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Gruppo di Lavoro: INFRASTRUTTURE IRRIGUE: INVESTIMENTI (**)

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Academic year: 2023

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(*) Con la collaborazione della Dott.ssa SIMONA ANGELINI e della Dott.ssa RAFFAELLA ZUCARO

(**) Gruppo di Lavoro: INFRASTRUTTURE IRRIGUE: INVESTIMENTI

Componenti: dott. Marco Arcieri; dott.ssa Simona Angelini; ing. Gianfranco Battistello;

prof. Fabrizio De Filippis; ing. Francesco Gigliani; dott. Emanuele Giordano; dott. Nicola Lamaddalena; dott. Luigi Nardella.

Gruppo di Lavoro: INFRASTRUTTURE IRRIGUE: INVESTIMENTI (**)

“LA PAC 2014-2020: LE OPPORTUNITÀ PER LE OPERE IRRIGUE”

Relatore: Prof. FABRIZIO DE FILIPPIS (*)

La nuova Pac e le sue promesse

Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, dopo una lunga gestazione, ha visto la luce la nuova Politi- ca agricola comune (Pac) per il periodo 2014-2020.

Il percorso era iniziato oltre tre anni prima, nel novembre del 2010, con una comunicazione della Commissione sul futuro della Pac, a cui nell’ottobre del 2011 erano seguite le proposte di regola- mento, sulle quali si è innescato un lungo e articolato dibattito, frutto anche della nuova procedu- ra di codecisione prevista dal Trattato di Lisbona: questa, infatti, per la prima volta ha visto il Par- lamento europeo coinvolto non più solo, come in passato, con una competenza consultiva, ma come protagonista del processo decisionale, al pari del Consiglio. Ciò ha imposto un serrato con- fronto a tre voci (il cosiddetto “trilogo”, con Consiglio, Parlamento e Commissione) che ha portato all’approvazione dei regolamenti di base da parte prima del Parlamento (novembre 2013), poi del Consiglio (dicembre 2013) e infine, nella loro versione definitiva, da parte della Commissione nel marzo del 2014.

La nuova Pac 2014-2020, pur ponendo tra le sue sfide quelle della sicurezza alimentare e della produttività, nasceva come politica volta esplicitamente a sostenere la remunerazione dei beni pubblici prodotti dagli agricoltori, con un sostegno più selettivo e molto più orientato a valorizzare le esternalità positive dell’agricoltura sul fronte ambientale e territoriale.

In questo quadro, la grande novità con cui si presentava la riforma della Pac 2014-20 era lo “spac- chettamento” del pagamento unico aziendale in sette diverse componenti, tra le quali spiccava il pagamento ecologico, il cosiddetto greening. Con esso si riservava il 30% delle risorse destinate ai pagamenti diretti del primo pilastro al rispetto di pratiche benefiche sotto il profilo ambientale: di- versificazione colturale, mantenimento di aree di interesse ecologico, salvaguardia di destinazioni del suolo a valenza ambientale e paesaggistica. Allo stesso tempo, nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale, si annunciava un deciso potenziamento delle misure volte alla gestione sostenibile delle risorse naturali, ad azioni sul cambiamento climatico per un’agricoltura a bassa emissione di carbonio, allo sviluppo territoriale equilibrato, alla valorizzazione degli ecosistemi.

Come la stessa Anbi ha avuto modo di rilevare nelle sue assemblee degli scorsi anni, questa nuova Pac orientata alla remunerazione dei beni e dei servizi pubblici prodotti dall’agricoltura sembrava offrire al sistema dei Consorzi di bonifica un ruolo potenzialmente molto importante:

• sul fronte del primo pilastro, i Consorzi sembravano avere tutte le carte in regola per candidarsi come soggetti in grado di organizzare e gestire azioni collettive a valenza ambientale da parte di agricoltori, ma anche come agenzie di consulenza e certificazione rispetto alle pratiche indi- viduali portate avanti per rispettare i requisiti imposti dal greening;

• sul fronte del secondo pilastro, data l’enorme importanza della gestione delle risorse idriche ri- spetto agli obiettivi ambientali e territoriali prima ricordati e considerando, più in generale, la necessità di potenziare le azioni di difesa idrogeologica, il ruolo dei Consorzi sembrava ancora più evidente.

La versione finale della nuova Pac 2014-2020, come del resto è sempre accaduto in tutti i percorsi di riforma del passato, è molto diversa da quanto inizialmente proposto e, dal punto di vista dei Consorzi di Bonifica, rischia di non mantenere le promesse di cui si è detto.

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Il greening

Innanzitutto, il greening è stato fortemente rivisto, in larga misura edulcorato, e trasformato da pagamento ecologico esplicitamente volto a “comprare” dagli agricoltori la produzione o il mante- nimento di beni e servizi pubblici ambientali, in una sorta di condizionalità rinforzata. In buona misura questo è stato un bene, specie per l’Italia, giacchè i vincoli del greening erano stati inizial- mente concepiti in modo assai discutibile: sia perché alcuni di essi erano mal congegnati rispetto al perseguimento corretto di un obiettivo ambientale (era questo il caso della diversificazione); sia, soprattutto, perché tenevano conto solo delle realtà nord-europee ignorando – anzi penalizzando – le esigenze di quelle mediterranee: basti pensare che, mentre i pascoli erano considerati una de- stinazione del suolo sostenibile sotto il profilo ambientale e paesaggistico, tutte le coltivazioni ar- boree, olivicoltura compresa, non erano considerate tali e dunque avrebbero dovuto soggiacere ai vincoli del greening, al pari di qualunque altra coltura industriale.

Da questo punto di vista, la revisione del greening è stata un passaggio da accogliere positivamen- te, anche se alcune decisioni di evidente compromesso destano forti perplessità. Ci si riferisce, soprattutto, alla possibilità data agli Stati membri (e decisa dall’Italia) di erogare il pagamento gre- ening non come ammontare fisso per ettaro, ma come percentuale del pagamento di base: il che, in una situazione in cui il livello del pagamento di base rimane ancora in larga misura ancorato ai titoli storici e, dunque, fortemente differenziato tra singoli beneficiari, comporterà che una siepe, un fossato, un insieme di alberi o un ettaro di superficie a riposo, magari anche collocati nella stessa zona, saranno pagati in misura molto diversa a seconda del livello dei pagamenti storici dei diversi beneficiari.

In ogni caso, la versione edulcorata del greening, anche se è andata incontro agli interessi italiani, disinnesca quel possibile ruolo che i Consorzi di bonifica avrebbero potuto svolgere nell’ambito del I pilastro, quali organizzatori e certificatori degli impegni ambientali; e ciò semplicemente per- ché la misura “morderà” molto di meno, sia come quantità di soggetti colpiti, sia come intensità dei vincoli da rispettare.

Il secondo pilastro

Sul fronte del II pilastro si conferma l’importanza attribuita alla gestione delle risorse idriche, sia nel Regolamento comunitario, sia nell’Accordo di partenariato elaborato dall’Italia: quest’ultimo, infatti, in riferimento agli Obiettivi tematici 5 e 6, promuove l’adattamento al cambiamento clima- tico, la prevenzione e la gestione dei rischi e richiama l’esigenza di investire per ammodernare e rendere più efficiente il sistema irriguo. Tuttavia, è bene segnalare una serie di aspetti critici nelle modalità con cui viene declinato l’obiettivo di gestione delle risorse idriche, in modo che le ammi- nistrazioni centrali e regionali coinvolte ne tengano conto nella progettazione delle specifiche mi- sure.

Innanzitutto, se è molto positivo il fatto che una parte dell’intervento del II pilastro sulla gestione delle risorse idriche sarà coordinato con una misura dedicata all’irrigazione all’interno del Piano nazionale di sviluppo rurale (Pnsr), evitando il rischio della frammentazione degli interventi a livel- lo regionale, lo stanziamento che l’Italia ha deciso (300 milioni di euro in 7 anni) appare del tutto sottodimensionato rispetto alle esigenze (anche se con buona probabilità per la quota riguardante il Mezzogiorno, le risorse saranno integrate con fondi della politica di coesione). Su questo fronte va segnalato che le nuove regole di finanziamento comunitario metteranno in competizione tra lo- ro sia i Consorzi di bonifica che le Regioni nell’accesso ai fondi del Pnsr: questo può essere un problema, specie al Sud, ma è anche un’opportunità per i Consorzi più virtuosi in termini di pro- gettualità esecutiva.

In secondo luogo, se è più che ragionevole riservare il Piano nazionale di sviluppo rurale agli inter- venti infrastrutturali e di natura collettiva, la demarcazione chiesta dalle Regioni tra il Pnsr e i Psr, per cui questi ultimi dovrebbero finanziare solo gli interventi “dentro il cancello dell’azienda”, ri- sulta troppo rigida: non tanto e non solo perché può contribuire a escludere i Consorzi di bonifica dalla platea dei possibili beneficiari delle misure dei Psr, ma perché potrebbe ridurre l’adesione da parte dei singoli agricoltori, disincentivati dalla difficoltà di istruire pratiche complicate, relative a investimenti poliennali.

Un altro problema generale è la possibilità che l’integrazione tra la Pac e le politiche di gestione delle risorse idriche, imposta dalla Direttiva Quadro Acque, possa creare ulteriori vincoli, qualora i piani di gestione dei distretti prevedessero, come misure supplementari, alcune di quelle già pre-

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viste nei Psr come misure volontarie: queste, infatti, in tal modo diventerebbero obbligatorie per i territori interessati, trasformandosi, di fatto, in un inasprimento della condizionalità di base.

Un elemento di ulteriore criticità è che il testo del Regolamento per lo sviluppo rurale non prevede una misura dei Psr esplicitamente dedicata al finanziamento degli investimenti irrigui (come la vecchia 125 della passata programmazione). Infatti, nella nuova programmazione, l’Art. 17 è ge- nericamente rivolto a “investimenti in immobilizzazioni materiali” che si riferiscono, forse più an- cora che all’irrigazione, a investimenti aziendali di tutt’altra natura (trasformazione, commercializ- zazione, miglioramento fondiario, etc). D’altro canto, come si è detto, va sottolineato che l’importanza degli investimenti irrigui, di natura privata e collettiva, sia stata riconosciuta dall’Accordo di partenariato.

Le specifiche relative agli investimenti irrigui, definite negli Artt. 45 e 46, dettano condizioni molto restrittive che, se applicate alla lettera, rischiano di tagliare fuori molti possibili beneficiari: limi- tandosi a citarne solo alcune, si possono ricordare il requisito (rilevante per le azioni a livello na- zionale) della esecutività dei progetti finanziabili, completi di tutte le autorizzazioni necessarie;

l’ammissibilità al finanziamento dei Psr limitata ai soli interventi programmati in aree ricadenti in piani di gestione di bacino idrografico notificati alla Commissione e rispondenti ai requisiti della Direttiva Quadro Acque (e questo può essere un problema serio per la Sicilia, che non ha ancora notificato il suo Piano di distretto); l’obbligo della presenza o dell’istallazione di misuratori di por- tata, peraltro spesso richiesti non tanto al prelievo a monte ma al consumo all’azienda, con costi elevati per gli agricoltori e obiettive difficoltà a rispondere a tale richiesta in alcuni territori; la va- lutazione ex ante degli interventi che evidenzi un risparmio idrico potenziale compreso tra il 5 e il 25%; l’esistenza di una politica dei prezzi dell’acqua che preveda adeguati incentivi agli utilizzatori finali per promuovere un uso efficiente delle risorse idriche e un adeguato contributo al recupero dei costi della risorsa.

Non c’è dubbio che queste condizioni restrittive rischiano di rendere difficile, specialmente per i Consorzi di bonifica, l’accesso alle misure per la gestione delle risorse idriche previste dalla politi- ca di sviluppo rurale; per cui non sorprende che al momento, delle 8 Regioni che hanno messo on line i loro Psr, solo 3 hanno previsto i Consorzi di bonifica come possibili beneficiari.

Tuttavia, accanto a questi aspetti critici, ci sono alcuni elementi positivi, che vanno invece conside- rate opportunità da non perdere.

Il primo, e più importante, è la possibilità di valorizzazione del progetto Irriframe, nel quadro dei sistemi di consiglio irriguo promossi dal MipAAF nell’ambito dell’attuale ciclo di programmazione per lo sviluppo rurale, finanziati attraverso la rete rurale nazionale: con essi, infatti, si può incenti- vare e aiutare il risparmio idrico in ossequio alla Direttiva Quadro Acque e, più in particolare, spe- cie se esplicitamente previsti nei bandi dei Psr, possono servire a rispettare e certificare i vincoli di risparmio di cui prima si è detto come condizioni di ammissibilità al finanziamento degli investi- menti irrigui.

Più in generale, il sistema consortile, in particolare l’Anbi, potrebbe contribuire alla costruzione di un sistema di monitoraggio nazionale dello stato quantitativo delle risorse idriche, fortemente ri- chiesto dalla Commissione europea e necessario, come sistema Paese, a presentarsi ai tavoli isti- tuzionali con una posizione autorevole e condivisa anche con gli altri settori interessati all’uso dell’acqua e alla integrazione delle relative politiche.

Un’ulteriore opportunità è offerta dall’Art. 35 del regolamento sullo sviluppo rurale sulla coopera- zione, nel cui ambito i Consorzi potrebbero sfruttare la loro intrinseca funzione associativa, indi- spensabile al raggiungimento di obiettivi ambientali e territoriale su base collettiva, largamente caldeggiata dalla Commissione. Essi, infatti, potrebbero contribuire a costruire poli o reti volti all’attuazione di una serie di azioni esplicitamente menzionate, quali la mitigazione dei cambia- menti climatici e l’adattamento a essi, la gestione efficiente delle risorse idriche, l’uso di energia rinnovabile (mini-idroelettrico) e la preservazione dei paesaggi agricoli.

Infine, come prima sottolineato, le nuove regole di finanziamento dovrebbero fornire un sistema di incentivi più virtuoso, premiando le Amministrazioni e i Consorzi più efficienti in termini di proget- tualità esecutiva.

Conclusioni

La nuova Pac 2014-2020, come sempre accade, presenta luci e ombre: tra gli aspetti positivi, essa prosegue sulla strada del disaccoppiamento e dell’orientamento al mercato tracciata dalla riforma Fischler del 2005, tenta di introdurre una maggiore selettività del sostegno agli agricoltori, intro-

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ducendo tra i suoi obiettivi la remunerazione dei beni pubblici prodotti dal settore, e offre agli Sta- ti membri molti margini per adattare la politica europea alle proprie esigenze.

Tra i punti deboli si devono rilevare alcune distorsioni con cui sono state concretizzate le principali novità quali il greening e la definizione di agricoltori attivi (anche se su questo fronte l’Italia ha cercato di porvi rimedio); il permanere di un sistema di pagamenti ancora squilibrato tra Paesi, re- gioni e beneficiari; ma, soprattutto, un impianto di misure estremamente complicato e difficile da gestire.

Più in particolare, in relazione al finanziamento per la gestione delle risorse idriche e al possibile ruolo dei Consorzi di bonifica la versione finale della riforma della Pac ha mantenuto relativamente poco, del molto che sembrava promettere. Nonostante ciò, anche su questo terreno le opportunità da sfruttare non mancano, sia sul fronte della gestione del Piano nazionale di sviluppo rurale che nella corretta applicazione di alcune misure previste nei Psr: rispetto a queste ultime, in particola- re, sarà cruciale vigilare sulle modalità con cui esse saranno concretamente declinate, nelle pros- sime settimane e mesi, nella programmazione messa in campo dalle singole Regioni e dalle altre amministrazioni coinvolte e nella capacità di difenderla presso la Commissione europea.

Referências

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