno mai saputo sfruttare le

potenzialità:

É uma belíssima praça de que nunca soubemos bem o que havíamos de fazer. [...] E quanto ao

terreiro, ora parque de automóveis, ora deserto lunar, faltam-lhe sombras, resguardos, focos que

atraiam o encontro e a conversa. [...]

Ao longo das arcadas do Terreiro do Paço, pensa o viajante como sería fácil animar estas galerias,

organizando em dias certos da semana ou do mês pequenas feiras de venda e troca de selos, por

exemplo, ou de moedas, ou exposições de pintura e desenho, ou instalando balcões de floristas, não

faltariam outras e melhores ideias, puxando pela cabeça. [...] Os reconstrutores de Lisboa

deixaram-nos esta praça. Ou já sabiam que íamos precisar dela para lhe meter automóveis, ou

confiaram ingenuamente na nossa imaginação. Que, como qualquer pessoa pode verificar, é nula.

Talvez porque o automóvel veio precisamente ocupar o lugar que à imaginação competia.

46

entender aquele mundo quase morto e descobrir qual a parte da herança dele que deve ser transmitida ao futuro para garantia da nossa sobrevivência cultural». [Trad.: «la società portoghese vive una crisi di gusto così acuta (soprattutto nella architettura e nella scultura, nell’oggetto di uso corrente, nel tessuto urbano), che non farebbe affatto male agli arbitri responsabili di questa generale corruzione estetica, e farebbe certo bene a quei pochi ancora capaci di lottare contro la corrente che ci sta asfissiando, andare a passare qualche pomeriggio nel Museo di Arte Popolare, per guardare e riflettere, per cercare di capire quel mondo quasi morto e scoprire quale parte della sua eredità deve essere trasmessa al futuro come garanzia della nostra sopravvivenza culturale»].

44 Ibid., p. 299. [Trad.: «le prime parole di questo immense discorso di case, di persone, di storie, di risate e inevitabili

pianti»].

45 Ibid., p. 296. [Trad.: «Il viaggiatore […] immagina quale Lisbona ci sarebbe adesso se non fosse venuto il terremoto.

Urbanisticamente, che cosa si è perduto? Che cosa si è guadagnato? Si è perduto un centro storico, se n’è guadagnato un altro che, con il passare del tempo, lo sarebbe diventato. […] Il viaggiatore, nelle sue vaghe riflessioni, considera che la ricostruzione pombalina fu un violento taglio culturale da cui la città non si è ripresa e che dimostra continuità nella confusa architettura che, a ondate disordinate, si è diffusa nello spazio urbano. Il viaggiatore non anela a case medievali o risorgenze manueline. Verifica che queste forme di risuscitazione furono e sono possibili solo grazie al violento traumatismo provocato dal terremoto. Allora non crollarono solo case e chiese. Si ruppe un legame culturale fra la città e la sua gente»].

46 Ibid., p. 296 e p. 302. [Trad.: «Questa è una bellissima piazza di cui non abbiamo mai saputo molto bene che cosa

farne. […] E quanto alla piazza, ora posteggio di automobili, ora deserto lunare, le mancano le ombre, i punti riparati, o cruciali per attirare l’incontro e la conversazione. […] Lungo le arcate del Terreiro do Paço, il viaggiatore pensa a quanto sarebbe facile animare questi portici, organizzando in determinati giorni della settimana o del mese dei mercatini per la vendita e lo scambio di francobolli, per esempio, o di monete, o mostre di pittura e disegno, o installandovi chioschi di fiori, di idee se ne troverebbero tante e anche migliori, spremendosi il cervello. […] I ricostruttori di Lisbona

(9)

9

In altro luogo Saramago ha spiegato che la sua città esiste solo nella memoria, in un ricordo

che non corrisponde alla Lisbona attuale, dove si sono verificati, negli ultimi anni, cambiamenti

brutali. Se la relazione che ha con la sua città è un sistema di riconoscimento, spiega, gli è sempre

più difficile comprenderla oggi. D’altronde, Saramago è scettico sulla possibilità di captare la realtà

cittadina: una grande città è formata da duecento o trecento paesi, differenti gli uni dagli altri, con

differenti modi di vivere

47

. Nella stesso libro-intervista ha affermato: «Pode-se dizer que Lisboa è

uma cidade porque é uma entidade burocrática, física, urbanística, monumental, mas procurar

defini-la é difícil»

48

. Possiamo dire che Saramago abdica dal ruolo eventuale di anfitrione della

propria città, ma anche da quello di decifratore di simboli alla ricerca di un significato profondo. Si

limita a proporre una esperienza personale e a suggerire al lettore di compierne una per proprio

conto.

Sicuramente il nostro scrivano di bordo non si sarebbe identificato nella didascalica guida

turistica elaborata da Fernando Pessoa, scritta in inglese affinché il mondo occidentale si accorgesse

del valore della cultura lusitana. Il suo itinerario giornaliero tra le ricchezze della capitale, con i suoi

monumenti e i suoi musei, è un testo che sembrerebbe stonare nella produzione di un autore che

riteneva l’ammirazione per la città un inequivocabile sintomo di provincialismo

49

(e di ciò

rimproverava l’amico Mário de Sá-Carneiro

50

). Ma Pessoa, inutile dirlo, è un autore dai mille volti,

e uno di questi, secondo Teresa Rita Lópes, corrispondeva all’uomo d’azione che scriveva testi

dotati di finalità pratiche, come gli articoli per la Revista de Contabilidade e Comércio

51

; in questo

caso, la finalità era appunto la propaganda dell’immagine del Portogallo agli occhi degli stranieri e

Pessoa usa uno stile molto sobrio per esaltare, con grande dovizia di informazioni e di particolari, il

patrimonio culturale patente nella capitale lusitana:

ci hanno lasciato questa piazza. O già sapevano che ne avremmo avuto bisogno per metterci le automobili, o ingenuamente confidarono nella nostra immaginazione. La quale, come chiunque può verificare, è nulla. Forse perché l’automobile è venuta proprio ad occupare il posto che spettava alla immaginazione»].

47 «Nós vivemos num lugar como pode ser a aldeia em que nasci, mas no fundo habitamos numa memória, portanto,

mesmo quando eu estava em Lisboa, antes de vir para aqui [Lanzarote], Lisboa já não era a minha cidade. A cidade onde eu habitava era outra, era a cidade da memória, estava a viver noutra cidade que já não era a minha. [...] sobretudo no caso de Lisboa, onde nos últimos anos as mudanças foram brutais. Uma pessoa fica completamente perplexa, onde estão as minhas raízes, as segundas raízes? [...] Mas, repara, uma grande cidade é composta por duzentas ou trezentas aldeias. [...] O que é uma cidade na realidade? Não creio que se possa falar da cidade a não ser como um espaço físico. Os bairros são diferentes uns dos outros, as formas de viver desses bairros também» (Arias 2000, pp. 35-37). [Trad.: «Noi viviamo in un posto come può essere il paese in cui sono nato, ma in fondo abitiamo in un ricordo, pertanto, anche quando io stavo a Lisbona, prima di venire qui, Lisbona non era già più la mia città. La città dove io abitavo era un’altra, era la città della memoria, stavo vivendo in un’altra città che non era già più la mia. […] soprattutto nel caso di Lisbona, dove negli ultimi anni i cambiamenti sono stati brutali. Uno rimane completamente perplesso, dove stanno le mie radici, le seconde radici? […] Ma, facci caso, una grande città è composta da duecento o trecento paesi. […] Che cos’è una città in realtà? Non credo che si possa parlare della città se non come uno spazio fisico. I quartieri sono differenti gli uni dagli altri, così come i modi di vivere di quei quartieri»].

48 Ibid., p. 37. [Trad.: «Si può dire che Lisbona è una città perché è una entità burocratica, fisica, urbanistica,

monumentale, ma cercare di definirla è difficile»].

49 In un testo del 1928, O Provincianismo Português, individuava tre sintomi «flagranti» del provincialismo patrio: «o

entusiasmo e admiração pelos grandes meios e pelas grandes cidades; o entusiasmo e admiração pelo progresso e pela modernidade; e, na esfera mental superior, a incapacidade de ironia» (citato in Loureiro 1996, p. 70) [Trad.: «l’entusiasmo e l’ammirazione per i grandi ambienti e per le grandi città; l’entusiasmo e l’ammirazione per il progresso e per la modernità; e, nella sfera mentale superiore, l’incapacità di ironia»].

50 «Você é europeu e civilizado, salvo em uma coisa, e nessa Você é vítima da educação portuguesa. Você admira Paris,

admira as grandes cidades. Se Você tivesse sido educado no estrangeiro, e sob o influxo de uma grande cultura europeia, como eu, não daria pelas grandes cidades. Estavam todas dentro de si» (citato in ibid.). [Trad.: «Lei è europeo e civilizzato, salvo in una cosa, e in questa Lei è vittima dell’educazione portoghese. Lei ammira Parigi, ammira le grandi città. Se Lei fosse stato educato all’estero, e sotto l’influenza di una grande cultura europea, come me, non farebbe caso alle grandi città. Le avrebbe tutte dentro di sé»].

(10)

10

We shall now ask the tourist to come with us. We will act as his cicerone and go over the capital

with him, pointing out to him the monuments, the gardens, the more remarkable buildings, the

museums – all that is in any way worth seeing in this marvellous Lisbon. After his luggage has been

handed to a trustworthy porter, who will deliver it at the hotel if the tourist is staying awhile, let him

take his place with us in a motor-car and go on towards the centre of the city. On the way we will be

showing him everything that is worth seeing

52

.

Certo, rispetto al pulsare di voci, odori e colori descritto da Cardoso Pires, la guida pessoana

fa l’effetto di una natura morta, ma è evidente che ciò dipende dalle finalità del testo. La Lisbona

malinconica di Bernardo Soares

53

o quella due volte rivisitata da Álvaro de Campos

54

non entrano

in questo libro, eppure il dettaglio dell’automobile – moderno mezzo di trasporto che consente la

realizzazione di questo velocissimo tour – rimanda inevitabilmente all’eteronimo futurista, oltre a

costituire una sorta di filtro, di spazio chiuso dal cui interno si osserva, al riparo dallo sguardo altrui,

lo scorrere della vita cittadina.

Maggiore affinità con il lavoro di Cardoso Pires può essere riscontrata nella minuziosa

ricostruzione dello scenario parigino operata da Léon-Paul Fargue nel suo Piéton de Paris. In un

testo di dimensioni allargate, lo scrittore francese fraziona la realtà della sua amata metropoli per

dedicare ad ogni quartiere un capitolo (per lo meno a quelli più significativi). Ogni arrondissement

è un piccolo microcosmo cui dedicare ore di intenso e appassionato passeggio, attento al particolare

più effimero, per restituire l’ambiente e la storia dei suoi locali, quelli esterni ma soprattutto quelli

interni, con un’attenzione particolare riservata ai caffè, sorta di istituzione parigina:

Cafés crasseux, cafés pour hommes du Milieu, cafés pour hommes sans sexe, pour dames seules,

cafés de tôliers, cafés décorés à la munichoise, esclaves du ciment armé, de l’agence Havas, tous ces

Noyaux, ces Pierrots, ces cafés aux noms anglais, ces bistrots de la rue Lepic, ces halls de la place

Clichy, donnent asile aux meilleurs clients du monde. Car le meilleur client de café du monde est

encore le Français, qui va au café pour aller au café, pour y organiser des matches de boissons, ou

pour y entonner, avec des camarades, des hymnes patriotiques

55

.

Lo sguardo esperto di Fargue mette in scena i soggetti tipici dei vari quartieri, non di rado

soggetti ad un’opera di narrativizzazione. L’autore finisce per essere identificato con il suo «piéton

de Paris», con l’immagine del viandante in perenne cammino per le strade della città alla ricerca di

se stesso, perché la città vive in lui, è lo specchio dei segreti del suo animo, è il luogo poetico in cui

ritrovarsi.

È l’esercizio della memoria a dominare nel lavoro di Fargue: scritto verso la fine degli anni

Trenta, alla vigilia di eventi traumatici che incideranno ulteriormente sulla vita della città, l’autore

fa spesso riferimento ad una Parigi che non c’è più o che sta rapidamente cambiando; la sua Parigi

del primo dopoguerra è sempre evocata come termine positivo di paragone rispetto ad una realtà

52 Pessoa 1992, p. 32. [Trad.: «Inviteremo adesso il turista a venire con noi. Gli serviremo da cicerone e percorreremo

con lui la capitale, mostrandogli i monumenti, i giardini, gli edifici più importanti, i musei – tutto ciò che sia in qualche modo degno di essere visto in questa meravigliosa Lisbona. Dopo che il suo bagaglio sarà stato consegnato ad un facchino di fiducia, che lo consegnerà in albergo se il turista si tratterrà per qualche tempo, lasciamo che prenda il suo posto con noi in una automobile diretta verso il centro della città. Lungo il cammino gli mostreremo tutto ciò che merita di essere visto»].

53 Il semi-eteronimo autore del Livro do desassossego (Libro dell’inquietudine).

54 Lisbon revisited è il titolo di due composizioni poetiche firmate da questo eteronimo di Fernando Pessoa, una del

1923, la seconda del 1926.

55 Fargue 1939, pp. 39-40. [Trad.: «Caffè luridi, caffè per uomini della mala, caffè per uomini senza sesso, per signore

sole, caffè per ex-carcerati, caffè decorati alla monacense, schiavi del cemento armato, dell’agenzia Havas, tutti questi Noyaux, questi Pierrots, questi caffè dai nomi inglesi, questi bistrots della rue Lepic, queste halls della place Clichy, danno asilo ai migliori clienti del mondo. Perché il migliore cliente di caffè al mondo è ancora il Francese, che va al caffè per andare al caffè, per organizzarvi delle gare di bevute, o per intonarvi, con dei compagni, degli inni patriottici»].

(11)

11

che fa più fatica a decifrare o che comunque interpreta in senso degenerativo, anche se la città non

ha perduto del tutto il suo fascino:

Ce sont les autobus qui ont transformé la place du Théâtre-Français. Une révolution, un incendie

même – et il y en a eu un fameux – n’auraient pas mieux fait. La place du Théâtre-Français, où l’on

me conduisait autrefois par la main, comme dans un endroit tranquille, un peu sévère, mais de bonne

influence, est aujourd’hui une gare régulatrice. Un alphabet mouvant. […] Jadis, on pouvait bavarder

en pleine rue; les joueurs d’échecs et les acteurs, les membres du Conseil d’État et les ombres du

Palais-Royal ne craignaient aucun coup de trompe, aucun dérapage, aucun rappel à l’ordre des

agents. On était libre

56

.

La Lisbona di Cardoso Pires non è una città in decadenza; non c’è nostalgia di una Lisbona

passata, anzi l’autore di Lisboa, Livro de Bordo sottolinea che i tanti cambiamenti avvenuti negli

ultimi anni hanno generalmente migliorato l’immagine cittadina.

Chiaro che la lettura dello scrittore è solo una delle tante possibili; la città rimane un libro

aperto ed il discorso che la rappresenta non può esaurire l’oggetto della descrizione, né confondersi

con esso, come ammoniva Calvino nelle Città invisibili. Nello spazio urbano tutto è simbolo, tutto è

linguaggio, tutto indica altre cose e si presta alla descrizione. Probabilmente, sotto questo pesante

involucro di simboli, ci è dato di scoprire solo quanto noi stessi abbiamo messo nella città e solo se

ci disponiamo a riceverlo con gratitudine. Lo scrittore – e Cardoso Pires ne è sicuramente un

esempio mirabile – possiede un occhio esperto e, soprattutto, una penna sapiente capace di guidare

il lettore, come un novello Virgilio, all’interno dell’inferno cittadino a cui spesso dedichiamo, alla

maniera del nostro scrivano di bordo, un «amor rancoroso».

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56 Ibid., p. 86. [Trad.: «Sono gli autobus ad aver trasformato la place du Théâtre-Français. Una rivoluzione, persino un

incendio – e ce ne è stato uno famoso – non avrebbero fatto meglio. La place du Théâtre-Français, dove venivo un tempo portato per mano, come in un luogo tranquillo, un po’ austero, ma dalla influenza positiva, è oggigiorno una stazione di smistamento. Un alfabeto mobile. […] Allora, si poteva chiacchierare in piena strada; i giocatori di scacchi e gli attori, i membri del Consiglio di Stato e le ombre del Palais-Royal non temevano nessun colpo di clacson, nessuna derapata, nessun richiamo all’ordine degli agenti. Eravamo liberi»].

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Referências

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