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La legislazione dello Stato italiano sulle cooperative

Introduzione

Capitolo 4: Storia e contraddizioni del movimento cooperativo in Italia: dall'unità d'Italia alla crisi del 2008-9

4.3 La legislazione dello Stato italiano sulle cooperative

Una volta “ripulite” le cooperative si procedette a unire tutto il movimento cooperativo nell'Ente nazionale per la cooperazione, in seguito riconosciuto come unico rappresentante legittimo delle cooperative(BRIGANTI, 1978). Il progetto corporativista del neonato regime fascista si scontrava però con il carattere storicamente classista delle cooperative, che avevano sempre rappresentato una classe e non più di una. Per Ciuffolletti(1981, p. 182):“Col decreto legge del marzo 1931, […] con l'inquadramento delle cooperative in apposite federazioni di categoria, veniva a cadere qualsiasi rivendicazione di autonomia e si realizzava il sogno d'integrazione subalterna e burocratica della cooperazione alle forze economiche dominanti”. Così facendo di fatto il fascismo condannò alla morte tutte le esperienze cooperative, da quelle di produzione a quelle di consumo.

Il secondo dopoguerra avrebbe dovuto costituire l'occasione per un rilancio del movimento cooperativo, ma da un lato la storica ostilità delle sinistre, dall'altro la pressione dei grandi proprietari di terra e dei grandi industriali ne limitarono, almeno inizialmente, lo sviluppo(BRIGANTI, 1978). Progressivamente furono i comunisti a rilanciare questo movimento, nella convinzione che potesse costituire un elemento simile al sindacato, come cinghia di trasmissione tra partito e masse popolari137.

La fine del XIX secolo coincise con un movimento volto a discutere una riforma del sistema delle cooperative, per renderle uno strumento maggiormente utile alla classe lavoratrice, soprattutto con i progetti dei “socialisti giuridici”, con la proposta di progetti di legge che consentissero le operazioni con terzi( in precedenza erano vietate) e permettessero lo sviluppo economico delle cooperative(RODINO, 1903). Tali progetti, nonostante le modifiche apportate proprio per favorirne il consenso, non riuscirono ad ottenere i risultati sperati, un po' per la già citata ostilità dei conservatori, e per Bonfante(1981, p.202): “più in generale tali proposte furono travolte dai contraccolpi sociali e politici legati al decollo industriale e all'incapacità della borghesia di trovare una linea di condotta unitaria non solo sulla cooperazione, ma anche sui grandi temi del nostro sviluppo economico e sociale”.

L'inizio del XX secolo coincise invece con una ripresa della legislazione cooperativistica, sia per il la ripresa delle lotte operaie, sia per il maggiore interesse al tema da parte del governo(CASTRONOVO, 2021). Giolitti infatti intendeva utilizzare le cooperative per Bonfante(1981, p. 204):

offrire uno sfogo alle masse di disoccupati, che soprattutto l'agricoltura sfornava a getto continuo, e inoltre, allentando la pressione sociale nei modi di crisi, aveva l'occasione di sottrarre consensi ai socialisti. Quest'ultimi, d'altra parte, intravedendo nell'iniziativa degli appalti pubblici non solo un'occasione di miglioramento delle condizioni di vita delle masse, ma anche uno strumento per la conquista di nuovi spazi d'intervento politico, non tardarono ad appoggiare l'azione di Giolitti.

Le trattative portarono all'elaborazione di un decreto nel 1911, che sintetizzava i precedenti tentativi, in una specie d'alleanza, perlomeno tattica, tra governo e lega delle cooperative., dove ovviamente a prevalere era il primo, grazie al sistema di controlli introdotti sull'attività economica delle cooperative(VERRUCOLI, 1979).

Dopo la “parentesi” del primo conflitto mondiale riprese il dibattito sulla legislazione da applicare alle cooperative, anche grazie al già citato aumento della capacità di organizzazione delle cooperative di matrice socialista, che gli permetteva di negoziare con il governo da una posizione più favorevole un progetto di riforma. Inizialmente tali proposte trovarono il consenso da parte del governo, preoccupato di contenere la montante sociale, ma senza che fossero effettivamente realizzate. Il progetto Labriola del 1920 rappresentò l'ultimo tentativo di inserire le cooperative nel processo di integrazione del capitalismo italiano, escludendo le cooperative legate alla piccola borghesia dalla regolamentazione. Quello del 1921 di fatto riportava la situazione al punto di partenza, senza che si fossero risolti i problemi della relazione tra Stato e cooperative(BONFANTE, 1981).

Anche il fascismo intervenne legislativamente sul settore delle cooperative, per

irregimentarlo meglio e sottometterlo ai suoi scopi. Una volta preso il potere il regime divise i suoi interventi(GRAMSCI, 2014) tra l'ambito costruttivo, con esenzioni fiscali per le cooperative con poco capitale e l'assicurazione obbligatoria in caso di infortunio da un lato, e interventi repressivi volti a svuotare dall'interno le cooperative e a privarle della loro autonomia(BONFANTE, 1981).

Si passò poi a definire una riforma del settore, che però fu ben lontana dal rappresentare una soluzione ai problemi del settore. Per Gobbi(1932, pp. 149-50):“Il bisogno di una riforma della cooperazione, […] c'era davvero […]... Ma la riforma( meglio che riforma: rivoluzione) fu già fatta;

fu fatta come pei sindacati dei lavoratori, mutando lo spirito dei cooperatori e consolidando il mutamento con l'istituzione dell'Ente nazionale della cooperazione”.

Gli anni 30 videro il fascismo farsi sempre più accentratore nella gestione dell'economia, anche per far fronte alla crisi esplosa nel 1929, limitando sempre di più il ruolo delle cooperative nella società. In ambito agricolo finite le bonifiche terminarono anche i lavori pubblici, mentre degno di maggior interesse era il settore edilizio, le cui leggi confluirono in un Testo unico138 nel quale Bonfante(pp.220-1):

si mescolano elementi di apertura sociale ed ambiguità e lacune, dove la prospettiva del provvedimento non era tanto quella di favorire, […], l'incremento dell'edilizia popolare, e quindi di assicurare la disponibilità di case per le masse popolari, quanto piuttosto, more solito, quella di incoraggiare le aspirazioni proprietarie dei ceti urbani piccolo-borghesi e impiegatizi.

Successivamente con la totalitarizzazione dello Stato fascista139 compiuta nel 1939, anche le cooperative furono sottoposte ad un ennesimo tentativo di riforma. Le diverse anime del governo trovarono una sintesi nel nuovo codice elaborato nel 1942, in pieno secondo conflitto mondiale, con il quale si definiva un sistema che dietro a un non specificato scopo mutualistico, celava la necessità della creazione di un sistema di cooperative legate alla speculazione finanziaria e non a fini solidaristici(BONFANTE, 1981).

La Costituzione italiana sorta dopo la Resistenza, attribuì un peso alle cooperative con il suo articolo 45140. Con tale formulazione, dopo intensi dibattiti tra i costituenti, si riconosceva il ruolo delle cooperative, tentando di evitare di ripetere gli errori dei decenni precedenti, ma dovendo necessariamente mediare tra posizioni molto differenziate, senza riuscire a definire chiaramente cosa fossero le cooperative. Per Bonfante(1981, p.228)“Proprio con riferimento a questa caratteristica è emerso il limite più grave dell'articolo 45, consistente nel non aver saputo cogliere il

138Raccolta di leggi su una determinata materia, di frequente utilizzo nell'ambito legislativo italiano.

139Con tale processo il fascismo volle farsi totalitario proprio come l'alleato nazista, eliminando ad esempio la Camera dei deputati e sostituendola con la Camera dei fasci e delle corporazioni, i cui membri erano tutti di nomina del partito fascista.

140Il testo del primo comma di tale articolo è: La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.

momento politico favorevole per la definitiva messa al bando del dualismo giuridico, […] con un testo ben più precettivo e chiaro in argomento”. La prima legge in materia nel secondo dopoguerra fu fatta nel 1947, tentando di riprendere, attualizzandolo, il modello liberale pre-fascista. Si stabilivano ad esempio i limiti di soci, di capitali, necessari per costituire una cooperativa e le caratteristiche mutualistiche che la società doveva avere(VERRUCOLI, 1979).

Gli anni cinquanta si caratterizzarono invece per una dura repressione del movimento cooperativo, a causa del crescente clima da guerra fredda, dove la cooperazione veniva descritta come possibile punto di appoggio delle sinistre, ormai all'opposizione del governo. Addirittura venivano ripresi progetti di epoca fascista e si favorivano ipotesi speculative nell'ambito della cooperazione edilizia(BONFANTE, 1981). Tutto ciò sfociò in un testo unico del 1958, nel quale di fatto si favorivano l'evasione e l'elusione fiscale, per accedere ai benefici garantiti alle cooperative(VERRUCOLI, 1979). Così facendo si impediva sostanzialmente il funzionamento del sistema delle cooperative.

Il decennio successivo vide l'avvio di governi del cosiddetto centro-sinistra141, che avrebbero dovuto aprire maggiori spazi per la cooperazione, ma in realtà non fu così, “come dimostrava il sostanziale disinteresse verso l'istituto della maggior parte dei piani programmatici che affollavano il periodo, e soprattutto la povertà di una legislazione, […] che ponesse la cooperativa al centro di un piano di riforma organico dei nostri nodi di crisi”(BONFANTE, 1981, p.236). Più importante sarà invece la riforma del 1971.

Tale riforma è il risultato dei dibattiti intercorsi durante il decennio precedentemente, senza alterare le strutture essenziali.”La legge, subito battezzata mini-riforma, si segnalava, […], soprattutto per il rafforzamento economico dell'impresa conseguente all'aumento a 2 milioni del limite della partecipazione di ciascun socio e per una certa generosità nella concessione dei benefici fiscali”(BONFANTE, 1981, p.238), favorendo dunque ipotesi speculative. I meccanismi impresariali, sempre più presenti, contribuirono a creare conflitti sociali all'interno delle cooperative, che cessavano come vedremo di essere un sistema mutual-solidaristico, per divenire uno strumento di sfruttamento dei lavoratori, tramite la riduzione del costo del lavoro.

E d'altra parte gli anni settanta, con l'aumento del conflitto sociale, sarebbero stati anni propizi in tal senso, ma non lo furono. In questa fase si registrò infatti una relazione difficile con i sindacati che, mirando a organizzare sindacalmente la forza lavoro anche nel settore delle cooperative, si scontravano con la pretesa delle cooperative di essere già parte del movimento dei lavoratori, non avendo quindi bisogno dei sindacati. In ogni caso in questo decennio nacquero

141Con tale espressione si intendono governi che vedevano l'alleanza della DC con il PSI, per la realizzazione di riforme sociali nel paese.

nuove cooperative nel settore del turismo e dei servizi socio-sanitari, dimostrando una notevole vivacità del movimento cooperativo(FERACO, 2011). Nonostante la crisi il movimento sembrava costituire quello che l'allora presidente della Lega delle cooperative chiamava una forza anti-crisi, evitando da un lato gli squilibri generati dal sistema capitalista e dall'altro i fenomeni di burocratizzazione tipici dell'ambito statale(GALETTI, 1975).

Lo spegnersi del movimento operaio dopo la fine del decennio produssero l'idea di fare della cooperazione una terza via tra pubblico e privato, che superasse i limiti di entrambe; tutto ciò favorito dall'istituzione delle regioni nel 1970, con la possibilità a livello locale di incentivare la formazione delle cooperative. In ogni caso ancora a fine del decennio era presente l'ambiguità rispetto al modo in cui definire il rapporto tra cooperazione e speculazione finanziaria, rendendo possibile il mantenimento di quell'ambiguità che avrebbe portato addirittura nei decenni successivi gruppi di cooperative a cercare scalate bancarie(FRAU, 2010).

Dal punto di vista legislativo, negli ultimi venti anni si sono susseguite importante riforme.

Nel 2001142 il governo ha introdotto una revisione dello status giuridico e previdenziale del socio lavoratore di una cooperativa, per evitare i fenomeni con cui si utilizzava tale strumento per ridurre il costo del lavoro.

Come detto in precedenza il secondo governo Berlusconi è intervenuto pesantemente sul tema delle cooperative. Prima nel 2002143 ha riformato le modalità di controllo sull'attività delle stesse, ponendo l'accento sulla necessità che i soci partecipino delle decisioni assembleari, poi nel 2003 ha riformato il codice civile144, con la netta distinzione tra cooperative a prevalente mutualità e non, specificando che solo le cooperative che rispettano i principi della legge Basevi sul divieto di distribuire utili finanziari ai soci delle cooperative, stabilendo che solo le prime avessero diritto a godere dei benefici fiscali; infine con la legge 30 del 2003 ha ulteriormente modificato la questione dei diritti sindacali dei soci delle cooperative, in contraddizione con la legge del 2001, stabilendo che perdessero il posto di lavoro nel caso fossero esclusi dalla cooperativa(FRAU, 2010).